E chi sono i Bennett? È già un anno che mi sono fatto questa domanda. Adesso la risposta la sanno tutti, ma allora non la sapeva nessuno. Quel nome mi è apparso per la prima volta sul programma dell’Italian Party 2016. Tramite risposte stitiche a un paio di domande ho scoperto qualcosa. 1) Che si tratta di alcuni avanzi della mossa toscana: bassista dei Chambers, chitarrista e cantante dei Disquieted By, batterista degli Autumn Leaves Fall In. 2) Che fanno musica melodica e pesante. 3) Nient’altro. Su YouTube c’era già un video di un live in un locale, era buio e sembrava che il cantante avesse appena squartato un uomo, nel retro, e stesse scaricando l’adrenalina nel post hard core. Il video aveva un sacco di visualizzazioni. Non so per gli altri ma per me è stato amore a prima vista. Comunque, questi Bennett avevano già fatto un concerto in giro e per trovare uno straccio di qualcosa bisognava guardare su You Tube. Mattacchioni.
Il mese dopo, compaiono sul palco piccolo dell’Italian Party. Era un caldo pomeriggio d’estate e l’aria era fermissima, come se anche lei stesse aspettando in pace qualcosa che le piaceva molto. Non c’è stato nessuno che ha urlato STANNO PER SUONARE I BENNETT ma è come se ci fosse stato. L’attesa era palpabile. La ballotta toscana stava generando la fotta. Del resto, una simile super band (e qui faccio finta di conoscere da sempre gli Autumn Leaves Fall In) non poteva che creare amore. E infatti. I Disquieted By hanno fatto il mio disco preferito del 2012 (giuro). Dopo un po’ hanno cessato di esistere, lasciando un grande vuoto. Andare a vedere i Bennett era andare a vedere il nuovo gruppo del tipo (David) dei Disquieted By: la cosa era buona anche solo per questo.
Del concerto all’Italian Party ricordo che ogni canzone fu un ripigliarsi dopo un periodo di astinenza, perché i Bennett avevano proprio tutta la forza beffarda e ignorante ma precisa dei Disquieted By. Il cantante sembrava una statua quando si bloccava negli stop, proprio come faceva una volta, ma non suonava più indossando solo un paio di culotte. Era tutto vestito. Un mio amico l’ha abbracciato. L’atmosfera era famigliare, come quando arrivi al pranzo di Natale e inizi a salutare tutti e, dopo i 35 anni, ti lasci andare perché ti fa un gran piacere.
Il giorno dopo ho scritto BENNETT su facebook e ho preso un sacco di like. Dopodiché, silenzio per nove mesi. Non io, loro. Lo faranno o non lo faranno questo disco, boh. Poi sono tornati, a marzo 2017, credo, con un video dedicato a Jean Louis Bennett. Sono andato a vederli al Magazzino Parallelo, a uno degli Heavy Show organizzati dal tipo dei Riviera. Ho tentato di fare una foto alla faccia di David pietrificato durante uno stop prima di un go, non è venuta un granché ma l’ho messa lo stesso su Instagram con un po’ di filtri. E ho preso un sacco di like.
Passano le settimane, e niente disco. Poi, il messaggio. I Bennett mandano una mail in cui chiedono agli amici di fare un trailer promozionale, la mail gira e arriva in qualche modo anche a me, ci provo due o tre volte, faccio schifo e rinuncio. Dopo un po’, del trailer non si sa ancora nulla. C’è un motivo, hanno cambiato strategia: Luca Benni, il mio uomo alla Bennett, mi chiede di filmarmi mentre dico una cosa tipo i Bennett fanno cagare, sono molto contento, lo faccio e glielo mando. Sulla porta del mio bagno di casa c’è la targhetta “toilette” e solo dopo un po’ di giorni mi viene in mente che avrei potuto usare quella, come scenografia. Troppo tardi, pazienza. Il 20 maggio il video ESCE: in sottofondo c’è Confidence e tutti dicono che i Bennett fanno cagare. Il mio video non l’hanno messo, perchè oltre a far cagare sono pure degli stronzi. Il promo gira un bel po’ e monta l’attesa del disco, attesa per il 16 giugno. Intanto, su Instagram, loro iniziano a seguire tutti e a un certo punto la mia ragazza mi dice “i Bennett hanno iniziato a seguirmi su Instagram”. Oh_oh. Mi parte subito l’immagine di David senza culotte.
Su TheNewNoise esce l’intervista e vengono fuori le prime date. Lo streaming su Rumore arriva il 12 giugno: eccolo, il disco. È stato come una montagna all’alba. Lentamente è venuto fuori dal buio e si è mostrato. Grande e grosso. Non fa mica cagare, è bellissimo. Believe the hype, non dare retta a quelli del trailer. Ti piace la roba melodica e pesante? I Bennett sono cattivi e simpatici. Non cattivi simpatici come quei personaggi dei film che fanno la battuta e un minuto dopo commettono il crimine peggiore dell’universo (prima scherzavo con la storia dell’uomo fatto a pezzi), cattivi simpatici perché la loro musica è molto pesa, con picchi di satanismo, ma sembra fatta per cullarti. Si capisce meglio quando li vedi dal vivo. Gli vuoi bene e li vorresti abbracciare anche tu, ma intanto ti arriva la chitarra sui denti. È difficile scansarla perché ha quel movimento circolare infinito che t’imbambola.
Dicevo, per me è stato amore a prima vista. Love at first sight, come diceva Kilye Minogue, o Love at first fight, come dicono loro, o love at the first fig, cosa che mi succede ogni anno, dopo un anno di attesa, quando raccolgo il primo fico (in realtà, matalone, quello viola, grande) dall’albero di mio suocero. Quando arriva fine maggio vado e chiedo “Mario! Quando arrivano i mataloni?”, risposta: “Eeeeeh”, che vuol dire che devo portare ancora un po’ di pazienza. Dalla finestra della sala lo vedo, l’albero, ogni tanto lo guardo, ogni tanto vado giù e mi ci metto sotto a controllare a che punto sono. Quando arrivano è una droga. La natura è così meravigliosa che al secondo giro l’albero cambia genere, fa i fichi normali (quelli verdi, che mi piacciono ma non c’è paragone) perché se ti disse troppi mataloni ti stancheresti e l’anno dopo non fremeresti più come quello precedente. I mataloni durano poco quindi, l’attesa rinizia presto. E, quest’anno, il primo matalone è arrivato insieme al primo disco dei Bennett: si sono fatti aspettare uguale, lo stesso tempo, con la stessa intensità. E te ne hanno data poco per volta. Alla fine, sono finiti addirittura su Repubblica.
La promozione dei Bennett non è paragonabile a quella di macchine da guerra del marketing, come i Radiohead o gli U2, che inventano rompicapo quasi ogni volta che fanno uscire qualcosa. In quei casi la percezione di chi assiste è di fastidio nei confronti di un meccanismo che fa finta di giocare e di essere geniale in realtà spinge un prodotto. È musica, ma la stessa strategia potrebbe essere utilizzata per qualsiasi altra cosa. Lo scopo è fare promozione, ok, ma per riuscire davvero serve qualcosa di meno pensato, di almeno apparente spontaneo, di meno fastidioso, e che faccia parlare di musica, non del gruppo allo stesso modo in cui si potrebbe parlare di sigarette o di una macchina. Non c’è nessuna differenza nel dire “i Radiohead hanno oscurato il sito” rispetto a “la Marlboro ha oscurato il sito” perché al centro c’è un marchio, non un contenuto. BRAND. I Bennett hanno promosso il disco in modo simpatico e con tempistiche perfette. Per budget, dimensione e tipo di pubblico questi gruppi non sono paragonabili tra loro, ma a volte i colossi potrebbero copiare dai gruppi indipendenti per apparire più credibili. Oppure, facciano come vogliono, tanto in fondo, chissene, io ascolto ti Bennett. Che mentre scrivevo hanno pubblicato un altro spot.
Non confonderlo con bennettband.bandcamp.com, il bandcamp che t’interessa si chiama pigliabennett.bandcamp.com. E il disco è uscito per To Lose La track e Sonatine.