Come un fulmine dal passato, il mio disco preferito del 2023 è Bird Machine di Sparklehorse. Nessun altro album ha superato l’emozione di sentire nuove canzoni belle di Mark Linkous. Non c’è niente di più fuori tendenza di Bird Machine, che rispetto ai vocioni post post punk e all’indie rock pettinato di adesso ha una sua leggerezza e anche una sua originalità. Mai come quest’anno l’hyper pop ha trovato la sua esplosione e la sua canonizzazione in Caroline Polacheck, che a me non piace tanto, preferisco Fever Ray. Quanto ho ascoltato Radical Romantics non lo so, forse troppo, ma mi sono sempre divertito. È il mio secondo disco dell’anno, strano forte, ritmato, crepuscolare ma pimpante (non so come sia possibile). Poi arrivano i Pardoner con Peace Loving People e l’universo mi s’ingarbuglia perchè mi avevano detto che le chitarre erano morte e invece eccole qui in una forma smagliante. Daughter e Wednesday sono mezze seghe. Van Pelt, Dinosaur jr, Melvins tutti insieme, in un collage originale, come se fossero gruppi nuovi e il divertimento è assicurato.
“Uno, quattro, quattro! E il divertimento è assicurato!” (Konfettura, 144)
È vero che Angie MacMahon ci aveva abituato a un songwriting diverso, quello proprio del dolore, e che nel suo nuovo disco Light, Dark, Light Again ha quasi sempre un po’ più di sprint, ed è anche vero che io mi c’imbrodo nelle cantautrici tristi, figuriamoci, ma a me l’album nuovo è piaciuto lo stesso. Credo che abbia trovato una sintesi, e di sintesi ce n’è bisogno al giorno d’oggi. Avevo detto che il suo era il mio quarto disco preferito di quest’anno, in realtà adesso diventa il quinto, perchè Johnny Mox è il re della sintesi, quindi sale di una posizione. È il re della sintesi non è un’offesa, ma una cosa che a me piace moltissimo, perchè lui riesce a parlare di un sacco di problemi con poche parole e riesce a farti ragionare mentre l’ascolti, e perchè l’hai ascoltato, e la musica gli va dietro. Tutto questo, insieme. E lui è l’unico che riesce a farti ripensare alle cose di cui eri certo e sei contento di ripensarci. Io credo che abbia una cartola da paura e che il suo Anni Venti sia l’unico modo di interloquire col mondo: con la testa. Ho molto da imparare da Johnny Mox.
“Ciao, io cercavo un libro sugli universi paralleli, quelli veri però” (cit. una persona che esiste)
Andando avanti, credo che Daniel Blumberg sia un genio, lo era anche negli Yuck e nei Cajun DP ma adesso ha superato quel momento e ha trovato il mondo di scavare dentro se stesso veramente. C’è stato un momento dell’anno in cui ho detto voglio ascoltare solo GUT, è uscito in maggio e l’avrò ascoltato tre volte per intero, perchè è duro, però non è scaduto il tempo, il tempo non scade in questi casi, e (secondo però) bisogna tenere in considerazione l’importanza di un disco che hai ascoltato tre volte e ti rimane così tanto in testa, rispetto a un altro che hai ascoltato cento volte e ti rimane in testa allo stesso modo ma per forza: l’hai ascoltato tanto. Ci stavo riflettendo poi sono arrivate le Boygenius e mi hanno fatto sentire a casa mia, sono stato meglio. The Record è il disco più ascoltato dell’anno in negozio da noi, ma non so mica se è più bello di quello di Daniel Blumberg. In ogni caso, le amo, amo il progetto, amo le loro canzoni, amo le loro interviste, odio gli uomini palloni gonfiati, e ce ne sono. Penso di preferire Phoebe Bridgers in generale, nel dettaglio Lucy Dacus per i testi meravigliosi che scrive e Julien Baker per la voce e quel primo disco che ha fatto qualche anno fa, maledettamente bello. Così come mi piacerebbe essere capace di scrivere canzoni pop come fa Damon Albarn. Barbaric e The Narcissist sono perfette, però il resto del disco dei Blur ecco insomma si, bello, però mi aspettavo un po’ più di spinta.
“Buono, però.. mi sarei aspettato un po’ più di.. eeeee..” (4 Ristoranti di Alessandro Borghese)
E a proposito di spinta, in giro ce n’è, Again di Oneohtrix Point Never ne ha, così come Fly or Die Fly or Die Fly or Die (World War) di Jaimie Branch. Per il resto, datemi del noise metal. Unsavory Impurities dei Turin Horse ha una storia pazzesca, vi basti sapere che dentro ci sono i Dead Elephant, i Morkobot e gli Anatrofobia. Un disco teso al limite dello scoppio. Tra i dischi hip hop et similia: quello di Billy Woods e Kenny Segal, Maps, la cui grandezza underground è paragonabile solo all’altissima velocità con cui il vinile è andato fuori catalogo. Poi Quaranta di Danny Brown e gli Headache con The head hurts but the hurt knows the truth. Le ritmiche degli Headache partono hip hop ma poi si trasformano e si confondono con trip hop, un po’ di easy listening (non pensate male di me) e il miglior (davvero, non pensate male di me) Moby in loop. Tutto spoken word, tutto fatto con l’AI dicono. Quaranta invece è conscious jazzy. Quest’anno l’ho trovato però un anno pieno di chitarre belle, senza fronzoli, senza chiodo sotto l’acceleratore, non al livello dei Pardoner ma bene: lo slowcore dei Deathcrash, gli slacker Washer, i potentissimi Live Skull, i viscidi Liquami e la ristampa per Numero Group
(“Preghiamo.”)
di tutte le cose degli Everyone Asked About You. Mi è piaciuto molto anche il disco di Slauson Malone 1 ma sono un po’ combattuto perchè non sono convinto che il non genere che comprende tutti i generi sia il nuovo genere. Così come sono convinto invece che 100 Gecs si siamo divertiti tantissimo a fare 10,000 Gecs, quasi come le Boygenius nelle interviste (il loro è un modo innovativo di rilasciare interviste, ridere, raccontare aneddoti, partire per la tangente per le risate, essere amiche, mai visto un singolo cantante, anche il più simpatico, fare così). E insomma il fatto che i 100 Gecs facciano la stessa cosa di Slauson Malone 1 – cioè mischino i generi – però mi piacciano, non è affatto sospetto, perchè secondo me loro si sono divertiti di più e lo spirito con cui hanno fatto l’album è più quello di cercare nuove vie d’uscita, invece Slauson mi sembra che voglia fare un po’ il figo.
Il che è un buon proposito per il 2024… Non fare il figo, ma cercare nuove vie d’uscita. Buon 2024.