
Era una notte d’estate degli anni ‘80 e io ero a dormire dai nonni. Non riuscivo a prendere sonno così decisi di risolvere un problema che mi assillava da tempo: di quali band avrei potuto essere fan? Optai per:
– Madonna,
– i Queen,
– Elio e le storie tese.
E basta, non di più, perché sennò sono troppe e non riesco a seguirle, pensai. Non è che io avessi ascoltato chissà che, forse qualcosa in qua e in là. Comunque, prima di addormentarmi avevo deciso. E buonanotte. Si fa per dire, perchè feci un incubo: due uomini brutti, uno coi baffoni e i denti da castoro, l’altro con delle sopracciglia grandissime, tentarono di uccidermi, ma un bellissimo angelo biondo con il reggiseno a punta mi salvò. Non chiesi mai a mia mamma i soldi per comprare un disco dei Queen, o uno di Elio, ma di Madonna si. Avevo visto il concerto del Who’s That Girl Tour a Torino sulla rete nazionale, sia la diretta che la replica, mi piaceva davvero Madonna e quando mi salvò da quei due presi una cotta assurda per lei. Mi piace ancora. A chi non piace Madonna?
Aggiungo che un giorno mentre ero in gita con la famiglia e degli amici in un Virgin Megastore ho rubato la cassetta di Bad di Michael Jackson, mio babbo mi ha scoperto e mi ha dato uno schiaffone. Posso dire che la consapevolezza che mi piacesse la musica è passata attraverso tre momenti. La prima è l’acquisto di True Blue con il consenso di mia mamma (fase primi ormoni). La seconda è questo furto, fase ladro furbo come volpe. La terza è la fase della maturità: l’acquisto del primo disco in solitaria, Angel Dust dei Faith no more, che in camera mia all’inizio misi sullo scaffale di fianco a True Blue e Bad, trofei del mio passato ormonale e criminale turbolento, e che presto finirono in una scatola porta cassette sotto al letto, denigrati. Basta con quella roba, decisi di smettere, rappresentava il passato, ero pronto per il salto: dedicarmi alla musica giusta, quella che mi avrebbe cambiato la vita.
Per esempio, il grunge mi fulminò, ma non solo: erano anni voraci in cui le fasi musicali si susseguivano velocissimamente. Passai dal volere tutto dei Nirvana all’amare ogni singola nota dei Pavement al leggere addirittura il romanzo di Chris Leo dei Van Pelt, in inglese, capendone un quarto ma trovandolo comunque eccezionale.
A proposito di Grunge, mi è capitata sotto mano la biografia di Chris Cornell in cui Cornell racconta di essere stato eroinomane dagli 11 ai 14 anni, per poi smettere a 15, quando ha scoperto la musica, che l’ha salvato. I Soundgarden sono diventati la sua droga a 20 anni ma poi si sono sciolti, sono arrivati gli Audioslave e la carriera solista, acclamata, acclamatissima, ma per lui non era più la stessa cosa. Ha iniziato a imbottirsi di antidepressivi e dopo l’ultimo concerto si è suicidato, nel 2017. A volte, crogiolandoci nel desiderio che un cantante continui a pubblicare roba, pensiamo solo alla nostra soddisfazione e non a come si senta lui. Dalla sua storia ho capito che la musica, oltre a salvarti la vita, te la può anche togliere. E ho capito che la musica non è tutta uguale, puoi trovare soddisfazione in un certo tipo di musica, ma non in un’altra, che è sempre la tua, ma non è la stessa cosa, per tanti motivi. Non esiste un antidoto che si chiama Musica e qualsiasi cosa tu faccia o ascolti va bene. Il cugino di mia moglie (Gilberto) è molto appassionato di musica dal vivo e ogni volta che c’è una festa con un concerto lui va. L’importante è che sia nel raggio di 5 km, di più non si muove. “C’è la musica?” ti chiede, e puoi stare sicuro che se c’è, lui è là. Qualsiasi tipo di musica dal vivo, no problem, lui la ama tutta, lo fa stare bene. Possiamo dire che Gilberto sia il Pino Presti degli spettatori di concerti e che il suo sia un approccio totale, bello. E questo è il gilbertismo.
E tanti pensano sia sempre così, cioè una volta che gli hai detto che ti piace molto ascoltare musica sei fregato, da quel momento ogni volta che si parla di qualsiasi musica loro ritengono opportuno coinvolgerti. Alcuni ti mandano anche dei messaggi vocali. Ma può anche succedere che uno non ce la possa fare e che quindi abbia bisogno di una musica precisa, scelta, proprio quella, no un’altra. Non la devi solo scegliere, dev’essere quella giusta, è più un processo di conquista nei tuoi confronti, tu la ascolti e, o subito o più tardi, senti che c’è un terreno comune su cui vi muovete, che lei parla di te e che ti comprende, che tocca le corde giuste. Non sono un musicista e il mio è il punto di vista di un ascoltatore ma credo che il processo per un artista sia simile. Nel momento in cui un musicista scrive qualcosa, o partecipa alla scrittura, quello che crea è suo fisicamente, nel senso che l’ha generato lui, che ha partecipato alla creazione, ma questo non significa che abbia fatto la cosa più vicina a se stesso. I motivi per cui un artista s’imbarca in un gruppo (tipo Cornell negli Audioslave) possono essere tanti, credo (economici, per tenersi occupati o altro), e si può pensare di fare la cosa giusta, quella che ti darà di nuovo soddisfazione, ma poi la soddisfazione non riesci a raggiungerla e allora la musica non è davvero tua. Puoi fare musica X per anni e poi iniziare a fare musica Z ed essere soddisfatto oppure no. Così come puoi ascoltare una musica X per anni e poi scoprire altri generi, lasciarli scivolare sul piano inclinato della tua indifferenza oppure trovare un nuovo amore.
Quindi, può esserci un tipo di musica che ti piace più di tutte ma puoi avere anche altre anime, che ti fanno essere un po’ Gilberto ma non proprio Gilberto. Il mio rapporto con il noise metal è così. È diverso, per esempio, dalle fasi delle salse che metti dentro al toast. All’inizio, intorno ai 20 anni, ci metti il Ketchup, poi inizi a metterci la mostarda e sembri non voler più smettere. Ma arriva il momento in cui metti solo la maionese, per poi scoprire la salsa allo yogurt, speziata o meno. Infine, quando sei più grande e hai la gastrite, non metti più salse. E ogni volta che passi da una fase all’altra, della fase precedente non ne vuoi più sapere, chiuso, non se ne parla. Ecco, con certa musica che mi piace non è così. Ci sono cose che non riesco ad ascoltare nemmeno più da lontano – tipo andavo matto per i Guns e adesso non ce la faccio proprio – ma non è con tutto così. Mi piace ancora Madonna, appunto. E per tanto tempo ho ascoltato altro ma una volta che in me è stato posato il seme del noise, è cresciuto, lentamente – e ci mancherebbe che io andassi veloce – ma è cresciuto. Il seme è stato Stag dei Melvins (1996) e da lì ho scoperto quel miracolo dei TAD, il perfetto anello di congiunzione tra il grunge e il noise metal, poi gli UNSANE e la AmRep. Era come se quelle ritmiche lente e pesanti mi ipnotizzassero, tirando fuori un’energia latente, non proprio afferrabile e utilizzabile, ma presente e viva. Una figata, completamente diversa da gruppi che già amavo.
Ancora adesso, quando ascolto noise metal, sento la stessa cosa. Tra i miei eroi del noise metal di adesso ci sono i BENNETT. Che poi forse non si possono definire proprio noise metal, forse noise core, post hard core, forse tutte queste cose insieme. Ma insomma, la prima volta che li ho visti dal vivo sono rimasto impietrito, era come se mi cullassero in modo speciale, con le loro urla senza senso. Conoscevo già i Disquieted By che mi avevano fatto esattamente lo stesso effetto, e che avevo sperato tantissimo di vedere dal vivo, poi tra una cosa e un’altra è successo una volta sola. Una sola, ma indelebile. E i BENNETT dal vivo sono granitici, compatti e lentamente scattosi. I loro stop sono come un fermo immagine, c’è stato qualcosa prima e ci sarà, nell’immediato, qualcosa anche dopo, qualcosa che ti aspetti, che rimane per un attimo fuori campo, poi rientra e crea un’attesa che ti fa esplodere. Oddio, è una cosa che si può dire di ogni genere che usi lo stop and go, ma durante quel primo concerto avevo fatto una foto in cui David (il cantante) era preso a metà di un movimento, in quell’attimo in cui si era stoppato seguendo lo stop della musica, il che rendeva precisamente quest’idea. Ed era un po’ come le copertine degli UNSANE (tipo Wreck o Scattered, ma anche Blood Run) che lasciano sempre qualcosa fuori campo, qualcosa di violento. Io da quel momento penso ai BENNETT come alla band degli stop e delle ripartenze più potenti dell’universo (senti The season, la seconda di II, il disco nuovo; oppure Hurricane, la sei). Però i BENNETT non sono un gruppo violento. Non sono solo capaci di unire il noise metal a delle melodie catchy, cosa che credo sia una caratteristica del genere, ma spingono tantissimo nella direzione catchy, senza perdere di vista il suono peso (Red H(v)elm(v)et). E in più spingono moltissimo in direzione scrittura (Distant): le loro canzoni sono piene di svolte improvvise, di cambi di giro sorprendenti. In Romagna si chiama ARSIÓUR, quella foga di muoversi, di fare, di cambiare. È proprio una specie di scadore, un pruritone che non ti fa stare fermo, né con il corpo né con la mente, un moto perpetuo, una ricerca continua. In II si traduce in tanti cambiamenti di intensità e ritmo, dentro ogni canzone, e nel non essere mai fermo anche quando è fermo. Tutto questo, insieme alle lande desolate di ritmo sempre uguale che riescono a creare (All right), rende i BENNET gli eroi del noise sludge metal arsiòur core in Italia. Almeno per me, eh.
Questo tipo di cose non è sempre stata la mia comfort zone, ma mi ci trovo benissimo lo stesso. Negli anni ho preso confidenza col genere ma non è quel tipo di confidenza che mi permette di dire che si tratti di una vera e propria comfort zone. Che poi io sono un po’ in fissa con gli UNSANE, ma i BENNETT possono essere avvicinati anche a Torche o Cherubs. A proposito di Cherubs, in fila a un loro concerto qualche anno fa sentivo quelli davanti a me che elencavano le volte che li avevano visti dal vivo, o tutte le volte che avevano visto un concerto noise o sludge metal in vita loro. Una volta nella mia città si diceva che uno che si vanta, “sborra”. Ecco, loro sborravano un casino. Praticamente avevano visto solo di quella. Io invece no, per me era uno dei primi concerti noise. Uno di loro a un certo punto però ha detto che uno dei concerti più belli che avesse mai visto era quello dei Lemonheads, “uno dei miei gruppi preferiti anche se non c’entrano un cazzo”, cit.. Gli altri lo guardavano storto ma io lo volevo abbracciare come un fratello, però ho lasciato stare. Questo per dire che le nostre comfort zone principali s’incrociavano ma soprattutto trovavano altre comfort zone parallele in territori più o meno vicini. Individui te stesso, quello in cui ti riconosci e ti sei riconosciuto per anni, ami tutta quella roba lì senza la quale non potresti neanche esistere, ma ci può essere anche una parte di te che va in un’altra direzione, che fa sempre parte di te, non è minore, non è inferiore, né meno importante, né in contraddizione. È un altro lato. È possibile sentirsi a casa ascoltando un genere, ma anche un altro, con uno sei nella tua casa di sempre, con l’altro nella tua casa nuova, che senti che sta diventando una seconda casa, o semplicemente una delle case. Ogni volta che attacco il nuovo disco dei BENNETT sento un brivido di casa, non è la mia solita casa, quella in cui abito da una vita, ma è la mia casa. Del resto, casa è dove la fai*.
Bennett II (il cui vinile voglio ricordarlo è color MOSTARDA) lo ascoltate e comprate qui:
*cit. Wanda Maximoff