Split The Death Of Anna Karina/Chambers (per il Record Store Day 2013)

Split The Death Of Anna Karina + Chambers

Se l’anno scorso è uscito I cani non sono i pinguini, i pinguini non sono i cani, il 10” dei Gazebo Penguins più I Cani (42 Records e To Lose La Track, in streaming e free download qui), quest’anno per il Record Store Day, il 20 aprile, e poi sui canali normali delle etichette, esce lo split The Death Of Anna Karina e Chambers (Blind Proteus, Shove Records, To Lose La Track e Audioglobe), in free download da ieri su dicotomia.bandcamp.com.
Ad accomunare TDOAK e Chambers è (anche) il peso del suono, le tonnellate di distorsioni che riescono ad arrangiare in modi sempre cupi ma allo stesso tempo liberatori. Ho sempre trovato La mano sinistra dei Chambers (2012, Shove Records e To Lose La Track) molto vicino al piacere della dilatazione di Anticipazione della notte di TDOAK (in Lacrima/Pantera il primo album in italiano del 2011, per Unhip Records) e ho sempre pensato alle due band come a due realtà vicine per sonorità (alcune) e per senso di negatività (apparente, con una via d’uscita, forse) nel loro modo di pestare.
Il risultato ultimo, per ora, di questa vicinanza lo sentiamo in questo split. L’accostamento di Chambers e TDOAK diventa confronto e il confronto diventa la scoperta di due band che corrono una accanto all’altra senza mai giustamente incontrarsi del tutto: più i Chambers suonano apocalittici, più i TDOAK diventano crudi. Due lati di una stessa medaglia, o forse no, comunque due modi di soffiarci in faccia una necessità: mantenere lo sguardo attento su ciò che siamo e su ciò che c’è al di fuori di noi.

Venerdi 12 aprile TDOAK hanno suonato al Brainstorm di Fusignano con La Svolta e Jackson’s Relatives. Proprio in quell’occasione mi sono accattato in anteprima lo split di cui a questo articolo, e ascoltato i pezzi nuovi di TDOAK dal vivo.

Lo split è fatto da sette pezzi, quattro di TDOAK, tre dei Chambers (di cui uno feat. Johnny Mox).

Split The Death Of Anna Karina/Chambers, lato The Death Of Anna Karina

The Death Of Anna Karina, lato ANero parte con una batteria tesissima e si sviluppa meno spigoloso rispetto alla linea su cui corre Lacrima/Pantera. L’attacco della batteria ricorda per cattiveria quello di Every Revolution Is A Throw Of Dice (in New Liberalistic Pleasures, Unhip 2006), un pezzo che appartiene a un passato già molto lontano.
La seconda canzone dello split, Crepuscolare, ritorna con un giro di strofa che recupera in parte le sonorità dell’album del 2011, un muro gonfio e ostinatamente impenetrabile. Poi niente è una piacevolissima sorpresa perchè ci riporta alle ritmiche veloci dell’hard core newyorkese di fine anni ’80, affiancandole però a TDOAK, che non perdono mai in personalità e mantengono sempre dritto il timone verso la meta, verso la nota di chiusura che interrompe ogni pensiero, testardi e sempre profondi.

Labile è il ponte ideale verso i Chambers, che aspettano di essere ascoltati nell’altro lato. In Labile il basso steso a tappeto e gli incroci delle chitarre creano un gioco di rimbalzi notevole. E il ritornello “Non si può morire (la paura ti parla nel richiamo animale) senza vivere” è chambersiano di brutto, così come il finale strumentale e quasi romantico, ma nero come la notte, o la pece. TDOAK nascono anni prima dei Chambers ma in questo caso è interessante sentire come le cadenze dei secondi penetrino e modifichino quelle dei primi e come le due formazioni si avvicinino sporcandosi l’una con l’altra, facendosi guidare solo dal suono, e dalla volontà di creare potenza.

TDOAK, in tutti i quattro pezzi dello split, così come dal vivo, hanno il controllo totale della materia che creano. Gli stacchi, le pause, i passaggi, e tutte le parole formano un insieme di una precisione che urla, per quanto è esigente e riuscita. Sparatevi il basso e le chitarre in Labile. E poi le svise della batteria.

Split The Death Of Anna Karina/Chambers, lato Chambers

Chambers, lato BLabile crea continuità con La sera leoni, la mattina leoni, il primo brano dei Chambers. Lo split dimostra di funzionare ancora come forma di edizione musicale anche grazie al tipo di legame (particolare) tra chi vi ha partecipato in questo caso, un legame musicale. Ma non solo: il legame tra questi due gruppi è anche universale, come quello che si crea tra tutti i gruppi (e le etichette) che decidono di condividere un disco, di fare insieme tutti gli sforzi per arrivare al risultato.

I Chambers attaccano quindi con La sera leoni, la mattina leonifortissima di un giro di chitarra strepitoso e delle aperture, caratteristica anche di La mano sinistra, che portano i pezzi ad avere un respiro molto ampio. L’inizio del lato B è buonissimo. Accelerazioni e rallentamenti, controllo e potenza danno l’idea e la misura della crescita dei Chambers rispetto all’ultimo lavoro dell’anno scorso. Prosegue il viaggio verso la novità iniziato con La mano sinistra dopo il primo EP Self Titled (2010, TDD Records, Shove Records, Arctic Radar, Que suerte! Records), cantato in inglese, con una più chiara attitudine e spinta alla Fugazi (Margin Walker). Ma già in Second Wall War (da Self Titled) la chitarra arpeggiava con la stessa forza con cui lo fa nell’attacco di La sera leoni, la mattina leoni. Segno che il cambiamento non viene mai all’improvviso.
Tutto è bene quel che finisce ha un andamento più lineare, e aggiunge nel finale la rielaborazione acuta e pungente dell’eco sonica dei Sonic Youth. Mai un abbassamento della tensione, mai un cedimento del ritmo, sempre perfetta l’unione del testo e dello strato musicale, sempre altissimo il livello degli arrangiamenti. Un suono che sembra rotolare corposo e non fermarsi mai nella sua evoluzione interna: una pasta tosta, consistente e infrangibile, anche quando il basso accompagna, solo, la voce.

Le facce uguali di due medaglie diverse è l’ultimo pezzo dello split. I Chambers continuano a giocare con le parole nei titoli, nei testi, in maniera geniale e ironica. Qui arriva Johnny Mox: un’eco all’inizio del brano, che poi s’interrompe, e a un tratto ritorna. La collaborazione è quasi una visione separata, ognuno sembra prendersi solo il suo spazio, senza spingersi oltre e senza creare una vera amalgama. Questo è l’unico limite di un pezzo che procede lento e inesorabile, dirompente e senza sosta, cadenzato diversamente rispetto ai due precedenti, arricchito dalla parentesi centrale di Johnny Mox, di per sè esplosiva, con la botta che appartiene anche a We=Trouble, il suo album, grandioso.

Non posso non parlare dell’oggetto, del vinile che ci hanno fatto uscire Blind Proteus, Shove Records e To Lose La Track: un’edizione che ha i suoi punti fortissimi nel colore del vinile (grigio con le fiamme bianche), nell’artwork di Francesco Barbieri e nel centrino, che completa i nomi C H A    E R S e THE DEATH   KARINA solo se inserito nella busta interna. Edizione limitata, 500 copie, packaging gatefold cartonato. Ripeto: fuori nei negozi di dischi per il Record Store Day il 20 aprile e poi sui canali regolari delle etichette. Neuoroni ce l’ha in anteprima, grazie al concerto di TDOAK al Brainstorm.
In free download qui da ieri.

chambersband.wordpress.com
www.thedeathofannakarina.com

Il lato di The Death Of Anna Karina è stato registrato e missato presso Igloo Audio Factory di Correggio da Andrea Sologni. Il lato dei Chambers è stato registrato all’Hombre Lobo Studio di Roma da Valerio Fisk. Entrambi i lati sono stati masterizzati da Andrea Suriani presso Alpha Dept. Studio, Bologna.

Hymn for the Bad Things (Mamavegas), un disco così a novembre ci voleva proprio

“Non pensate alle cose brutte mentre siete a letto di notte, o anche di giorno, esse si moltiplicano e diventano molto più grandi di voi. Tanto che se poi ci pensate da svegli, le risolvete”. Il mio professore di storia dell’arte al liceo era un uomo saggio, lui snocciolava perle di saggezza come questa ogni giorno.
Questa mattina stavo pensando a una cosa brutta, nel letto, una roba durissima da risolvere. Poi ha suonato la sveglia, l’ho spenta e senza neanche togliermi i caccoli dagli occhi mi sono connesso a internet con il mio smartphone. Sempre con il pensiero a quella cosa brutta sono finito in questo link. Trattasi dello streaming dell’album dei MamavegasHymn for the Bad Things, uscito ieri per 42 Records. Attenzione perchè in Italia la distribuzione è Audioglobe, all’estero (da febbraio) Rough Trade.
Con il ditone ancora caldo di coperte ho fatto click sul simbolo play accanto alla canzone numero 1, Mean and Proud (Beauty). Un pezzone della madonna che ricorda le migliori cose fatte da due gruppi che mi garbavano assai un tempo, Gomez e (soprattutto) Mojave 3. Sempre in quel link leggo che Hymn for the Bad Things è registrato all’Igloo Audio Factory di Budrio di Correggio e al White Lodge Studio di Roma, posti in cui, a giudicare da questo e da altri risultati partoriti, si lavora assai bene. A Budrio una volta hanno suonato i Ramones.
Lo stile è quella della migliore via per scrivere un disco oggi, fottendosene un bel pò delle mode del momento, delle varie musiche scarne e senza struttura che trionfano ora. Qui la struttura c’è, gli arrangiamenti e il suono escono da dio anche sul mio smartphone, il che è tutto un dire. Arpeggi di chitarra, pianoforte e momenti in cui i fiati salgono trionfali vincono sul nulla. E allora, largo al momento finale di Sooner or Later (Time). Proprio Sooner or Later (Time) mi ha fatto scoprire una cosa simpatica: se appoggio il mio smartphone sul mobile del bagno si amplifica e si sente in tutta la casa con dei bassi da paura. Detto questo, giuro che non parlo più della mia camera da letto e del mio bagno, potrebbe risultare scortese e fuori luogo.
Tra l’altro, il link con lo streaming di Hymn for the Bad Things è fico perchè si possono leggere anche i testi, che non sia mai che imparo un pò d’inglese in più. A proposito di inglese, i Mamavegas sono italiani come Trastevere ma la pronuncia che il cantante sfoggia potrebbe benissimo essere quella di un singer anglosassone.
Hymn for the Bad Things infila suoni nuovi in ogni pezzo. La delicatezza con cui vengono sviscerate le idee musicali è sublime. Non manca nulla, perchè a un tratto, in Solid Land (Nature), si sente anche l’eco di Lee Ranaldo, lontano anni luce da questo genere di musica, di arrangiamenti e di suoni. Gli inserti di basso e batteria nella seconda parte della canzone sfoggiano un’originalità niente male. Gli archi che, come si suole dire, entrano ed escono, sono accompagnati dai violini, che invece cavalcano e spezzano l’andamento dell’arrangiamento a questo punto (nel finale) divenuto corale.
Nella seconda parte il disco prende una piega più pop, con Black Fire (Trust) e Tales From 1946 (Love), anche un pelo troppo. Rispetto alle tracce precedenti, Tales From 1946 (Love) perde un pò di lucidità e scorre troppo veloce per reggere il confronto con quello che abbiamo ascoltato prima.
La svolta pop viene un pò (quasi) subito accantonata con Self-Portrait in Four Colours (Happiness) in cui tutto rende alla perfezione, con scelte di suono e passaggi che sembrano aggiornare il lavoro di band ottime ma a un tratto troppo concentrate sulla strumentazione, che diventava eccessiva. I Mamavegas la mantengono ma la  asciugano pure.
Se incontrassi mai il mio prof. di storia dell’arte, gli direi professore, se le capita di pensare cose brutte mentre è nel letto, opponga resistenza, si alzi, cacci su Hymn for the Bad Things e balli, oppure pensi. Vedrà che molte cose le sembreranno più piccole. A me è successo un sabato mattina che ero ancora in pigiama.
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