Dixi 2022 (una classifica)

Ci sono alcune cose che sono successe quest’anno nel negozio nuovo (non voglio fare pubblicità ma siamo in via don minzoni 15 a Santarcangelo di Romagna). Abbiamo aumentato lo spazio dei dischi*, si è sparsa un po’ la voce e hanno iniziato a venire persone che prima non erano mai venute. Sono successe alcune cose, dicevo, alcune piacevoli altre spiacevoli. Le spiacevoli vorrei non accadessero ma sono sicuramente più divertenti. Una delle ultime, quella di quel signore che comprando l’LP di Abbey Road mi ha detto ” ‘scolta me, guardalo bene questo disco” con lo sguardo di chi stava portando via una gemma sconosciuta ai più, me compreso, lui escluso. Per poi dirmi ” ‘scolta me, mi fai cifra tonda”, senza punto interrogativo, “i prezzi sono scritti a mano, quindi li avete fatti voi”. Oppure una delle prime, quel ragazzo che è entrato, ha guardato distrattamente i dischi e mi ha chiesto “Ma li scegliete a caso oppure…?” (c’è una categoria di persone molto particolare, misteriosa, non foltissima ma rilevante: quelli che non finiscono mai le frasi). Poi ci sono gli sboroni, quelli che hanno visto 18 volte i Sonic Youth, 20 volte i Fugazi, 11 volte Morricone e una volta anche Elvis. Hanno alle spalle milioni di ore di ascolto oltre a una collezione “che nel tuo negozio non ci starebbe”. Poi, simile, c’è un tizio che abbiamo soprannominato “li ho già tutti”. E alla fine – ma solo per ora – arriva il ricattatore, che ti dice che gli piacciono praticamente solo i Culture Club e lancia il guanto di sfida: “dammi un disco, se mi piace torno, sennò non mi vedi più”. Non l’ho più visto. Le cose piacevoli, dicevo, succedono e sono bellissime, per fortuna che succedono. Ma quelle spiacevoli mi hanno fatto capire una cosa importante: che quando andavo da Oscar, pensavo fosse un po’ troppo burbero coi clienti, e invece alla fine probabilmente era solo un modo per difendersi. Tutto questo per dire una cosa, cioè che è da marzo che non scrivo niente qui, e lo faccio adesso per fare la classifica dei migliori dixi del 2022 secondo me, che è il risultato dell’aver ascoltato la metà della metà della metà della roba che è uscita, e quindi è relativissima. E mi immagino cosa potrebbe dire “li ho già tutti” leggendola. Ho tentato di trovare qualcosa che non ha, ma credo sia impossibile.

My FINAL CLASSIFICA

Il primo posto è ora indiscusso, anche se alcuni album hanno dato del filo da torcere a Tomberlin. Rosalìa e Kee Avil hanno fatto due dischi rivolti al futuro ma che alcune volte lasciano dei vuoti emotivi durante i quali perdono di intensità e concretezza. A dirla tutta, credo che ancora più avanti di Rosalìa, che parte da suoni del presente e ipotizza un futuro, sia stat Kee Avil, che ipotizza un futuro senza un’eventuale appiglio al presente. Il disco di Tomberlin non è sicuramente un disco che si spinge più in là del presente, è un disco del presente (cantautorato femminile indie pop e introspettivo) ma non c’è una canzone che non mi sfondi il cuore, oltre ad avere melodie molto belle, una scrittura originale, un po’ imprevedibile, sotto la guida di una voce perfettamente sintonizzata ma anche riluttante che diventa perfetta descrizione del nostro sentimento nei confronti del presente. Per questa sua capacità di esprimere il presente credo che sia indiscutibilmente il mio album preferito del 2022.

Gli Alvvays hanno saputo superare ogni tentazione post punk e hanno dato forma alla canzone pop rock come deve essere oggi, cioè con un carattere, con una personalità propria, che non scimmiotta gli altri colleghi o il passato ma prosegue il percorso dei dischi precedenti, riparte da lì e crea sensazioni sonore nuove, che uniscono pop rock, show gaze e new wave e gli danno una cadenza inedita.

Il disco di Lucrecia Dalt ha una forza tentacolare. Prima di tutto unisce elettronica e percussioni in un modo che sembra essere un incrocio tra paradiso e inferno, suscitando un’attrazione duplice, una nei confronti delle scelte musicali, l’altra tutta sensuale. È un disco bello perché sono belle le idee che contiene, sono belli i suoni, le ritmiche, è bello il gusto trip-hop legato al passato che ti dà ascoltarlo ed è bello il mix di musica colombiana tradizionale che ti spedisce altrove: Cumbia, Salsa e Merengue però rallentate. Lucrecia Dalt è colombiana e come Rosalia (che è spagnola) usa e modifica la musica latina, anche se in modo diverso.

I Moin sono sicuramente il disco in cui ho trovato più conforto, anche se è teso come una corda di violino. Si tratta di un album unico nel panorama delle uscite di quest’anno, almeno tra le cose che ho sentito io, post hard core misto slow core misto post rock. I Clever Square proseguono sulla loro strada post-slacker scrivendo roba che trovo ogni volta più irresistibile, a ogni ascolto. Le radici nell’indie rock americano rimangono la base delle canzoni, ma la strada che hanno intrapreso (già dal disco precedente) è la loro strada. Melodia, pacatezza e una capacità di scrittura molto al di sopra della media, che traccia un percorso tra semplificazione e complessità, nei testi come nella musica. Linqua Franqa fotografa perfettamente la situazione politica americana post Black Lives Matters, ne riverbera l’eco dopo il clamore mediatico ormai spento rendendo valido l’appello ogni volta che gira il disco e ogni volta che la senti gridare “If I die don’t pray you better riot”. Il disco diventa così un simbolo e un mezzo d’espressione universale della lotta contro la violenza e l’arroganza del razzismo. Quello di Maria Chiarà Argirò è il mio album di elettronica e jazz dell’anno. Mi perdo ogni volta che tento di seguire tutti i rivoli in cui si dipana questo disco. 

E alla fine arrivano i Sorry che con un nome e delle facce così non possono che essere i migliori interpreti dello spirito loser di questi primi anni ‘20, perchè ancora oggi, in un mondo ossessionato dal successo, scegliere la sconfitta è rivoluzionario. Le loro canzoni sono dolci, storte ed energiche e se c’è una cosa che mi piace di loro è che non si lasciano sfuggire il fatto che è importantissimo fare questa musica oggi ed è altrettanto importante farla con originalità.

Metto qui la classifica, dalla 10 alla 1 per creare suspense.

10. Sorry, Anywhere but here
9. Maria Chiara Argirò, Forest City
8. Linqua Franqa, Bellringer
7. Clever Square, Secret Alliance
6. Moin, Paste
5. Rosalìa, Motomami
4. Lucrecia Dalt, ¡Ay!
3. Kee Avil, Crease
2. Alvvays, Blue rev
1. Tomberlin, I don’t know who needs to hear this

E per la serie il riciciclone, riciclo una storia raccontata sull’instagram:

Insomma in negozio abbiamo una finestra che dà su un giardino interno molto bello, curatissimo. Questa mattina l’abbiamo aperta, nel tentativo di far entrare un po’ di aria apparentemente fresca, e abbiamo messo su un disco. Il proprietario del giardino era seduto in mezzo alle sue piante a leggere il giornale. Dopo un po’ mi chiama e mi dice 
“Bellissima questa musica, chi è?”
“Si chiama Tomberlin” 
“Mette una tranquillità, è di una delicatezza… Alzi un po’ così sento meglio?”

Nelle canzoni di “I don’t know who needs to hear this” di Tomberlin lo spazio sembra più grande: lo ascoltiamo. Lo spazio è la sua voce, che ha la caratteristica molto accattivante di essere perfettamente sintonizzata ma anche quasi riluttante. Lo spazio è una vecchia chitarra acustica appena pizzicata, un sintetizzatore alla deriva, percussioni spazzolate o belle dritte ma comunque rilassanti, un clarinetto e un sassofono dai movimenti molto ampi, i trilli aleatori di un pianoforte. E la profondità di questo spazio trasmette un amore intenso per la scrittura e l’esecuzione, come se ogni canzone fosse la scoperta di un rifugio. O di una piuma nelle nostre mani. 

Il nostro vicino se n’è accorto. Ma infatti io dico che è l’unico vicino al mondo che chiede di alzare la musica e non di abbassarla.

ALBUM DA ‘SCOLTARE

Ho ‘scoltato altri dischi che mi sono piaciuti molto. Ecco la lista, con qualche commento in qualche caso. Imprescindibile come tutto il resto.

Mai Mai mai, Rimorso

Lyra Pramuk, Delta. Provo una sensazione di vuoto quando lo ascolto, non so se è il Nirvana o se è la (agognata) concretizzazione di un distacco emotivo totale da un mondo di merda, e allora se fosse così potrebbe essere il disco dell’anno. Ma non so se è così, non so se l’ho capito bene. Questa mia incertezza su questa cosa vince sul valore del giudizio soggettivo che assume grande importanza mentre compili una classifica di fine anno, quindi ho lasciato Delta fuori dalla classifica.

Mykki Blanco, Stay close to music. Il più bello tra quelli fuori dalla classifica, che è come se fosse in classifica.

Little Zimz, No thank you

Gazebo Penguins, Quanto. Come dice @disappunto, menano ancora.

Comaneci, Anguille. L’ho ascoltato mille volte, è bellissimo.

Rtj4, Cu4tro

Kendrick Lamar, Mr. Morale & The Big Steppers. Per me è troppo, ma è indiscutibilmente un disco dal valore artistico immenso.

Caterina Barbieri, Spirit Exit

Emma Nolde, Dormi. Mi sono ritrovato in molte cose, anche se ho 40 anni suonati. Voglio dire che dovrebbe essere un disco rivolto soprattutto ai ragazzi di oggi, e invece parla molto anche a quelli di ieri.

Kelly Lee Owens, LP.8

Pinegrove, 11:11 (è colpa della Fede, li ha voluti mettere su 800 volte ultimamente e mi ha preso per sfinimento)

Moor Mother, Jazz Codes. Sempre unica.

Widowspeak, The Jacket. Mi sono perso il concerto al Bronson e mi mangio le dita, mi hanno detto che è stato molto bello.

Federico Albanese, Before and now seems infinite

Perera Elsewhere, Home

Loraine James, Building something beautiful for me

OvO, Ignoto 

Danger Mouse & Black Thoughts, Cheat Codes

Burial, Antidawn

Lleroy, Nodi

Chat Pile, God’s country. La miglior cosa pesa ascoltata quest’anno.

Carmen Villain, Only love from now on 

Big Cream, Hanging. Un cambiamento eccezionale, non sono più attaccati ai modelli come lo erano nel primo disco, il primo disco mi piaceva tantissimo, adesso si sono avvicinati al post punk e c’è qualcosa di speciale che li rende meno post punk e più interessanti di più della metà della roba post punk uscita quest’anno e l’anno scorso e l’anno prima.

Buon 2023.

*è una delle cose più belle che mi siano mai successe nella vita

Metti le dita nella presa

Metti le dita nella presa è la prima canzone di TOTALE! primo disco dei TOTALE! uscito nel 2021 e prodotto dall’etichetta EEEE. Al progetto hanno partecipato un sacco di persone:
– Luca Tanzini (Tab_Ularasa, alla voce, chitarra e theremin) 
– Gianmaria Zanda (Forse, membro di The V.AC. / The Bomb & the 85th Koala, alla voce, chitarra, organo elettrico e basso)
– Flavio Scutti (basso, organo elettrico, Fender Rhodes e glockenspiel)
– Beppe Sordi (sintetizzatore modulare)
– Damiano “Dug” Merzari (batteria)
– Luca Ciffo (registrazioni, missaggio, tastiere, percussioni e cori)
– Riccardo “Rico” Gamondi (mastering)
– Simone Type (grafica, serigrafia e packaging) 
– Vasco Viviani (produzione). 

Quando andavo da mia nonna, lei aveva una paranoia, ne aveva tante, ma una delle più solerti era che mettessi le dita nelle prese di corrente. La situazione tipica era: io in sala a fare i compiti, lei in cucina, mi portava una cedrata e una fetta di pane burro e zucchero e mi diceva: “Io sono di là, chiama se hai bisogno. Non mettere le dita nelle prese!”. Per sicurezza, ci metteva una sedia o uno sgabello davanti, oppure il nastro adesivo. Ero grandicello, prima o seconda media direi, ma niente, aveva questa paura. Mio nonno, per non essere da meno, era fissato con le placche delle prese e controllava sempre che fossero ben solide. Lo faceva anche a casa mia. Stavo in una botte di ferro. Ma la situazione non era rilassata, io ero spaventato e non volevo metterci le dita dentro. Allo stesso tempo, ero curiosissimo di farlo. Cosa sarebbe successo? Sarei diventato una televisione? Un frigorifero? Quale elettrodomestico? Sicuramente se avessi potuto scegliere avrei detto tostapane, perchè mi piaceva il pane tostato e sarei stato fiero. O sarei diventato l’uomo elettrico, che qualsiasi cosa tocca carica? La prospettiva non mi dispiaceva. O un palo della luce. Già questa mi piaceva di meno. 

Una volta ho provato a mettere le dita nella presa. I nonni facevano il pisolino in sala, io sono andato in cucina, ho infilato il braccio sotto lo sgabello, ho tolto il nastro adesivo e l’ho fatto. Ma non è successo niente. Al posto delle dita non avevo dei cannellini. Penso sia stato uno di quegli episodi che mi hanno aiutato a diventare grande, a non credere a tutto quello che i genitori, i nonni o gli zii mi dicevano, a iniziare a sviluppare un pensiero mio sulle cose, basato su una qualche esperienza, che prima non potevo avere perchè ero piccolo per averne un numero sufficiente a sviluppare un bagaglio consultabile in caso di bisogno.

Mi è tornato alla mente questo ricordo ascoltando Metti le dita nella presa. Il testo dice che se il tuo ego è troppo ingombrante, devi mettere le dita nella presa: la corrente elettrica uccide l’ego. Lo si apprende dal fatto che l’ego si stava guardando allo specchio, all’improvviso compare un palo della luce che sbatte contro la testa dell’ego e lo uccide. Insomma è una canzone sull’ego, su quelli che ce l’hanno troppo grande. Mi ha fatto pensare a una canzone di Caso: tutto un altro genere, tutto un altro modo di scrivere, ma sono entrambi testi contro l’Ego. Io ho un ego delle dimensioni di una stellina n. 27, non è sempre un vantaggio, anzi spesso è uno svantaggio, ma queste due canzoni contro l’EGO mi rincuorano

Metti le dita nella presa è una canzone assurda. Ma non è tanto l’essere assurda che mi stupisce, visto che è assurda come tutte le altre canzoni di Tab_ularasa. A stupirmi è il fatto che da una parte il testo sia raccontato come un trip (zero realistico), dall’altra la musica sia sincopata e molto sui denti (molto realistica). 
Il testo si serve del surrealismo di Tab_ularasa e parte da un non risveglio, che è più di un semplice sogno: siamo oltre Bunuel. Cosa succederebbe al tuo ego se domani mattina non ti risvegliassi? Quindi non cosa succerebbe a te. Cosa succederebbe al tuo ego. La conclusione è che il tuo ego è talmente grande da riuscire a sopravvivere alla tua morte, se non fosse per quel palo della luce sarebbe ancora in giro.
La musica è un noise blues punk rock con un giro (quasi sempre) uguale a se stesso, ballabile, di quei balli che durano un minuto e fai tutto con le spalle, un po’ alla Lindo Ferretti sul palco con i CCCP. Estremamente concreto. Il basso, molto punk rock italiano, sempre insistente, che non molla mai un secondo, è zelante e questo lo rende fisicamente molto presente.

Musica e testo cozzano, accostano due mondi separati, fatti di consistenze diverse: è questo che fa di Metti le dita nella presa una canzone spiazzante. Non avevo mai notato questa divergenza nelle canzoni di Tab_ularasa, forse c’è sempre stata ma io non l’avevo notata, di solito venivo colpito (in testa proprio) dal modo in cui il testo e la musica si sposassero bene a livello di sghembezza. Con i TOTALE! le cose cambiano. Il disco contenente Metti le dita nella presa infatti non è solo fatto dell’ego di Tab_ularasa (forse Metti le dita nella presa uccide il suo ego? quindi Metti le dita nella presa c’est moi?) ma è costruito sulla collaborazione.

TOTALE! risente soprattutto delle precedenti produzioni di Forse e Tab_Ularasa, ognuno dà il suo contributo, nello specifico Forse sfoga il proprio tocco psichedelico-acidulo anni ‘50, Tab_ularasa la vena pop-sperimentale indie-rock. Alcuni dei brani di Tab_Ularasa presenti in TOTALE! sono di qualche anno fa. Forse lo potete sentire qui in un lavoro recente, chi meglio di lui può spiegare se stesso: Harmony. Secondo me, in TOTALE! si sono influenzati a vicenda.

E la cosa assurda è che, pur essendo un album di spiantati, potete benissimo metterlo su a una festa per far ballare gli invitati, perchè in fondo è un cazzo di disco soul e rock’n’roll (con un gospel al centro). Roba che per elettrizzarvi allo stesso modo dovete mettere le dita nella presa. (Posso solo aggiungere una cosa: sulla pericolosità del gesto, i TOTALE! sono d’accordo con mia nonna).

Tutto il disco: TOTALE! dei TOTALE!

Ciro l’Immortale

Settimana scorsa è balzata alle cronache locali una notizia che ha gettato un raggio di ilarità sul freddo marzo romagnolo: a Gatteo Mare, un uomo sulla cinquantina, ogni giorno, per tutto l’inverno, è uscito di casa in costume, è andato in spiaggia e si è fatto un bagno. Dieci minuti un quarto d’ora e usciva, senza telo, e tornava a casa. Soprannominato Ciro l’Immortale, con l’arrivo dei primi soli di primavera non s’è più visto. Giustamente. Penso a lui come al Re del mare, che si manifesta solo nei mesi più freddi. Io sono freddoloso da sempre, faccio la doccia calda anche d’estate. 

Mi chiedo dove certe persone trovino la forza per fare certe cose, e le invidio. Mi chiedo anche che bisogno ci sia di farle. Uno sforzo così grande rivolto a una cosa del genere è sensato? Cosa spinge le persone a fare gesti estremi e con un livello di pericolo simile? Lo fanno per superare i propri limiti, per il gusto del brivido o solo per machismo? A volte la volontà di affermare se stessi e l’essere maschio spinge a fare cose incomprensibili. Ma perchè mettere a rischio la salute per fare una cosa del genere? Forse hanno ragione gli inglesi quando dicono che “prendere freddo” è un concetto che non esiste. Prendi un raffreddore, un virus, ma non perchè sei stato al freddo. A casa mia siamo cresciuti con la nonna e la mamma che dicevano “copriti che prendi freddo”, quindi io non posso credere agli inglesi. Ciro sta bene? Conseguenze? Mi piacerebbe saperlo.

C’è chi l’ha fotografato. E c’è anche chi è pronto a giurare che ogni giorno, prima di partire, Ciro ascoltasse la stessa musica nel salotto di casa sua, per caricarsi: Ciro ha una compilation per fare ‘sta cosa. Secondo la testimonianza di un vicino, che preferisce rimanere anonimo, la compilation è composta da tre canzoni di tre note band italiane: i Chivalà, i Bennett e gli Ormai. 

Abbiamo raggiunto Ciro al telefono, per fargli qualche domanda.

Ciao Ciro, perché gli Ormai?
Ma come? Mi avevi detto che le domande erano sul bagno d’inverno.

Si si, dopo, dopo. Perchè gli Ormai?
Ok.. Ho sempre trovato irresistibile il punk rock italiano. Ho sempre trovato interessantissima la lettura che ne davano i Verdena. Non c’era solo il punkrock, ma anche il noise, un po’ di metal annacquatissimo, un po’ di rock all’italiana. Non male. Ma dei Verdena mi facevano schifo i testi, proprio una merda. In questo periodo avevo bisogno di testi nichilisti. Raccontare è un peso inizia così: “dimmi, racconta cosa vuoi davvero, ma del resto importa?” ed è solo uno dei ganci di pessimismo cosmico che ci sono nel disco degli Ormai. Poi Vacuna, la prima canzone, a un certo punto dice: “scena comica, okay, non so che fare, il suo castello è il male, sciogli il brivido, tu sei neve, e il cuore in gola spinge già” e appena l’ho sentita mi è venuta l’idea del bagno al mare durante l’inverno. Ecco perchè è nella compilasion di preparazione. E ce l’ho messa anche perchè la musica mi dà una carica pazzesca. Che poi alla fine i Verdena non c’entrano niente, era solo per inquadrarti un po’ la questione.. capito? C’è questa cosa negli Ormai, che sono forti ma anche deboli, e sono esattamente come me quando sono in acqua e fuori ci sono due gradi: resisto, ma potrei essere a un passo così dalla fine. C’ho una certa, io, ormai (appunto). Ride, ndr.

Perchè? Quanti anni hai Ciro?
59.

Però. Complimenti. E perchè i Chivalà?
Ancora? La t’è piasuta la storia d’la compilaession eh? E mi burdél. Ma te lo dico con piacere, come avrai capito, anche a me piace il rock duro. I Chivalà li ho conosciuti perchè sono un fan dei Bennett. E quest’inverno non c’era niente che mi desse la carica come l’attacco di Lavoisier dei Chivalà. Poi c’è l’arpeggio che mi ricorda sia il post hard core più classico sia i Massimo Volume e io me lo ricantavo quando ero in acqua, per cullarmi e resistere. Quando sento il cantante urlare di gola è come se urlassi io, è liberatorio e penso sia un ottimo modo per prepararsi ad affrontare il freddo, quindi nella compilession anche loro ci stanno benissimo. I Bennett invece, beh, i Bennett sono i re italiani di questa roba qua. Quand’ero più giovane c’erano i Disquieted by, intramontabili. Anche i Chivalà belli pessimisti eh, diobo. Beh loro sono molto riflessivi, rimuginano, mi ricordano mio figlio, che ha la capacità di vedere sempre solo il lato negativo delle cose ma poi quando si riprende è molto teatrale, sottolinea molto che si è ripreso. Per me è un atteggiamento che ci sta nella vita, l’importante è riuscire sempre a rialzarsi in piedi (Ciro filosofo italiano ndr). E anche loro invernalotti, i Chivalà dico. Con quel crescendo di Irreversibile mi fanno diventare matto. Tra l’altro sia gli Ormai sia i Chivalà sono di Bari, no?, siamo vicini, facciamo il bagno nello stesso mare, solo che loro lo faranno d’estate, solo io lo faccio d’inverno. Ah che no”.

No, gli Ormai son di Roma.
Beh, e va bén li stés, anche a Roma c’è il mare no?

Con Ciro siamo diventati amici, il prossimo inverno ci siamo ripromessi di farci una birra. D’estate esce poco. Quando gli ho chiesto perchè faceva il bagno d’inverno, ha detto che aveva bisogno di qualcosa attorno a cui concentrare il proprio interesse. E questa cosa del bagno lui non l’ha mai vista slegata dalla musica dei Chivalà, dei Bennett e degli Ormai, perchè è nata con loro. Sugli Ormai mi ha mandato un paio di vocali, uno diceva: “Non sono mai stato un vero fan dello shoegaze. Gli Ormai non sono Shoegaze, ma hanno delle tensioni che lo ricordano. Tal se chi mi ricordano anche a volte? I Cosmetic qui, di Sogliano. E i Dinosaur jr. Più di tutto però mi stupiscono le pause, le aperture e le chitarre, che in molti momenti sono proprio tipiche dell’hard core punk, loro non sono assolutamente di quel genere lì ma lo ricordano. E poi ci sono quei momenti più pesi come alla fine di Fuori dai guai (che tra parentesi inizia con “se bevo ancora mi bevi tu” ahahah, osta, che duo, bellissimi) che sono pesi, quasi metal, ma rimangono rock. Sempre con un bel suono della chitarra, quella non sbaglia mai, in nessuna canzone”. WOW Ciro gli ho risposto io. “Scherzi” ha detto lui “non è che perchè ho sessant’anni che devo essere rincoglionito per forza eh”.
Sui Chivalà l’ultimo vocale è stato più laconico: “Sboronissimi, li ascolto anche in ufficio e canto: mi perderò come cenere al vento, ora so, che il tempo è un istanteee”.

Il motivo per fare le cose non dev’essere per forza ottenere un risultato concreto. Ciro dice che gli serviva qualcosa su cui concentrarsi, e chiusa lì. A volte mi chiedo perchè continui a uscire musica di generi sempre uguali a se stessi. Da dove nascono gli stimoli? Nascono, e chiusa lì. Sono sufficienti per tirare fuori un ottimo disco. Uno ha dentro il post hard core: deve fare quello. E se i dischi post hard core fossero tutti come i Bennett o i Chivalà? Firmerei col sangue. O se i dischi punk rock fossero tutti come gli Ormai? Lo stesso. Credo che alla fine sia un po’ anche la differenza tra musica indipendente e musica wanna be indipendente: una non insegue un genere che tira ma un’idea, l’ispirazione, l’altra si butta su un genere che tira perchè tira, anche se non frega un cazzo. Fare un bagno al mare non è come fare un disco ma mi sembrava che Ciro fosse un personaggio ispirante. Fare il bagno al mare d’inverno non è che tiri tanto, è rischiosissimo. Ma a Ciro gli diceva così.

Chissà se il prossimo inverno tornerà al mare, ha detto di sì. Sicuramente conoscerlo è stata una sorpresa, nell’ultimo messaggio mi ha mandato un link al blog della Tegamini. Non mi resta che salutare, alla Ciro: bon, av dag in te salut.

ormaiband.bandcamp.com

chivalanonloso.bandcamp.com

pigliabennett.bandcamp.com

smellycatrecords.bandcamp.com

Sui Bennett abbiamo scritto recensioni bellissssime (sul primo disco e sul secondo disco).

Qui invece trovate Ciro