3 Fingers Guitar, Rinuncia all’eredità

3 fingers guitar, rinuncia all'eredità

Altre volte ho cercato di parlare di questa uggiosa problematica della crisi del cantautorato maschile italiano proprio nel momento in cui ritorna. Se non fosse tornato non sarebbe entrato in crisi. Ma il destino ha voluto che un numero non irrilevante di cantautori facessero uscire il primo o il secondo album nell’arco del triennio 2012-2014 uno dopo l’altro: Colapesce, Dimartino, Nicolò Carnesi hanno dato corpo alla rinascita del cantautorato italiano; con loro Brunori SAS, Mannarino, Le luci della centrale elettrica e Dente, un po’ più vecchi ma ugualmente corrotti. Tutti loro hanno avuto un discreto successo ultimamente, pur proponendo una musica appiattita, perché la fanno sembrare profonda con soluzioni (anche testuali) ricercate, ma comode. Alla fine si assomigliano un pò tutti e nessuno si differenzia davvero. Non sto parlato di quella diversità per cui Mannarino canta in romanesco e sembra più Capossela. Intendo una diversità che mi permetta di dire Questo mi tormenta il cervello con le sue canzoni, perché si sente che sono vere. Diversità in questo caso è la sincerità. Tra i nomi riportati sopra non c’è nessuno che la usa. Il cantautorato italiano adesso sembra rinato perché dà solo l’impressione di essere un passo avanti. Ma alla fine non racconta niente di differente, e arricchisce il proprio niente o quasi niente (di Brunori SAS c’è qualcosa che mi piace un po’) solo con un testo metaforico che risulta più tosto di quello che realmente è. Se cerco un denominatore comune, salta fuori il non essere in grado di svolgere il compito più (penso) soddisfacente e difficile allo stesso tempo dei cantautori, cioè illuminare con le parole la strada dell’ascoltatore, farlo sentire parte di una canzone, dal punto di vista politico o personale che sia. I nuovi cantautori invece ci assecondano, ci danno più o meno quello che vogliamo, in termini di musiche ma soprattutto di testi. Questo atteggiamento funziona molto bene e serve per guadagnare consensi e premi. Però un cantautore non deve essere cool, deve sputare sentenze col cuore e con lo stomaco.

Altri, invece, sanno dirci quella che in quel momento pensiamo sia la verità, che magari il prossimo anno non lo sarà più, ma in quel momento lo è, oppure creano altro, un proprio modo di scrivere i testi o di cantarli. L’ho già detto, CASO è uno di questi altri. E URALI è una specie di cantautore con una proposta solo sua che magari si evolverà diversamente ma che ha già un’impronta votata a fornirci il punto di vista di un ragazzo che si scrive i pezzi e se li canta, con una chitarra distortissima e la voce da bambino che mi portano non so dove ma di sicuro altrove.

Nell’essere autore che propone qualcosa di nuovo, di non allineato, 3 Fingers Guitar (Simone Perna) ci sta dentro. Rinuncia all’eredità (Snowdonia Dischi, Dreamingorilla Records, Neverlab, Rude Records, Audioglobe) unisce lo screamo ai Dead Dennedys agli Interpol al post punk dei Gang Of Four ai CSI al blues al noise con ritmi che arrancano e mediamente lunghe code o incipit o intermezzi strumentali. Il suo modo di cantare è, con sfumature personali, l’eredità che ci hanno lasciato il Manuel Agnelli più carico (no di sicuro l’ultimo), il Pierpaolo Capovilla più invecchiato e apparentemente saggio (proprio quello di quest’anno), Mauro Ermanno Giovanardi, Ferretti e Godano. Molti di quelli per i quali, ancora, avevamo fatto ricorso al NUOVO CANTAUTORATO ITALIANO. Aggiungo i Massimo Volume.
La volontà di 3 Fingers Guitar non è di scrivere canzoni immediate, ma di alzare il tiro rispetto alla media: gli arrangiamenti si chiudono in se stessi per diventare ossessivi, i testi sono dialoghi ma anche monologhi. 3 Fingers Guitar è molto lontano dai cantautori piaccioni, la sua scelta stilistica è estremamente personale. Ho letto in giro che 3 Fingers Guitar ti porta dentro un labirinto, un percorso mentale. Succede a partire dalle chitarre, bellissime, della prima canzone (Ingresso), è vero; ma più che un semplice labirinto per me Rinuncia all’eredità è la tela di un ragno in cui effettivamente mi sono incastrato. Sono giorni che tento di venire a capo di questa recensione e non ci riesco, perché da una parte trovo molto interessante l’unione tra la poesia dei testi e gli arrangiamenti chitarrosi e spezzati, dall’altra sono sempre stato molto lontano, e lo sono ancora, da un certo modo di fare musica un po’ sopra le righe. C’è una dimensione teatrale invadente in Rinuncia all’eredità: non solo il cantato spesso recitato, ma anche gli arrangiamenti, che all’ascolto danno come la sensazione di guardare una pièce fatta di battute che si ripetono a lungo e cambiano di tanto in tanto (Riproduzione), con gli attori concentrati non tanto nel far passare il messaggio quanto su se stessi. A tratti gli strumenti di Rinuncia all’eredità appaiono meccaniche e rigide e sembrano incastrate, come tasselli estranei tra loro e alla voce; in generale il disco fatica a suonare tutto insieme (L’unica via) perché procede ingabbiato negli arrangiamenti, trame più o meno complesse che lo chiudono in se stesso. La voce e i testi vanno in questa direzione, perché sembrano dare più importanza a se stessi che non all’insieme. Riconosco da questo punto di vista un miglioramento rispetto al recente passato. E oggi 3 Fingers Guitars mi piace di più rispetto a Rough Brass (Dreaming Gorilla Records, 2013) – è migliorato anche nella pronuncia inglese. Là la voce e gli strumenti non riuscivano proprio a suonare bene insieme (Polka Dot Shirt) e la voce peccava di acerbità (credo si dica); in Rinuncia all’eredità questi difetti tendono a risolversi (tendono), la struttura delle canzoni scorre un po’ meglio e 3 Fingers Guitars è sicuramente in crescita. Ma la mia idea di musica non mi porta ad apprezzare sempre su disco l’unione di musica e recitazione e, ma è solo una mia necessità, vorrei che un disco suonasse più di così. Forse il problema è il risultato di un eccesso di teatralità e della mancanza della sincerità vera di cui parlavo all’inizio.

Rinuncia all’eredità in streaming qui.

Split The Death Of Anna Karina/Chambers (per il Record Store Day 2013)

Split The Death Of Anna Karina + Chambers

Se l’anno scorso è uscito I cani non sono i pinguini, i pinguini non sono i cani, il 10” dei Gazebo Penguins più I Cani (42 Records e To Lose La Track, in streaming e free download qui), quest’anno per il Record Store Day, il 20 aprile, e poi sui canali normali delle etichette, esce lo split The Death Of Anna Karina e Chambers (Blind Proteus, Shove Records, To Lose La Track e Audioglobe), in free download da ieri su dicotomia.bandcamp.com.
Ad accomunare TDOAK e Chambers è (anche) il peso del suono, le tonnellate di distorsioni che riescono ad arrangiare in modi sempre cupi ma allo stesso tempo liberatori. Ho sempre trovato La mano sinistra dei Chambers (2012, Shove Records e To Lose La Track) molto vicino al piacere della dilatazione di Anticipazione della notte di TDOAK (in Lacrima/Pantera il primo album in italiano del 2011, per Unhip Records) e ho sempre pensato alle due band come a due realtà vicine per sonorità (alcune) e per senso di negatività (apparente, con una via d’uscita, forse) nel loro modo di pestare.
Il risultato ultimo, per ora, di questa vicinanza lo sentiamo in questo split. L’accostamento di Chambers e TDOAK diventa confronto e il confronto diventa la scoperta di due band che corrono una accanto all’altra senza mai giustamente incontrarsi del tutto: più i Chambers suonano apocalittici, più i TDOAK diventano crudi. Due lati di una stessa medaglia, o forse no, comunque due modi di soffiarci in faccia una necessità: mantenere lo sguardo attento su ciò che siamo e su ciò che c’è al di fuori di noi.

Venerdi 12 aprile TDOAK hanno suonato al Brainstorm di Fusignano con La Svolta e Jackson’s Relatives. Proprio in quell’occasione mi sono accattato in anteprima lo split di cui a questo articolo, e ascoltato i pezzi nuovi di TDOAK dal vivo.

Lo split è fatto da sette pezzi, quattro di TDOAK, tre dei Chambers (di cui uno feat. Johnny Mox).

Split The Death Of Anna Karina/Chambers, lato The Death Of Anna Karina

The Death Of Anna Karina, lato ANero parte con una batteria tesissima e si sviluppa meno spigoloso rispetto alla linea su cui corre Lacrima/Pantera. L’attacco della batteria ricorda per cattiveria quello di Every Revolution Is A Throw Of Dice (in New Liberalistic Pleasures, Unhip 2006), un pezzo che appartiene a un passato già molto lontano.
La seconda canzone dello split, Crepuscolare, ritorna con un giro di strofa che recupera in parte le sonorità dell’album del 2011, un muro gonfio e ostinatamente impenetrabile. Poi niente è una piacevolissima sorpresa perchè ci riporta alle ritmiche veloci dell’hard core newyorkese di fine anni ’80, affiancandole però a TDOAK, che non perdono mai in personalità e mantengono sempre dritto il timone verso la meta, verso la nota di chiusura che interrompe ogni pensiero, testardi e sempre profondi.

Labile è il ponte ideale verso i Chambers, che aspettano di essere ascoltati nell’altro lato. In Labile il basso steso a tappeto e gli incroci delle chitarre creano un gioco di rimbalzi notevole. E il ritornello “Non si può morire (la paura ti parla nel richiamo animale) senza vivere” è chambersiano di brutto, così come il finale strumentale e quasi romantico, ma nero come la notte, o la pece. TDOAK nascono anni prima dei Chambers ma in questo caso è interessante sentire come le cadenze dei secondi penetrino e modifichino quelle dei primi e come le due formazioni si avvicinino sporcandosi l’una con l’altra, facendosi guidare solo dal suono, e dalla volontà di creare potenza.

TDOAK, in tutti i quattro pezzi dello split, così come dal vivo, hanno il controllo totale della materia che creano. Gli stacchi, le pause, i passaggi, e tutte le parole formano un insieme di una precisione che urla, per quanto è esigente e riuscita. Sparatevi il basso e le chitarre in Labile. E poi le svise della batteria.

Split The Death Of Anna Karina/Chambers, lato Chambers

Chambers, lato BLabile crea continuità con La sera leoni, la mattina leoni, il primo brano dei Chambers. Lo split dimostra di funzionare ancora come forma di edizione musicale anche grazie al tipo di legame (particolare) tra chi vi ha partecipato in questo caso, un legame musicale. Ma non solo: il legame tra questi due gruppi è anche universale, come quello che si crea tra tutti i gruppi (e le etichette) che decidono di condividere un disco, di fare insieme tutti gli sforzi per arrivare al risultato.

I Chambers attaccano quindi con La sera leoni, la mattina leonifortissima di un giro di chitarra strepitoso e delle aperture, caratteristica anche di La mano sinistra, che portano i pezzi ad avere un respiro molto ampio. L’inizio del lato B è buonissimo. Accelerazioni e rallentamenti, controllo e potenza danno l’idea e la misura della crescita dei Chambers rispetto all’ultimo lavoro dell’anno scorso. Prosegue il viaggio verso la novità iniziato con La mano sinistra dopo il primo EP Self Titled (2010, TDD Records, Shove Records, Arctic Radar, Que suerte! Records), cantato in inglese, con una più chiara attitudine e spinta alla Fugazi (Margin Walker). Ma già in Second Wall War (da Self Titled) la chitarra arpeggiava con la stessa forza con cui lo fa nell’attacco di La sera leoni, la mattina leoni. Segno che il cambiamento non viene mai all’improvviso.
Tutto è bene quel che finisce ha un andamento più lineare, e aggiunge nel finale la rielaborazione acuta e pungente dell’eco sonica dei Sonic Youth. Mai un abbassamento della tensione, mai un cedimento del ritmo, sempre perfetta l’unione del testo e dello strato musicale, sempre altissimo il livello degli arrangiamenti. Un suono che sembra rotolare corposo e non fermarsi mai nella sua evoluzione interna: una pasta tosta, consistente e infrangibile, anche quando il basso accompagna, solo, la voce.

Le facce uguali di due medaglie diverse è l’ultimo pezzo dello split. I Chambers continuano a giocare con le parole nei titoli, nei testi, in maniera geniale e ironica. Qui arriva Johnny Mox: un’eco all’inizio del brano, che poi s’interrompe, e a un tratto ritorna. La collaborazione è quasi una visione separata, ognuno sembra prendersi solo il suo spazio, senza spingersi oltre e senza creare una vera amalgama. Questo è l’unico limite di un pezzo che procede lento e inesorabile, dirompente e senza sosta, cadenzato diversamente rispetto ai due precedenti, arricchito dalla parentesi centrale di Johnny Mox, di per sè esplosiva, con la botta che appartiene anche a We=Trouble, il suo album, grandioso.

Non posso non parlare dell’oggetto, del vinile che ci hanno fatto uscire Blind Proteus, Shove Records e To Lose La Track: un’edizione che ha i suoi punti fortissimi nel colore del vinile (grigio con le fiamme bianche), nell’artwork di Francesco Barbieri e nel centrino, che completa i nomi C H A    E R S e THE DEATH   KARINA solo se inserito nella busta interna. Edizione limitata, 500 copie, packaging gatefold cartonato. Ripeto: fuori nei negozi di dischi per il Record Store Day il 20 aprile e poi sui canali regolari delle etichette. Neuoroni ce l’ha in anteprima, grazie al concerto di TDOAK al Brainstorm.
In free download qui da ieri.

chambersband.wordpress.com
www.thedeathofannakarina.com

Il lato di The Death Of Anna Karina è stato registrato e missato presso Igloo Audio Factory di Correggio da Andrea Sologni. Il lato dei Chambers è stato registrato all’Hombre Lobo Studio di Roma da Valerio Fisk. Entrambi i lati sono stati masterizzati da Andrea Suriani presso Alpha Dept. Studio, Bologna.

Il Buio, Da che parte state – Oggi ci spariamo questo

Il primo marzo esce l’album di Il Buio, L’oceano quieto, 10 pezzi, prodotto da Autunno Dischi e distribuito da To Lose La Track/Audioglobe. Il video di Da che parte state è una sana unione di Fabrizio De André e il punk rock.

Da L’oceano quieto ascoltare anche Polvere alla polvere su toloselatrack.org. In passato Il Buio ha pubblicato il primo Lp 12″ (omonimo, nel 2010) e poi l’Ep Via della realtà.