Recensioni generator the 3 pipponi serie: Tiger Shit, Blue Crime, Halfalib

Se uno ascolta Corners, l’ultimo disco dei Tiger! Shit! Tiger! Tiger! (To Lose La Track), sembra l’album di un gruppo che fa la sua cosa da anni, ha le mani in pasta da sempre nel noise rock e riesce a riprodurne tutte sfumature senza difficoltà. E invece no, nel senso che non fanno la stessa cosa da anni e non c’è pilota automatico. È il primo disco in cui prendono con così tanta decisione quella strada. Nel 2013 hanno pubblicato Forever Young, che è un po’ un insieme indefinito di cose, più spostato verso i Male Bonding e in cui a volte le chitarre vanno in direzioni impreviste, già noise ok (Broken) ma anche math rock (The Smell) per dire. Lo stesso gioco intorno alla chitarra è in Whispers, del 2010, che suona più simile a Corners ma mai così pieno di distorsione, per le incursioni new wave e purtroppo anche di uno stile pulito e metallico alla Placebo (Vampire). Nel 2008 è uscito Be Yr Own Shit, che probabilmente è il disco della giovinezza, post punk e funk punk (Last Gang In Town), dove hanno fatto cose che hanno deciso di non fare mai più. Quindi, Corners ha il vantaggio di essere perfettamente dentro a suo stile e contemporaneamente di essere il primo esito noise rock così deciso di un percorso guadagnato col tempo. È fresco ma consapevole. I Tiger Shit vengono da una storia musicale insieme relativamente breve ma ascolti Corners e sembra l’unico modo possibile di fare noise rock adesso. Li guardi dal vivo e sono quello che ti aspetti da un gruppo che fa questo genere di musica. E questo mi fa sentire a casa. Non è sempre vero che bisogna ascoltare cose che vadano oltre i nostri confini, a volte è necessario soddisfare subito il desiderio di sentirsi assecondati dalla musica.
Corners procede senza prenderla di corsa, alternando canzoni più tirate a canzoni meno ed è un bel modo per evitare che la monotonia della chitarra che suona così prenda il sopravvento sulle canzoni e su tutto il disco: ecco perché funzionano le quattro all’inizio: Weird Times, Shamaless Pt. 1, Silver, Sacramento. Dopo un po’, anche l’alternanza rischierebbe di diventare monotona e quindi i Tiger Shit tirano fuori un pezzo un può scoglionato (Highland Park), un altro con un finale di chitarra da ascoltare con le orecchie a padiglione per i rivoli che inventa (Teen Forever) e poi Holidays, primo vero momento di riposo della chitarra. Ci sono delle volte in cui si fa tanto parlare delle chitarrone, chitarre grosse, chitarre di qui e di là, però poi c’è qualcosa che non torna, non fanno nessun effetto, non prendono. La chitarra di Corners è quella dei dischi noise rock ma ha una ragnatela tutta sua. Per iniziare, rimane sempre in superficie e crea una palude da cui non passerebbe neanche uno spillo, poi lascia che alle proprie spalle continui a suonare l’acqua melmosa e penetra nelle vene della terra sottostante. Fa una gran corsa all’inizio del disco e poi prende un respiro. Arrivata a BlowingFurther e Girls riparte con un andamento diverso, più veloce ma meno tormentato, come se si fosse sfogata prima e adesso volesse fermare la testa e andare solo sulle gambe. Sembra quasi una persona ed è la chitarra più viva che io abbia sentito ultimamente nei dischi di chitarre.

L’ep dei Blue Crime si chiama SubmarineBronson Recordings poco più di un mese fa ha fatto il suo primo party. Non so se lo sapete, ma sulla serata ho scritto questa cosa su Rumore. No, così per dire. Alla festa non hanno suonato i Blue Crime – che comunque saranno al Beaches Brew – ma gruppi che fanno roba completamente diversa. E questo è uno dei punti: l’etichetta del Bronson produce robe diverse, come altre etichette (Sonatine) ma non come tutte le altre etichette, quindi può essere considerato un motivo di vanto. Subamarine è un 7”, due canzoni che rimandano ad atmosfere precise, dream pop da un lato (Gypsy Cat) e Shannon Wright dall’altro (Blue Nocturnal), mischiando tutto con il noise rock e l’atmosfera dark. I punti di forza di Gypsy Cat sono la melodia, la struttura solida e il suono, bello deciso. La forza di Blu Nocturnal invece è quella di essere diversa da Gypsy Cat e più simile alle ballate psyco pop del lavoro precedente: per oscurità e paranoia lisergica ricorda Batman di Bunker. Sappiamo che la Bronson Recordings è di Ravenna. I Blue Crime invece vengono da Amsterdam e sono arrivati fino a Ravenna per trovarsi un’etichetta. O Ravenna è arrivata fino a loro per fargli il disco. Comunque sia, chi come me crede che la musica unisca le cose lontane non può pensare che sia casuale l’incontro delle acque di Amsterdam, ordinate e nordiche, con quelle di Ravenna, indomabili e spaventose, governate dal porto, che a vederlo da fuori sembra un posto così carico di incazzatura inespressa. Arrivando al punto, le chitarre di Gypsy Cat mi hanno ricordato quando nel 2015 l’acqua ha sommerso la campagna di Ravenna, rendendola immobile e piena di tensione. Blu Nocturnal invece mi ha ricordato la calma dei canali dell’Amstel ad Amsterdam. Sicuramente è una cosa mia, ma nell’ep trovano spazio questi due mondi, due espressioni diverse di una stessa matrice. Sono tutte e due riconducibili a qualcosa di dark, ma il primo lato è l’unione di tre cose (forza, pop, oscurità) che creano un tessuto più resistente, mentre il secondo non me l’aspettavo, e quindi è una cosa positiva, ma la tensione cala troppo. Vorrei che il prossimo disco fosse più come Gypsy Cat. Le acque calme possono far comodo nella vita vera, ma quando si trasformano in canzoni, se diventano tumultuose, fanno la differenza.

Halfalib è l’altro lato di Any Other: stessi componenti, risultati molto diversi, lo si nota da Malamocco (uscito per WWNBB). Alla guida di tutti c’è il bassista e questa è la grande carta in tavola che è stata cambiata nel passaggio da Any Other a Halfalib. In matematica, se cambi l’ordine degli addendi i risultato non cambia, in musica si.
Quando vedo per la prima volta un gruppo dal vivo, mi faccio delle domande sulle persone che suonano. È una cosa che va anche al di là della musica. Può succedere che mi fissi in particolare con uno di quelli che sono sul palco. Ci sono i casi in cui mi passa dopo tre minuti ma ci sono anche le volte in cui inizio a chiedermi chissà che musica ascolta a casa, come gli piace la pizza, se è astemio, se è uno stronzo o no. Non c’ho mai parlato, l’ho solo visto suonare dal vivo ma Marco (il bassista) sembra un tipo che si fa un sacco di cazzi suoi, riservato, ma che poi se lo conosci è fenomenale, una mente vulcanica e una personalità artistica ben definita. Si vede quando suona il basso: potrebbe anche non fare mai lo stesso giro se fosse per lui. Lo fa anche con Halfalib: infila strumenti, voci e idee tra le righe più nascoste delle canzoni, di continuo. In questo modo, è stato in grado di prendere gli Any Other e rovesciarli come un calzino, portando un trio chitarra basso e batteria a suonare cose diverse, passando dai Modest Mouse, o comunque da una musica che ha riferimenti precisi e dichiarati, a un altro posto. Non da una zona di conforto a una zona più complessa. A una zona nuova. E quali sono altri riferimenti di Malamocco? Questo disco fa un effetto strano. Le prime tre volte mi sembrava sperimentale, poi alla quarta è diventato pop, ma non tutto pop, cioè è pop ma a episodi circoscritti, come il pianoforte dolce che spicca all’improvviso, dopo aver latitato tutto il tempo ed essere stato sottomesso al sax, in Il troppo moltiplicarsi senza continuarsi conduce a, un pezzo che a volte è tribale (ma non triviale). Questa è la qualità migliore di Malamocco: unire le voci alla Jeff Tweedy a un mondo (appena sfiorato Wilco in The Whole Love) di dolcezza elettronica, per poi passare a svisate jazz: Human After Odd è l’esempio migliore per capire. Ma il massimo del disco è Liebe Fénix II Instant, che spiazza e sconfigge più di una volta il fronte che sostiene fino alla morte la necessità della risposta alla domanda si ma, che genere fa questa band?. In una sola canzone puoi trovare prima i Beatles, poi Yann Tiersen, l’ignoranza degli Aucan, il tiro senza filtro anti grattugia dei Death Grips, poi ancora i Beatles.
Tra l’altro, alla faccia dei sostenitori dell’importanza della definizione del genere, penso sia il caso di parlare d’altro, cioè del significato della parola Malamocco e di WWNBB. WWNBB vuol dire “We Were Never Being Boring” ed è il nome di un collettivo il cui motto su bandcamp dice “We want music to never turn into something boring for us. It would mean that we have become boring. Because music does not die with mp3′s or copyright: boredom is what brings it down, when it becomes a habit. All we need is a small do-it-yourself collective, as tiny as a simple smile“. Il rischio abitudine e noia è reale. Non è simpatico quando succede ma può succedere di stancarsi della musica, anche a uno che suona, che si può stancare di fare sempre le stesse canzoni. Lo diceva Capra nel suo disco solista. Ecco perché volevo parlare un attimo di WWNBB, perché la sua missione è difficile, si oppone alla natura dell’uomo, che ogni tanto smette di provare interesse, si allontana dalle cose e inizia a cercare soddisfazione in altro. L’abbandono della musica non porta per forza alla noia. Potrebbe. Ma potrebbe avere come conseguenza qualcosa di nuovo e diverso. Comunque, io credo che ascoltare musica salvi la vita quindi credo nel motto di bandcamp di WWNBB.
Parlando invece del significato di Malamocco, bisogna dire che è il nome di una piccola città al Lido di Venezia. Quindi ancora acqua. Voglio ufficilmente informarvi che non ho il trip dell’acqua, del nuoto o del mare, ma non sarei neanche scontento di averlo. Il nome antico di Malamocco è Metamauco e la leggenda narra che “l’antica Metamauco fosse localizzata in posizione più esterna dall’attuale Malamocco, verso il mare. Sussistono ancora dicerie locali secondo le quali, nei giorni di mare calmo, è possibile scorgere le rovine della città che, sempre la tradizione, vorrebbe distrutta da un devastante maremoto” (wiki). Sicuramente non sarà vero, ma è bellissimo, e alcuni passaggi del disco fanno un po’ quell’effetto lì: li senti, un attimo dopo scompaiono del tutto e ti chiedi se li hai sentiti veramente. Per fortuna che si può tornare indietro anche con l’mp3 e provare che non sei matto. E se puoi fare rewind, non è l’mp3 a uccidere la musica, ma il non ascoltare più musica. Comunque, arrivando al punto, da una “scena” che vive di math rock, emo, screamo e indie rock, viene fuori Halfalib che cambia le carte in tavola e guarda un po’ più in là, allontanandosi sia dal mondo che lo circonda tutti i giorni sia da se stesso. Malamocco è un disco insolito, il sorprendente rovescio del calzino di Any Other.

Come lo vedi il Giappone?

Crew del Fecking Bahamas fest a Tokyo, pic dal fb dei DAGS!

Crew del Fecking Bahamas fest a Tokyo, pic dal fb dei DAGS!

Una volta quando vedevi le immagini di una band grossa che andava in tour in Giappone era tutto impressionante. Per esempio, i Guns and Roses ci sono andati per la prima volta nell’88, gli Oasis nel ’98. I Guns erano già delle superstar a quell’epoca, erano i re della musica da ascoltare e venivano presentati così: “Would you please welcome from Hollywood: Guns and Roses!“. Vero colonialismo. Come si legge nelle informazioni sotto al video del concerto a Tokyo, su YouTube: “Axl mentions how all the Japanese fans are following them all over Japan”. Praticamente, fedeli come dei cagnolini. Ma, immagino, anche gli Americani li seguivano in tour lungo tutta l’America.
Gli Oasis in tour in Giappone, invece, trovavano strano tutto quello che era giapponese: hanno ribadito il concetto anche recentemente nel loro omaggio a se stessi.
L’utilità del contributo all’intelligenza di queste band era zero. Se si pensa anche solo al successo dei manga in Occidente, o alle cose belle nate dall’unione di Occidente e Giappone, come i Deerhoof per esempio, è facile capire quanto si sbagliavano ad avere un atteggiamento di superiorità.
Cronologicamente in mezzo a questi due giganti del rock (ma formiche non laboriose dell’uso del cervello), e avanti dal punto di vista dell’attitudine, sono i Fugazi. Che vanno in Giappone per nel 1991 e questo è quello che c’è scritto sul sito della Dischord:

“From the available audio source, as well as from the video sources provided below, it is clear that the band is very appreciative to have made it to Japan, having spent a couple of great days there, strikingly pleased with the sights and sounds of Tokyo and the distractions the city has to offer (note that Guy praises the King Fucker Chicken performance in the incredible Yoyogi park and at one point enquires about the pachinko heads in the audience as well)”

Non sono i tempi a dettare il modo diverso di vedere il mondo. I Fugazi, appunto, vanno in Giappone per la prima volta a metà tra i Guns e gli Oasis. Il segreto per non far sembrare il Giappone una cosa strana (diversa, ok, ma non inferiore perché differente) era nell’atteggiamento di chi ci andava a suonare. Si tratta di gruppi diversi: i Guns e gli Oasis sono rock star, i Fugazi no, ok. Ma quello che m’interessa è proprio la proposta di due atteggiamenti all’opposto, già contenuti nella “poetica” delle band in questione e proprio per questo indicativi di un modo di vedere le cose. I Fugazi sono contenti di andare in Giappone. Essere là per gli Oasis era come essere in un posto di cui avere paura perché la gente si comporta in modo diverso rispetto all’inglese medio. Essere là per i Guns era come essere là per un re che va ai confini dell’Impero. I Fugazi hanno dimostrato di avere un po’ più di intelligenza umana. Non che il confronto sia mai stato necessario o richiesto, ma è interessante: persone con una sensibilità e una mentalità diverse poste di fronte alla stessa novità reagiscono in modo completamente diverso. Non è l’uomo a essere stronzo di suo, ma è il suo background socio-culturale che lo rende o non lo rende tale. Poi, è una questione di atteggiamento, che deriva dall’intelligenza, che a sua volta si sviluppa più o meno nell’ambiente in cui cresci e nel modo in cui l’affronti. Dall’esterno, vedevi gli Oasis e i Guns andare in Giappone, marcando le differenze – se non in negativo – comunque dall’alto, da una posizione che non poteva essere la tua: la lezione era pessima. Leggendo o vedendo dei Fugazi in Giappone, il loro è lo stesso atteggiamento che avrebbe avuto una persona normale curiosa e affascinata dal mondo lontano. O che hanno avuto i DAGS!.

Il Giappone 20 anni fa era molto più lontano di quanto non lo sia oggi: oggi, se un gruppo – piccolo, medio o grande che sia – va in Giappone, può raccontarlo in diretta su Facebook. Già in partenza è tutto più famigliare, quindi: alla base di tutto c’è il mezzo, che è nostro e facilita le cose rispetto a una volta. Gruppo grande o gruppo piccolo, a seconda di come usa il cervello chi ci sta dentro o eventualmente chi gli fa da social media strategist, le modalità di racconto saranno senz’altro diverse: anche il modo di raccontare il viaggio ha un valore.

I DAGS! sono andati in Giappone in novembre, per un tour di 6 date e l’hanno raccontato su Facebook. Le foto parlano da sole. Li ho seguiti da qua, nel senso che la cosa m’incuriosiva e mi piaceva l’idea che facessero una serie di concerti in Giappone, quindi sono stato in occhio a beccare le cose che condividevano su Facebook. Mi piaceva anche il fatto che pubblicassero le foto dei concerti ma non solo, anche quelle di quando erano in treno, in bus o nella stanza d’albergo. In un certo senso era un po’ come viaggiare con loro. Poi c’è quella foto che ho messo all’inizio dell’articolo. L’ho messa perché fa vedere anche chi altro c’era dietro l’organizzazione del tour, tra quelli che l’hanno organizzato da là. E non era l’unica foto che raffigurava i local che avevano partecipato. I DAGS! sono andati in Giappone grazie a un sacco di persone, e con un sacco di persone, e ce le hanno fatte vedere mentre erano là. Non è stato un tour figo solo perché loro sono andati in Giappone a suonare, ma anche per tutto quello che c’è stato intorno. Almeno così è sembrato, da qui.

Insieme a To Lose La track, poi, hanno pensato di anticipare la stampa della compilation che ogni anno TLLT fa uscire sempre per Natale, per portarla in Giappone e promuovere i gruppi. Tutti i gruppi del roster, non solo i DAGS!, più le anticipazioni delle uscite previste per il 2017. La puoi ascoltare qui.

La compilation inizia con We All Like Theories, Let’s Not Make Anything Ever Happen dei DAGS! Il pezzo ha una parte ritmica latin jazz e un basso insistente ma morbido. Come (quasi) sempre nei DAGS!. Insieme ai Leute, tengono in piedi benissimo il revival emo anche quando il revival è finito, con dischi suonati al meglio proprio nel momento in cui scendono nella cura dettaglio, come spesso il genere richiede.

Spy Dolphin dei Delta Sleep
Scilla dei Valerian Swing
Insieme a Three in One Gentleman Suit, i Valerian Swing e i Delta Sleep hanno cambiato la rotta di TLLT. Aurora (che contiene Scilla) dei Valerian Swing e Management dei Delta Sleep escono nel 2014, Notturno dei Three in One Gentleman Suit nel 2015 e TLLT passa dall’essere un’etichetta (per lo più, e sottolineo per lo più) orientata all’emo, al punk rock e al power rock a portare al centro dell’attenzione il math rock, influenzato da emo, screamo o post rock, ma comunque con un modo decisamente diverso di scrivere i pezzi. Che si riempiono di scale e diventano delle corse verso l’alto, in contrasto con i gruppi della “generazione” precedente, che sviluppavano in profondità le canzoni, dando al suono una potenza maggiore grazie anche all’uso della ripetizione. Nel 2016 i Delta Sleep hanno pubblicato Twin Galaxies, che contiene Spy Dolphin.

Tiger! Shit! Tiger! Tiger!, Weird Times
Questa è la prima anteprima della compilation: il disco nuovo dei Tiger! esce il 16 gennaio. Loro sono tra i gruppi della “vecchia” generazione TLLT, di quelli che con le chitarre scavano più in profondità. Solo loro, però, lo fanno chiamando in causa lo show gaze e i Male Bonding.

Riviera, Piscina
L’ultimo disco dei Riviera è ancora quello, ma si dice che tra poco ne uscirà un altro. Hanno fatto uno degli album più riusciti del 2014, nell’onda emo power singalong. I loro concerti a più di 2 anni dall’uscita dal disco sono ancora una grande festa, con gente che urla i testi e tenta in tutti i modi di farsi male.

Quasiviri, Gravidance
Gli inventori del mathrock di TLLT, nel 2012. Poi sono tornati nel 2014, con Super Human, che contiene Gravidance.

Three In One Gentleman Suit, Ashes
I Three In One Gentleman Suit hanno una lunga storia alle spalle, che arriva fino al 2003, quando esce Battlefields in an Autumn Scenario per Fooltribe. Dentro c’era già tutto quello che hanno adesso ma meno raffinato e, riascoltando, allora c’era meno tensione. Sono migliorati.

Gazebo Penguins, Difetto. Sono i capostipiti TLLT del farsi male ai concerti con l’emo power singalong. Li ho visti una decina di volte dal vivo, ho consumato i dischi, ho scritto alcune cose, ho comprato ripetute volte una loro maglietta, quando parte Difetto è come se fosse sempre non la prima ma la terza volta che ascolti una canzone, cioè quando inizia a entrarti dentro. Aspetto il disco nuovo, sono disposto ad aspettare lunghi anni, l’attesa ha un valore, così come il racconto del viaggio, ma alla fine deve essere soddisfatta. Sembra che io stia filosofeggiando, in realtà sto parlando dei Gazebo Penguins usando alcuni dei loro temi, alcuni dei quali presenti anche in Difetto: futuro, ricordi, attese.

San Diego Coletti dei Cayman The Animal. Il rigurgito punk anni 90 di TLLT del 2015, in mezzo a tutto quel rock MATH. Apple Linder è uno dei dischi che ho ascoltato di più l’anno scorso, pur essendo uscito in ottobre. Con le grafiche di Ratigher, uscito in cordata con Sonatine, Escape From Today e Mother Ship Records, che si sono spartiti a sorte la produzione del cd e del vinile, come si fa con i beni materiali.

Lags: Queen Bee. I Lags rappresentano il punto di arrivo delle correnti sviluppate dall’etichetta negli ultimi anni, unendo in Pilot (2016) emo screamo, punk rock, math rock e post hard core (i cui massimi rappresentanti di sempre in TLLT sono i Disquieted by che hanno fatto il disco nel 2012). Hanno pubblicato un ep acustico, dove vanno giù naturalmente meno pesi e fanno anche una cover delle nostre guide comportamentali all’estero, i Fugazi.

Marnero, Il Pendolo. La band più pesa di To Lose La Track. Su di loro avevo fatto anche un esperimento che non si è cagato nessun (questo) ma non fa niente.

Action Dead Mouse, Ginnastica nell’acqua. Sono entrati di recente, prima erano con Flying Kids, Fallo Dischi oppure da soli. Hanno una funzione importante all’interno del listone della compilation: uniscono il post hard core alla new wave anni 80, che tra cinque canzoni sarà rappresentata da Havah e Giona. Infatti con L’Amo (che conteneva Giona l’uomo) gli Action Dead Mouse avevano fatto uno split.

Labradors, All I Have Is My Heart. Diego ha eletto The Great Maybe tra i suoi dischi dell’anno.

Minnie’s. Voglio Scordarmi Di Me. Nei Minnie’s suona il basso Viole, che suona il basso (quello insistente ma morbido) anche nei DAGS!. Voglio Scordarmi Di Me è il mio pezzo preferito del loro ultimo ep, Lettere scambiate, dove vanno definitivamente oltre il punk rock puro, piuttosto proseguono la strada verso il punk rock cantautorale – iniziata solo in parte con Ortografia – e schizzano via dalla possibilità di qualsiasi attuale parallelismo con un altro gruppo TLLT.

Urali, Mary Anne (The Tailor)
Girless, Ernest
I due cantautori in inglese, amici nella vita. E in effetti anch’io sono loro amico, non come sono amici loro tra loro, ma un po’ si. Può l’amicizia influenzare il giudizio sul disco di un amico? No. Se il giudizio è negativo, puoi decidere se esprimerti o meno, ma il giudizio rimane quello. Il mio giudizio è positivo, quindi non ho problemi.
Quando ho sentito per la prima volta Ernest di Girless (di Girless&The Orphan) ho detto che era bella come le vele delle barche del porto canale di Cesenatico, perché il giorno prima avevo incontrato Girless a Cesenatico, di fronte al The Brews, il locale che il 28 aprile fa suonare Bob Nanna di Braid e Hey Mercedes, sul Porto Canale di Cesenatico. Adesso, visto che siamo dentro la compilation di Natale, Ernest è diventata bella come le vele delle barche illuminate per Natale, col presepe dentro, sul porto Canale di Cesenatico. Il disco uscirà nel 2017, quindi questa è la seconda anteprima della compilation.
Urali ha fatto un disco che è un affresco, a partire dalla copertina. Dentro ci sono i ritratti di alcuni personaggi, alcuni dei quali mi ricordano i primi piani di Thomas Ruff, per la loro fermezza nel descrivere lo stato delle cose ma anche per la loro capacità di lasciare in sospeso e interrompere, limitandola a un momento, la definizione del personaggio stesso.

Sappiamo chi sei, di Havah
Coerenza Tralalà, di Giona
Dopo Settimana, Havah ha fatto uscire Durante un assedio (2014) e ha virato la direzione di TLLT verso la new wave, rendendo ancor più traballante dopo l’incursione dei Disquieted By la base su cui si regge il mio “per lo più” iniziale. Più recentemente, Giona con Per tutti i giovani tristi (2015) ha spinto l’etichetta ancora verso la wave, differenziandosi molto da Havah, soprattuto nelle melodie, che sono più pop. Tutti e due i newavers hanno scritto testi bellissimi.

CRTVTR, A.M.
CRTVTR entrano nella To Lose La Track solo nel 2013 con Here it comes, Tramontane!, in cui suona anche Mike Watt dei Minutemen, così come suonava in We Need Time EP (2009). We Need Time EP musicalmente è di una vita fa: è più diretto, come la gioventù, che si va lentamente perdendo. Nel 2016 è uscito Streamo, sfumatura più ipnotica della corrente math rock. Più adulto.

To Lose La Track Goes To Japan si conclude con Ponti, S. degli Autunno, gruppo a me sconosciuto novità 2017 che inizia con le chitarre cattive alla Gazebo Penguins (ma con una distorsione dalle maglie più aperte), prosegue recuperando i Verme nella disperazione della voce e finisce per riprendere anche alcune spigolosità del math rock d’annata. Ma senza decidere se riempire lo spazio in altezza o in profondità. Vedremo.

“Un tour in Giappone non capita tutti i giorni” (cit. Luca Benni, capo di TLLT).

Mancarone CASO nella compilation. Se puoi sopportare questa cosa, ascoltala qui.

Tiger! Shit! Tiger! Tiger! – Twins

Dopo la bovazza estiva arriva in questi giorni settembre, a ricordarci che il sole non è solo di agosto, e arriverà tra non molto ottobre a ricordarci che dobbiamo stare tranquilli che non è che l’inverno non arriva più.
Tra le uscite che renderanno felice il nostro autunno ci sarà Forever Young di Tiger! Shit! Tiger! Tiger!, il 28 ottobre per To Lose La Track. Per ora è uscita una canzone ad anticipare tutto, Twins (video, su), che mi piace molto perchè è dilatata e ha i tempi allungati come si deve fare in questo momento di passaggio, stagionale, ma non solo. Credo che quando una canzone riesce ad arrivare e a circoscrivere precisamente un tuo stato d’animo, prima ancora che tu ti sia reso conto di quale stato d’animo si tratti, allora è la canzone che ci voleva. Non è la tua canzone preferita, ma ti aiuta molto.
Ricordo che qualche anno fa mi era presa una cotta per i Male Bonding. E Twins è l’incrocio tra quei Male Bonding e quegli altri, i My Bloody Valentine, uno dei concerti più belli visti quest’anno.
Qui le chitarre che girano solo su se stesse ed escono da più parti dalle casse, una batteria stanca ma che non molla, i piatti che ti perforano le orecchie esattamente come in Whispers (2010), un basso che non si sente e una voce molto soave rispetto alla musica piena e rumorosa, ti fanno ricordare che nel mondo ci sono altri luoghi, passaggi oscuri ed eleganti, e altre stagioni che devono venire. Una volta c’erano band come i Sonic Youth a ricordarti che quei posti sono reali, oggi non ci sono più. Ma ci sono i Tiger! Shit! Tiger! Tiger!.
Twins lascia credere che il disco che uscirà nell’ottobre già inoltrato sarà un buon modo per attraversare quei passaggi e per ritagliarsi nell’inverno che arriverà piccoli spazi di blizzard personale.

Tiger! Shit! Tiger! Tiger! sono su facebook.