Quanto eravamo orfani: il nuovo disco dei Clever Square

clever square 2019

Ho conosciuto i Clever Square nel 2013. Poi è stato tutto molto veloce (almeno per me: loro sono nati nel 2005) e dopo due anni si sono sciolti. Da quel momento mi sono sentito orfano di un gruppo che aveva ridato vita a un cadaverino dentro al mio cuore: quel suono anni ’90, che esisteva solo nei dischi dei gruppi americani ascoltati milioni di volte, i Clever Square l’avevano portato qui, fisicamente vicino. Non c’era nessuna speranza che si riformassero, così mi sono messo il cuore in pace, in ricordo dell’ultima volta in cui sono stato davvero giovane e ho perso gli occhiali vomitando dalla macchina in corsa sull’E45, al ritorno dal release party di Nude Cavalcade, il loro ultimo disco prima di oggi.

La sensazione era quella che il tempo passasse molto velocemente. Sembrava che i Clever Square ne stessero perdendo tanto e che stessero buttando all’aria il talento. Poi, qualcuno ha detto che invece sarebbero tornati, con una formazione diversa ma sarebbero tornati. Da lì, è iniziata l’attesa. Volevo il disco nuovo, ero sicuro che sarebbe stato buono e lo volevo il prima possibile. Quello era il mio punto di vista e probabilmente altri fan provavano la mia stessa impazienza. Ma dal loro punto di vista, dal punto di vista dei Clever Square, era diverso. Del gruppo di cui noi sentivamo tanto la mancanza, loro invece ne avevano avuto abbastanza, e per questo si erano sciolti. Così, dal momento in cui qualcuno aveva detto che sarebbero tornati, è passato ancora del tempo, in cui noi aspettavamo ma loro erano ancora in pieno processo di rielaborazione, nel tentativo di ridare senso a una cosa, ricostruirla, ritrovare le motivazioni. È diverso. Tra loro e noi c’era un gap e dall’esterno non ce ne rendevamo conto. Volevamo la stessa cosa ma per averla il percorso era diverso: noi seduti ad aspettare, loro lì a lavorare, a scrivere e riscrivere il disco, scartarlo, riscriverlo e scartarlo ancora. Perché dovevano tornare prima di essere sicuri di aver fatto le cose per bene, prima di essere veramente contenti? Non aveva senso.

E infatti. Sono tornati con Clever Square, che è davvero il loro disco più bello. La formazione è completamente nuova, a parte Giacomo D’Attorre, voce e chitarra, che è poi il “lui” dietro ai “loro” di cui sopra. Clever Square è molto più pulito rispetto ai dischi precedenti. È stato scartato tutto quello che allora aveva senso ma adesso non ce l’ha più. Su quello che è successo nel periodo di tempo in cui è statto scritto, posso solo tentare di generalizzare. Le cose che succedono le subisci, le affronti, le rielabori e il processo di rielaborazione cambia il modo di viverle e vederle. Hai bisogno assolutamente di esprimerle ma devi trovare il modo giusto, non è facile, poi scopri che è solo uno: andare dritti al punto. Così hanno fatto i nuovi Clever Square. E siccome ci sono chitarre che si intrecciano, linee vocali complesse e basso che si nasconde e poi spunta fuori all’improvviso, il cambiamento non sta nella semplificazione della scrittura, ma nella sicurezza con cui le canzoni vengono buttate fuori. “Ho preso una decisione: questo è modo in cui voglio fare le cose, e così sia”. Questo disco parla e dice così.

Se c’è uno strumento che dà corpo all’esigenza di arrivare “dritti al punto” è la batteria, molto delicata e davvero poco invadente. Rispetto ai dischi precedenti è stata ripensata, rimessa in carreggiata, più diretta, più chiara, anche nei confronti di se stessa, perché non cerca vie di sfogo in cose che non sa dove mettere ma che alla fine mette lo stesso. Clever Square è come lei.

Clever Square mi ha ricordato i New Year e Evan Dando di Baby I’m Bored. Non era mai successo, è una nuova sensazione. Alcune volte non essere soddisfatti e fermarsi, tentare e non riuscire e tentare ancora, ti dà la sensazione di perdere tempo. Ma alla fine quello che riesci a mettere sul tavolo è così esaltante, fresco e nuovo che il tempo che sembrava perso diventa improvvisamente tempo trascorso in modo utilissimo. È una cosa molto rilassante.

Bentornati.

Clever Square esce il 24 maggio (venerdì) per Bronson Recordings: streaming qui.

Bruno Dorella potrebbe essere un alieno

Quando Bruno Dorella fa qualcosa ha una consuetudine: non la fa mai come gli altri. Per esempio, per la Bronson Recordings è uscito Concerto per chitarra solitaria (dove un viaggio in acque placide diventa naufragio), un disco di 4 canzoni in cui Dorella dà forma al disastro marittimo con la sua telecaster giapponese. Io ero abituato ad associare il naufragio ai Marnero. La mia testa faceva proprio così: musica naufragio > aprire cassetto coi Marnero dentro. Adesso che dentro c’è anche Concerto per chitarra solitaria quel cassetto è ancora un cassetto ma, cosa dite, ci metto un separatore? Perché così non faccio confusione e mi ricordo che il naufragio si può suonare (benissimo) con le chitarre distorte, le batterie roboanti, gli urli e i testi romanzati, tenendo sempre il volume alto, come hanno fatto i Marnero, ma si può suonare anche con una chitarra e (quasi) basta, come fa Bruno Dorella.

Il naufragio è? Fragoroso, violento, rumorosissimo? Si, è tutto questo. Ma soprattutto, la cosa più importante, la caratteristica che se non ci fosse non sarebbe un naufragio, è che i suoi danni sono irrimediabili, le conseguenze irreversibili. Quello che è stato è stato, non si cambia. Questo l’avevano detto anche i Marnero, cogliendo incredibilmente il lato positivo della cosa: la possibilità di un nuovo inizio. Al contrario di Dorella, che procede in modo graduale, maestoso, non rumoroso, con una suspense gigantesca, e senza possibilità di salvezza (è pur sempre il batterista degli OvO). O almeno, non mi pare che sia prevista, visto anche che le canzoni si chiamano Largo, Allegro con crepe, Adagio con naufragio e per ultima A fondo. Tutto valido, ognuno fa il naufragio che vuole. Io avevo abbracciato La Malora dei Marnero, ma soprattutto avevo abbracciato il loro Sopravvissuto, ancora di più di Naufragio Universale. Quella era la Trilogia del Fallimento! Dove il fallimento era l’inizio di una nuova vita. Qui in Concerto per chitarra solitaria è tutt’un’altra storia.

È bello vedere come gli uomini, gli esseri pensanti, gli artisti, i musicisti, possano affrontare in modo diverso, e con punti di vista differenti, uno stesso tema. Al di là dei punti di vista, chiunque (anch’io, se solo fossi capace di tenere in mano uno strumento, anche i Marnero) avrebbe espresso il disastro, la fine di tutto, il capolinea, chi in un modo chi in un altro, ma l’avrebbe espresso facendo un casino inimmaginabile, spaccando tutto, sangue, botte di qua, botte di là, vetri rotti, rumore di acqua killer, tragici soffocamenti, legno spaccato che diventa un’arma mortale che se ti becca ti trapassa, ti sbranca e ti uccide. Lui no, lui lo fa con la sua chitarra, lì, da solo, sulla sua seggiolina del bagno al mare (l’Hana Bi), in parte scrive una traccia da seguire in parte improvvisa, ma registra una sola take in presa diretta, per essere un po’ preparato come un marinaio esperto e un po’ davvero in balìa della mareggiata, sempre come un marinaio esperto. E rende l’idea, eccome se la rende. Lui ha sempre comunicato con noi nel suo modo: con gli OvO, i Bachi da Pietra, i Tiresia, la Dorella Mongardi Shooting Unit e tutto il resto. Ha sempre cercato un contatto, provando strade diverse perché noi umani potessimo stare svegli e capire che i modi di comunicare sono mille, ha messo in piedi progetti e usato gli strumenti sempre in modo parallelo. Per questo penso che sia un alieno. Non mi dite che la chitarra di A fondo non ricorda le note degli UFO di Incontri ravvicinati del terzo tipo!

Un po’ di Concerto per chitarra solitaria lo puoi ascoltare qui.

Mad Zanni oltre la sfera del suono: la rece di Ricordo quasi tutto

Ricordo quasi tutto è la rappresentazione di ricordi felici e meno felici attraverso field recordings e onde sinusoidali manipolate: le passeggiate invernali sulla spiaggia, i fuochi d’artificio sul mare, il viaggio sull’autostrada per andare in ospedale. Per parlarne sembra esserci un modo solo: ascoltare i suoni e dire cosa mi ricordano.

Conchiglie, cani, gabbiani, mare e nebbia mi ricorda quelle volte in cui da piccoli io, mia cugina e mio fratello uscivamo dalla spiaggia di Tagliata di Cervia e per andare a casa passavamo dalla pineta a piedi nudi. Mia cugina, che era la più piccola e anche la più veloce, tutte le volte che arrivava sulla strada si voltava indietro e urlava “State attenti che tra gli aghi ci sono le siringhe drogate!”. In effetti, erano gli anni ‘80 e di eroina in giro ce n’era abbastanza.

Paura, fulmini e saette. Dalla nostra casa di Tagliata si vede il mare. Una volta c’era un gran temporale e noi guardavamo dalla finestra le onde che montavano. Non erano quelle di Peniche, ma insomma, erano spaventose lo stesso. A un certo punto è venuto fuori un surfista. Ci siamo inchiodati a guardarlo, scompariva dal nostro campo visivo e ricompariva, scompariva e ricompariva, scompariva e ricompariva. Poi a un certo punto non è più ricomparso. Io ero sicuro di averlo visto affondare ma mia mamma mi diceva “Sarà andato a casa!”. Il giorno dopo l’ho costretta a guardare sul giornale per vedere se ci fosse scritto qualcosa, ma niente.

Onde sinusoidali, esplosioni e inutili ricordi. Ho visto tantissime volte i fuochi d’artificio sulla spiaggia, ma non so perché gli scoppi di questa traccia mi hanno ricordato quelli del fuoco del camino di quella volta che mio babbo si è bruciato una mano.

Ok, basta racconti, potrebbero essere noiosissimi. La cosa importante è che si capisca che Ricordo quasi tutto tira proprio fuori i ricordi di chi ha vissuto certi posti, ma anche di chi non li ha vissuti. Nel senso che il mare di Zanni è quello dei lidi ravennati, però a me questi suoni ricordano anche Tagliata, che è sotto Cervia e Ravenna ma ha un’atmosfera e una flora diverse rispetto a Marina Romea. Mi ricordano anche Cesenatico o Gatteo mare, che sono le spiagge che ho frequentato di più, da più grande, e sono proprio un’altra cosa. Per questo Zanni non è solo la voce del mare della bassa, ma di tutta la costa romagnola, tranne Riccione e Cattolica, dove gli avventori hanno sempre amato rumori diversi. 

Ricordo quasi tutto non parla solo di mare. Anzi, va talmente lontano dal mare che arriva in ospedale, dove Zanni deve andare spesso e per forza, e dove l’unica cosa simile al mare è il silenzio con un sottofondo, là di onde, lì di macchine e macchinari. Anche i titoli delle tracce si allontanano dal mare. Sono per lo più elenchi di parole. Le ho messe tutte insieme in un elenco unico:

Conchiglie, cani, gabbiani, mare, nebbia, paura, fulmini, saette, scogli, novembre, apnea, fuoco, notte, perline, onde sinusoidali, esplosioni, ricordi, nulla, Linosa, Europa.

Il mare è solo uno dei temi. I titoli descrivono il contenuto della traccia, circa. Ti portano anche da un’altra parte rispetto ai suoni, innescando davvero pensieri paralleli a quelli innescati dai suoni. Insomma, occupano il loro posto. E così questo disco di suoni diventa anche un disco di parole, soprattutto scritte, perchè la densità di quelle dette è molto bassa. Ma, alla fine di tutto, a essere più importanti sono le immagini. Ogni elemento di Ricordo quasi tutto contribuisce a generarne alcune: molti dei suoni scelti sono così definiti e riconoscibili che generano per forza delle immagini, le parole dei titoli fanno lo stesso effetto, i ricordi sono fatti di immagini di per se stessi. E le immagini a cui si ricollegano suoni e parole sono uguali per tutti, i ricordi sono diversi da persona a persona. La cosa fighissima è che questo disco dice alcune cose universali e altre personali, e lo fa con un metodo di comunicare solo suo, in un messaggio che diventa unico e differente allo stesso tempo e che si nutre prima di suoni, poi di parole e alla fine anche di immagini.

Sarebbe interessante chiedere a uno di, non so, Milano, uno che non conosce bene il mare, che effetto gli fa ascoltare Ricordo quasi tutto. Tutti i dischi suscitano impressioni diverse in ognuno di noi, ma questo è fatto di immagini legate a un immaginario preciso, che fa o non fa parte di te. Per un milanese, Ricordo quasi tutto potrebbe non significare nulla, o essere un mondo nuovo, ricollegabile magari solo a un’estate di qualche anno fa in cui è venuto in villeggiatura. Lo stesso vale per l’ospedale. Tutti siamo andati in ospedale, ma non tutti ci siamo andati con quella frequenza (Onde sinusoidali, esplosioni e inutili ricordi fa sentire tutto il peso del rituale quotidiano del ricovero). Come in pochi altri dischi, il cambiamento del punto di vista cambia moltissimo l’impressione di chi ascolta.

Lo scopo del disco, quindi, potrebbe essere creare delle immagini. Se fosse vero, tutto tornerebbe, perché la fotografia è il campo in cui Zanni è più prolifico. Alcune delle immagini create da Ricordo quasi tutto potrebbero essere per esempio le foto che pubblica come @fulminiesaette su Instagràm. Ricordo quasi tutto passa da essere un disco di suoni, e quindi tutto tranne che concreto, a un disco tanto concreto da richiamare foto che esistono già.

Esce l’8 marzo per Bronson Recordings.