I Had A Chiacchierata (no intervista) con Girless sul disco nuovo

Questa non è un’intervista, una di quelle cose in cui uno fa una domanda e l’altro in qualche modo deve rispondere perché altrimenti non è più un’intervista, quelle in cui una volta fatto tutto, se non vuoi fare lo stronzo, rispedisci tutto all’interlocutore per una letta veloce, oppure anche no. Questo è solo il resoconto, non completo ma con quello che mi ricordo io e solo col punto di vista mio, di una chiacchierata di dieci minuti, o forse un po’ di più, e non programmata, con Tommaso Gavioli ovvero Girless.

È successo la sera del concerto di Bob Nanna, in una location romantica sul Porto Canale di Cesenatico: fuori dal The Brew. L’attacco è stato tutto dedicato alla libreria della mia morosa, che per il record store day ha fatto la vetrina con alcuni dischi, tra cui anche I Have A Call di Girless, ha messo la foto su Facebook, lui l’ha vista e gli è piaciuta. Quindi mi ha detto: bella! e mi ha raccontato la storia dell’adesivo che c’è appiccicato sopra al cd. Storia che racconterei se solo riuscissi a buttarla giù senza duecento giri di parole. C’ho provato e in questo momento non ci riesco. In sostanza, che l’adesivo fosse stato attaccato lì sopra, sbam!, come una patacca, lui l’ha saputo (con piacere) vedendo la foto della vetrina.

Il disco parla della vita di otto personaggi celebri morti suicidi. Girless immagina i loro pensieri e quello che li ha portati a fare quella scelta. I titoli delle canzoni sono i nomi delle persone, come in Persona di Urali ma con contenuti molto diversi. Anche l’ultimo disco di Lorenzo Senni si chiama Persona e il motivo ce lo spiega lui su Noisey: “È una parola che esiste in italiano e in inglese con significati leggermente diversi: individuo e personaggio. Poi c’è questo videogioco giapponese che si chiama Persona basato sulla dicotomia tra i protagonisti e creature che rappresentano l’incarnazione di aspetti segreti del loro carattere: emergono in battaglia e li aiutano. Questa dualità mi ha sempre interessato tra quello che ho vissuto e come mi presento. Tra aspetti apparentemente inconciliabili di me. Torniamo sempre alla storia delle aspettative disilluse, alla fine“. Quindi si potrebbe pensare che tra musicisti italiani più o meno diversi tra loro ci sia un interesse comune nei confronti di quello che sta dentro e dietro alle persone e alle loro vite. Il genere è l’adpersonamuz, per ora ha pochi rappresentanti, ma esploderà, perché i contenuti e lo storytelling sono già la base di tutto.

I Have A Call di Girless mi piace per metà, nel senso che le ballate folk mi piacciono molto, e penso che Tommaso abbia una bella voce e sia bravo a scrivere quel tipo di pezzi con la chitarra. Mentre le canzoni più urlate non mi piacciono. Da qui è partita la conversazione sul disco. Esattamente come per la parte 2 dell’ultimo album dei Girless & Orphan, coi pezzi più pub punk non ce la faccio, gli ho detto. Al che lui mi ha gentilmente fatto notare che di quel tipo lì ce ne sono poche nell’album solista, e in effetti ha ragione, perché sono tre: MarioLuigi e un po’ di Sylvia.

Abbiamo parlato soprattutto di Mario (Monicelli), Virginia (Woolf) e Vladimir (Majakovskij). Le canzoni contengono quello che Tommaso sa dei personaggi, che sapeva già o che ha imparato per preparare il disco. Ha studiato, ha letto e ha scritto. Ricordo che un’altra volta mi aveva detto di non essere un grandissimo lettore (di professione fa il medico), ma per fare il disco si è trovato a leggere biografie, poesie e romanzi, e gli è piaciuto. Quando fare una cosa ti porta al di fuori di te stesso e ti permette di conoscere robe nuove, di studiare insomma, è un risultato molto utile. In questo caso scrivere canzoni è diventato un mezzo per imparare, che secondo me non è male per niente. Le poesie che ha letto sono quelle di Majakovskij e, per quanto nel momento in cui abbiamo parlato io non conoscessi benissimo i testi delle canzoni, ero comunque stupito di ritrovarlo tra gli otto. Majakovskij non è un personaggio così conosciuto. Sì ok, sappiamo chi è, ma gli altri della lista sono più noti, quasi tutti, tranne forse Giuseppe Pinelli e Sylvia Plath. Mentre Tommaso diceva questa cosa, io pensavo a quella volta in cui a un amico, all’esame di maturità, chiesero Majakovskij e il mio amico fece scena muta. Per stessa ammissione (postuma) del professore, con quella domanda lo volle inculare, perché Majakovskij non era neanche in programma.

Di Monicelli penso che non fosse antipatico solo perché a volte rilasciava dichiarazioni da stronzo. Parlandone, Tommaso c’ha beccato in pieno: alla fine a Monicelli non interessava arrivare dov’era arrivato, voleva solo fare i suoi film, raccontare le sue storie e si è sempre comportato di conseguenza. Era onesto, sincero, e così è rappresentato nella canzone, che infatti è una di quelle in cui Girless urla.

Mi rendo conto che l’articolo in certi passaggi sia privo di collegamenti, ma la conversazione è stata così. Non sempre mentre parli colleghi in modo armonioso, ma per costruire il discorso salti di qua e di là tentando di mettere insieme tutti i pezzi che ti passano per la testa in quel momento.

Poi abbiamo parlato anche di Ernst (Hemingway), il singolo, e io gli ho ricordato che in settembre, il giorno prima che uscisse, c’eravamo incontrati proprio lì, fuori dal The Brew. Un posto di mare, neanche a farlo apposta. È passato molto tempo tra il lancio e l’uscita, anche perché in ottobre Tommaso è partito per un tour con Brightr, poi s’è preso tutto il tempo per fare le cose che andavano fatte, e la release è stata all’inizio di aprile. Cosa ci siamo detti sul suicidio di Hemingway? Niente, solo che la canzone è bellissima, ho detto io. I learned the sea can set you free but nothing can keep me warm riassume tutto, aggiungo adesso. Non abbiamo parlato di Pinelli, che in realtà “è stato suicidato”.

Virginia è la canzone in cui si nota di più il tocco di tutto il disco, che non dice mai davvero il come si sono suicidati, ma il perché, raccontando cose che diventano metafora del percorso che ha condotto a quella scelta. Ci sono richiami diretti al mezzo usato (le scale di Primo Levi, il colpo di pistola di Hemingway) ma Girless non la mette mai giù diretta, ci gira intorno. Virginia Woolf è un personaggio difficilissimo, in balìa di una sindrome depressiva potentissima. Alla fine, ha deciso di riempirsi le tasche di sassi e buttarsi in un fiume. Sono quasi sicuro che Tommaso abbia parlato di questo dettaglio, anche se non sicurissimo. È una scena che da quando la so mi è rimasta impressa, e quando si parla di Virginia Woolf mi si piazza davanti al cervello. Di sicuro, Tommaso ha parlato della lettera al marito, e di acqua. E ne parla anche nel testo della canzone – adesso che ho studiato lo so – con un arpeggio abbastanza ipnotico sotto. Nelle parole di Girless viene fuori bene la difficoltà di trattare le vite degli altri e il suicidio: non sono mai descrittive, più che altro evocative, e quindi delicate. Non è che Girless ti dice: HO CAPITO IO COME BISOGNA FARE A PARLARE DI STE COSE, LEGGI E ASCOLTA QUI. No, che sia difficile si sente, ed è una delle cose migliori del disco.

A un certo punto ci siamo messi a dire cose sul suono, colpa mia, che gli ho detto che il disco suona bene. Al che lui ha iniziato (giustamente) a darmi alcuni dettagli. Il lavoro sulla chitarra e la voce è stato fatto tutto allo Stop Studio di Rimini ed è riuscito bene. Perché comunque, sembra, ma non è così facile farle uscire bene, anche se sono solo due. A volte senti delle cose talmente pressate… Io annuivo.

A mezzanotte e sette è venuto fuori Ivan, cioè Urali, che ha detto a Tommaso: “Vai a fare gli auguri di compleanno alla tua morosa che è passata la mezzanotte” e Tommaso si è fiondato dentro. Al che io e Ivan ci siamo detti che sette minuti di ritardo sono imperdonabili, e ci siamo messi a parlare, completamente di altro. O, non c’era modo di liberarsi delle rock star quella sera.

Streaming di I Have A Call.

Come lo vedi il Giappone?

Crew del Fecking Bahamas fest a Tokyo, pic dal fb dei DAGS!

Crew del Fecking Bahamas fest a Tokyo, pic dal fb dei DAGS!

Una volta quando vedevi le immagini di una band grossa che andava in tour in Giappone era tutto impressionante. Per esempio, i Guns and Roses ci sono andati per la prima volta nell’88, gli Oasis nel ’98. I Guns erano già delle superstar a quell’epoca, erano i re della musica da ascoltare e venivano presentati così: “Would you please welcome from Hollywood: Guns and Roses!“. Vero colonialismo. Come si legge nelle informazioni sotto al video del concerto a Tokyo, su YouTube: “Axl mentions how all the Japanese fans are following them all over Japan”. Praticamente, fedeli come dei cagnolini. Ma, immagino, anche gli Americani li seguivano in tour lungo tutta l’America.
Gli Oasis in tour in Giappone, invece, trovavano strano tutto quello che era giapponese: hanno ribadito il concetto anche recentemente nel loro omaggio a se stessi.
L’utilità del contributo all’intelligenza di queste band era zero. Se si pensa anche solo al successo dei manga in Occidente, o alle cose belle nate dall’unione di Occidente e Giappone, come i Deerhoof per esempio, è facile capire quanto si sbagliavano ad avere un atteggiamento di superiorità.
Cronologicamente in mezzo a questi due giganti del rock (ma formiche non laboriose dell’uso del cervello), e avanti dal punto di vista dell’attitudine, sono i Fugazi. Che vanno in Giappone per nel 1991 e questo è quello che c’è scritto sul sito della Dischord:

“From the available audio source, as well as from the video sources provided below, it is clear that the band is very appreciative to have made it to Japan, having spent a couple of great days there, strikingly pleased with the sights and sounds of Tokyo and the distractions the city has to offer (note that Guy praises the King Fucker Chicken performance in the incredible Yoyogi park and at one point enquires about the pachinko heads in the audience as well)”

Non sono i tempi a dettare il modo diverso di vedere il mondo. I Fugazi, appunto, vanno in Giappone per la prima volta a metà tra i Guns e gli Oasis. Il segreto per non far sembrare il Giappone una cosa strana (diversa, ok, ma non inferiore perché differente) era nell’atteggiamento di chi ci andava a suonare. Si tratta di gruppi diversi: i Guns e gli Oasis sono rock star, i Fugazi no, ok. Ma quello che m’interessa è proprio la proposta di due atteggiamenti all’opposto, già contenuti nella “poetica” delle band in questione e proprio per questo indicativi di un modo di vedere le cose. I Fugazi sono contenti di andare in Giappone. Essere là per gli Oasis era come essere in un posto di cui avere paura perché la gente si comporta in modo diverso rispetto all’inglese medio. Essere là per i Guns era come essere là per un re che va ai confini dell’Impero. I Fugazi hanno dimostrato di avere un po’ più di intelligenza umana. Non che il confronto sia mai stato necessario o richiesto, ma è interessante: persone con una sensibilità e una mentalità diverse poste di fronte alla stessa novità reagiscono in modo completamente diverso. Non è l’uomo a essere stronzo di suo, ma è il suo background socio-culturale che lo rende o non lo rende tale. Poi, è una questione di atteggiamento, che deriva dall’intelligenza, che a sua volta si sviluppa più o meno nell’ambiente in cui cresci e nel modo in cui l’affronti. Dall’esterno, vedevi gli Oasis e i Guns andare in Giappone, marcando le differenze – se non in negativo – comunque dall’alto, da una posizione che non poteva essere la tua: la lezione era pessima. Leggendo o vedendo dei Fugazi in Giappone, il loro è lo stesso atteggiamento che avrebbe avuto una persona normale curiosa e affascinata dal mondo lontano. O che hanno avuto i DAGS!.

Il Giappone 20 anni fa era molto più lontano di quanto non lo sia oggi: oggi, se un gruppo – piccolo, medio o grande che sia – va in Giappone, può raccontarlo in diretta su Facebook. Già in partenza è tutto più famigliare, quindi: alla base di tutto c’è il mezzo, che è nostro e facilita le cose rispetto a una volta. Gruppo grande o gruppo piccolo, a seconda di come usa il cervello chi ci sta dentro o eventualmente chi gli fa da social media strategist, le modalità di racconto saranno senz’altro diverse: anche il modo di raccontare il viaggio ha un valore.

I DAGS! sono andati in Giappone in novembre, per un tour di 6 date e l’hanno raccontato su Facebook. Le foto parlano da sole. Li ho seguiti da qua, nel senso che la cosa m’incuriosiva e mi piaceva l’idea che facessero una serie di concerti in Giappone, quindi sono stato in occhio a beccare le cose che condividevano su Facebook. Mi piaceva anche il fatto che pubblicassero le foto dei concerti ma non solo, anche quelle di quando erano in treno, in bus o nella stanza d’albergo. In un certo senso era un po’ come viaggiare con loro. Poi c’è quella foto che ho messo all’inizio dell’articolo. L’ho messa perché fa vedere anche chi altro c’era dietro l’organizzazione del tour, tra quelli che l’hanno organizzato da là. E non era l’unica foto che raffigurava i local che avevano partecipato. I DAGS! sono andati in Giappone grazie a un sacco di persone, e con un sacco di persone, e ce le hanno fatte vedere mentre erano là. Non è stato un tour figo solo perché loro sono andati in Giappone a suonare, ma anche per tutto quello che c’è stato intorno. Almeno così è sembrato, da qui.

Insieme a To Lose La track, poi, hanno pensato di anticipare la stampa della compilation che ogni anno TLLT fa uscire sempre per Natale, per portarla in Giappone e promuovere i gruppi. Tutti i gruppi del roster, non solo i DAGS!, più le anticipazioni delle uscite previste per il 2017. La puoi ascoltare qui.

La compilation inizia con We All Like Theories, Let’s Not Make Anything Ever Happen dei DAGS! Il pezzo ha una parte ritmica latin jazz e un basso insistente ma morbido. Come (quasi) sempre nei DAGS!. Insieme ai Leute, tengono in piedi benissimo il revival emo anche quando il revival è finito, con dischi suonati al meglio proprio nel momento in cui scendono nella cura dettaglio, come spesso il genere richiede.

Spy Dolphin dei Delta Sleep
Scilla dei Valerian Swing
Insieme a Three in One Gentleman Suit, i Valerian Swing e i Delta Sleep hanno cambiato la rotta di TLLT. Aurora (che contiene Scilla) dei Valerian Swing e Management dei Delta Sleep escono nel 2014, Notturno dei Three in One Gentleman Suit nel 2015 e TLLT passa dall’essere un’etichetta (per lo più, e sottolineo per lo più) orientata all’emo, al punk rock e al power rock a portare al centro dell’attenzione il math rock, influenzato da emo, screamo o post rock, ma comunque con un modo decisamente diverso di scrivere i pezzi. Che si riempiono di scale e diventano delle corse verso l’alto, in contrasto con i gruppi della “generazione” precedente, che sviluppavano in profondità le canzoni, dando al suono una potenza maggiore grazie anche all’uso della ripetizione. Nel 2016 i Delta Sleep hanno pubblicato Twin Galaxies, che contiene Spy Dolphin.

Tiger! Shit! Tiger! Tiger!, Weird Times
Questa è la prima anteprima della compilation: il disco nuovo dei Tiger! esce il 16 gennaio. Loro sono tra i gruppi della “vecchia” generazione TLLT, di quelli che con le chitarre scavano più in profondità. Solo loro, però, lo fanno chiamando in causa lo show gaze e i Male Bonding.

Riviera, Piscina
L’ultimo disco dei Riviera è ancora quello, ma si dice che tra poco ne uscirà un altro. Hanno fatto uno degli album più riusciti del 2014, nell’onda emo power singalong. I loro concerti a più di 2 anni dall’uscita dal disco sono ancora una grande festa, con gente che urla i testi e tenta in tutti i modi di farsi male.

Quasiviri, Gravidance
Gli inventori del mathrock di TLLT, nel 2012. Poi sono tornati nel 2014, con Super Human, che contiene Gravidance.

Three In One Gentleman Suit, Ashes
I Three In One Gentleman Suit hanno una lunga storia alle spalle, che arriva fino al 2003, quando esce Battlefields in an Autumn Scenario per Fooltribe. Dentro c’era già tutto quello che hanno adesso ma meno raffinato e, riascoltando, allora c’era meno tensione. Sono migliorati.

Gazebo Penguins, Difetto. Sono i capostipiti TLLT del farsi male ai concerti con l’emo power singalong. Li ho visti una decina di volte dal vivo, ho consumato i dischi, ho scritto alcune cose, ho comprato ripetute volte una loro maglietta, quando parte Difetto è come se fosse sempre non la prima ma la terza volta che ascolti una canzone, cioè quando inizia a entrarti dentro. Aspetto il disco nuovo, sono disposto ad aspettare lunghi anni, l’attesa ha un valore, così come il racconto del viaggio, ma alla fine deve essere soddisfatta. Sembra che io stia filosofeggiando, in realtà sto parlando dei Gazebo Penguins usando alcuni dei loro temi, alcuni dei quali presenti anche in Difetto: futuro, ricordi, attese.

San Diego Coletti dei Cayman The Animal. Il rigurgito punk anni 90 di TLLT del 2015, in mezzo a tutto quel rock MATH. Apple Linder è uno dei dischi che ho ascoltato di più l’anno scorso, pur essendo uscito in ottobre. Con le grafiche di Ratigher, uscito in cordata con Sonatine, Escape From Today e Mother Ship Records, che si sono spartiti a sorte la produzione del cd e del vinile, come si fa con i beni materiali.

Lags: Queen Bee. I Lags rappresentano il punto di arrivo delle correnti sviluppate dall’etichetta negli ultimi anni, unendo in Pilot (2016) emo screamo, punk rock, math rock e post hard core (i cui massimi rappresentanti di sempre in TLLT sono i Disquieted by che hanno fatto il disco nel 2012). Hanno pubblicato un ep acustico, dove vanno giù naturalmente meno pesi e fanno anche una cover delle nostre guide comportamentali all’estero, i Fugazi.

Marnero, Il Pendolo. La band più pesa di To Lose La Track. Su di loro avevo fatto anche un esperimento che non si è cagato nessun (questo) ma non fa niente.

Action Dead Mouse, Ginnastica nell’acqua. Sono entrati di recente, prima erano con Flying Kids, Fallo Dischi oppure da soli. Hanno una funzione importante all’interno del listone della compilation: uniscono il post hard core alla new wave anni 80, che tra cinque canzoni sarà rappresentata da Havah e Giona. Infatti con L’Amo (che conteneva Giona l’uomo) gli Action Dead Mouse avevano fatto uno split.

Labradors, All I Have Is My Heart. Diego ha eletto The Great Maybe tra i suoi dischi dell’anno.

Minnie’s. Voglio Scordarmi Di Me. Nei Minnie’s suona il basso Viole, che suona il basso (quello insistente ma morbido) anche nei DAGS!. Voglio Scordarmi Di Me è il mio pezzo preferito del loro ultimo ep, Lettere scambiate, dove vanno definitivamente oltre il punk rock puro, piuttosto proseguono la strada verso il punk rock cantautorale – iniziata solo in parte con Ortografia – e schizzano via dalla possibilità di qualsiasi attuale parallelismo con un altro gruppo TLLT.

Urali, Mary Anne (The Tailor)
Girless, Ernest
I due cantautori in inglese, amici nella vita. E in effetti anch’io sono loro amico, non come sono amici loro tra loro, ma un po’ si. Può l’amicizia influenzare il giudizio sul disco di un amico? No. Se il giudizio è negativo, puoi decidere se esprimerti o meno, ma il giudizio rimane quello. Il mio giudizio è positivo, quindi non ho problemi.
Quando ho sentito per la prima volta Ernest di Girless (di Girless&The Orphan) ho detto che era bella come le vele delle barche del porto canale di Cesenatico, perché il giorno prima avevo incontrato Girless a Cesenatico, di fronte al The Brews, il locale che il 28 aprile fa suonare Bob Nanna di Braid e Hey Mercedes, sul Porto Canale di Cesenatico. Adesso, visto che siamo dentro la compilation di Natale, Ernest è diventata bella come le vele delle barche illuminate per Natale, col presepe dentro, sul porto Canale di Cesenatico. Il disco uscirà nel 2017, quindi questa è la seconda anteprima della compilation.
Urali ha fatto un disco che è un affresco, a partire dalla copertina. Dentro ci sono i ritratti di alcuni personaggi, alcuni dei quali mi ricordano i primi piani di Thomas Ruff, per la loro fermezza nel descrivere lo stato delle cose ma anche per la loro capacità di lasciare in sospeso e interrompere, limitandola a un momento, la definizione del personaggio stesso.

Sappiamo chi sei, di Havah
Coerenza Tralalà, di Giona
Dopo Settimana, Havah ha fatto uscire Durante un assedio (2014) e ha virato la direzione di TLLT verso la new wave, rendendo ancor più traballante dopo l’incursione dei Disquieted By la base su cui si regge il mio “per lo più” iniziale. Più recentemente, Giona con Per tutti i giovani tristi (2015) ha spinto l’etichetta ancora verso la wave, differenziandosi molto da Havah, soprattuto nelle melodie, che sono più pop. Tutti e due i newavers hanno scritto testi bellissimi.

CRTVTR, A.M.
CRTVTR entrano nella To Lose La Track solo nel 2013 con Here it comes, Tramontane!, in cui suona anche Mike Watt dei Minutemen, così come suonava in We Need Time EP (2009). We Need Time EP musicalmente è di una vita fa: è più diretto, come la gioventù, che si va lentamente perdendo. Nel 2016 è uscito Streamo, sfumatura più ipnotica della corrente math rock. Più adulto.

To Lose La Track Goes To Japan si conclude con Ponti, S. degli Autunno, gruppo a me sconosciuto novità 2017 che inizia con le chitarre cattive alla Gazebo Penguins (ma con una distorsione dalle maglie più aperte), prosegue recuperando i Verme nella disperazione della voce e finisce per riprendere anche alcune spigolosità del math rock d’annata. Ma senza decidere se riempire lo spazio in altezza o in profondità. Vedremo.

“Un tour in Giappone non capita tutti i giorni” (cit. Luca Benni, capo di TLLT).

Mancarone CASO nella compilation. Se puoi sopportare questa cosa, ascoltala qui.

Manca poco a che finisca già gennaio, uno.

soglianois-winter-3

L’estate scorsa non è stata calda ed è piovuto spesso. L’inverno che stiamo sfangando non è stato freddo fino a l’altro ieri, poi all’improvviso si è messo in testa che doveva fare la neve, e la galaverna sulle piante di notte. Uno dei temporali più odiati dell’estate 2014 è stato quello del 26 luglio, il giorno in cui doveva esserci il Soglianois. Quella volta il Soglianois è saltato, ma adesso ritorna, edizione invernale. Ritorna in un posto in cui quando ci sono i concerti si sviluppa una temperatura che possiamo usare come rifugio dal freddo che fa fuori, il Sidro a Savignano sul Rubicone. Non è solo questione di amplificatori caldi, dipende dalle dimensioni del locale, piccole (posto nano tutto tano), e dalla gente che c’è dentro. Quando è molta d’inverno è bello. Fuori inizia a scendere il freddo più stronzo, dentro ti togli il giubbotto e tutta la lana che hai addosso e inizi a stare bene. D’estate stai altrettanto bene. Domani c’è il Soglianois Winter 3. Ci sono i Fine Before You Came che fanno un set acustico col violoncello. L’idea nasce dal non avere voglia di fare i concerti uguali a quelli dell’anno scorso, provare a fare una cosa nuova, acustica, non con pezzi nuovi ma con quelli vecchi. Quella del Sidro è la seconda data, quindi saranno tesissimi e verrà sicuramente benissimo. Quando scrivo non hanno fatto neanche la prima, quindi neanche loro sanno come sarà veramente. La trovo una prospettiva piena di stimoli, la nostra e la loro. Prima suonano i Girless & The Orphan e gli Uyuni, tutti e due con un disco nuovo uscito nel 2014. Li potete ascoltare/acquisire gratuitamente qui (Girless) e qui (Uyuni). Se volete essere coscienti di quello che cliccate prima di cliccare, i Girless fanno folk punk ma anche e soprattutto delle ballate bellissime, gli Uyuni del blues psichedelico, che da ascoltare al Sidro è la morte del freddo fuori.