Contro il buio metallizzato del 2016: tre cartoline per San Silvestro

giuseppe

Dal profondo

Le vacanze di Natale sono un po’ così: ti svegli la mattina con un po’ di mal di testa ma non prendi nulla perché comunque è un mal di testa leggero, allora sonnecchi per un po’ nel letto ancora caldo, poi ti alzi di nuovo e mangi un biscotto. Poi sonnecchi un altro po’ sul divano, ti svegli canticchiando mentalmente un motivetto di cui non ricordi il titolo. Poi passi davanti alla libreria e spulci qualche libro, ne scegli uno e te lo porti sulla poltrona dove incominci a leggerne qualche riga ma smetti subito perché hai ancora in testa quel motivetto. Allora appoggi il libro sul bracciolo del divano e cerchi di fare mente locale per capire che diavolo di canzone stai canticchiando da quando ti sei svegliato. Niente! Non ti viene in mente. Fai un giro per la stanza camminando avanti e indietro ma non ti viene in mente nulla. Ogni ipotesi che fai la scarti subito dopo. Allora provi a pensare a tutt’altro sperando che per quegli strani processi mentali ti venga poi l’illuminazione. Ma ancora niente! Poi tua madre ti chiede cosa vorresti per pranzo e quando pensi a cosa ti andrebbe, ecco la folgorazione! È la sigla dei Simpsons che stai cantando da due ore mentre passavi al setaccio tutta la tua conoscenza musicale pensando a chissà quale oscuro gruppo new wave. Ti consoli dicendoti che pure i Sonic Youth hanno fatto una comparsata nei Simpson rifacendone alla loro maniera la sigla ma poi incroci lo sguardo sconsolato di tua madre e le dici “pastaefagioliconlecotiche”. Dopo pranzo sonnecchi di nuovo sul divano. Che belle le vacanze di natale. Sono le 4 pm. Ci sono obiezioni se torno a dormire adesso? (Giuseppe)

Sick Of It all-1995-paso

Sick Of It All dal 1995. Seri.

Correva l’anno 1995, precisamente il 6 giugno. Quella sera mi presentai al Velvet per assistere alla tappa riminese del tour che vedeva assieme H2o, Civ e Sick Of It All. I primi erano al loro primo effettivo tour nelle lande europee, e nel corso degli anni torneranno a visitarle parecchie volte, diventando un gruppo molto conosciuto in ambito hc. I Civ, anch’essi alla prima europea, erano nient’altro che i Gorilla Biscuits, senza Walter e nella loro ultima incarnazione (a parte Porcell). I Sick Of It All, bhè, se bazzicate un po’ la scena li avrete di sicuro sentiti nominare. Non nascondo che ero davvero felicissimo di potermi gustare tre act così importanti (almeno per me), a pochi chilometri da casa, ovvero Cesena. Tenete poi conto che all’epoca (ma pure oggi) sono un fan sfegatato di Gorilla Biscuits, Civ e naturalmente Sick Of It All. Il concerto scorre via che è un piacere, stage diving mosh, io me ne sto un po’ a lato (ho sempre odiato farmi male e soprattutto sudare, ahahah!), pezzi dei Gorilla Biscuits, eccetera. Se nonché, a un certo punto del set dei Sick Of It All me ne sto vicino al pit assieme a Diego (che ai tempi suonava la batteria nei Konfettura e poi sappiamo quasi tutti che musicista sopraffino sia ai giorni nostri) contento come una pasqua, perchè i SOIA stanno spaccando (e posso confermarlo, pure nel 2016, visto che continuo imperterrito ad andare a vederli). Bene, non so come non so perchè, mi arriva un bel pugno in pieno occhio destro. Nella foga, un punk vicino a me, aveva alzato troppo il braccio e mi aveva centrato in pieno. A botta calda, rimango un po’ interdetto, Diego se ne accorge subito e comincia a osservare il mio occhio. Fortunatamente, non successe nulla di grave. Il punk si scusa immediatamente, io gli dico che è tutto ok, e proseguiamo a gustarci il gruppo dei fratelli Koller. Da quella volta mi sono successi altri incidenti (tipo esser tirato giù dal palco durante un concerto dei 100demons in Belgio mentre scattavo foto, oppure una manata in faccia di recente a un concerto dei Mindset in Germania e tanto tanto altro) ma questo è quello che mi è rimasto più impresso. Ora il Velvet non esiste più, i Sick Of It All e gli H2o continuano a macinare chilometri su e giù per il mondo, i Civ si sono sciolti (ma hanno toccato il Rock Planet tempo fa per un tour reunion estemporaneo), in compenso sono tornati i Gorilla Biscuits (che ho visto un bel po’ di volte), ma soprattutto sono ancora qui, a quasi 38 anni suonati, che mi gingillo ancora con l’hardcore. Alla faccia di quelli che affermano che è solo una moda passeggera, ahahaha! (Marco Pasini)

Carlton dal 2014

Carlton vive e qui è in una foto dal suo annus faticosus: il 2014

Il 29 o il 16 dicembre 1966, va a capire, wiki dice una cosa Repubblica dice l’altra, la cover di Hey Joe di Jimi Hendrix entra nella classifica inglese. Da quel momento inizia la carriera del napoletano, come lo chiamava un mio amico di Avellino. Brevissima carriera: 4 anni, è morto nel 1970. Niente di meglio, immaginate cosa si sarebbe messo a fare pirullando con la chitarra nella vecchiaia. Hey Joe è di Billy Roberts, anche se alcuni l’attribuiscono a Chester William Powers, detto anche Dino Valenti, per darle quel non so che di italo rock che se si parla di Jimi, da quando il mio amico mi ha detto che è di Napoli, viene sempre buono. Di cover di Hey Joe ne sono state fatte una follia e di solito, nonostante la diversa paternità, si dice la cover di hey joe di jimi hendrix. Nel 1993 la cover di hey joe di jimi hendrix l’hanno fatta i Body Count. All’epoca sembrava riuscitissima: la voce di Ice T assomigliava molto a quella di Jimmi Bomba, e andava fortissimo in tutte le Feste dell’Unità. Se l’ascolti adesso è un tentativo di fare una roba tosta però rivista un po’ sui giri e gli assolacci di chitarra grugne che andavano per la fortissimo in quel momento. Ha di memorabile il video, che inizia col ragazzetto che scappa tra le case distrutte, non si capisce se si trasforma in un ballerino e anche della storia francamente non si capisce una sega. E ha di memorabile il chitarrista, uguale al cugino di Willie il Principe di Bel Air, Carlton. In sede di montaggio si è deciso di fare più volte campo-controcampo di Carlton con Jimi e con un bidello che fa le pulizie e talvolta tracanna con sguardo felino una boccia di whisky che nasconde nell’armadietto. Gli ambienti sono vari: il cortile di un ospedale, il corridoio di un ospedale, una stanza d’ospedale (e poche altre indefinite location che però non interessano a nessuno). A un certo punto uno muore, dei tipi si scambiano dei dollaroni e il bidello beve dall’armadietto. Poi alla fine Carlton, vestito sempre da rapper che smandrilla nella chitarra, lancia il suo assolo travolgente mentre passa una signora sulla sedia a rotelle e un prete si beve tutto il vino dell’ostia – individuiamo un tema principale: l’alcol. Qui l’ambiente è diverso: una chiesa di un ospedale. Ma i Body Count suonano per la maggior parte del tempo il quel cortile, che assomiglia tutto al cortile del Liceo in cui, in un torbido giugno, durante la festa di fine anno scolastico, ho avuto un dialogo che mi torna in mente ogni volta che sento Hey Joe dei Body Count. A quel tempo suonavo la batteria e non è che fossi scarso, però quel contro tempo alla fine della strofa di Hey Joe, che nella cover è molto più tamarrizzato rispetto all’originale, mi veniva una su venti. Qualche volta me la sono messa anche in cuffia e l’ho suonata in diretta, ed ero quasi ok, ma quando la davano alle feste dell’unità, con le mani in tasca, seguivo il ritmo con le ditine e non sempre azzeccavo le battute del rullante. Quel giorno, durante la festa di fine anno in cortile, il dj era uno patito di Jimi Hendrix, c’assomigliava pure, e andava matto per la cover dei Body Count. Quindi, a un certo punto l’ha messa su a tutto volume, come simbolo dei nostri tre mesi di libertà estiva. In quel momento stavo parlando con un’amica di vecchia data e una sua amica, che in seconda media era stata la mia morosina, mi aveva lasciato per telefono e io ero ancora un po’ risentito. Mentre la voce di Jimi T risuonava tra quei caseggiati grigio-bianchi, volevo fare lo sciolto e per aiutarmi mi infilai nella mia sfida: il rullante in tasca. Mentre beccavo le battute meno del solito, la mia ex mi chiese “Ma tu la sai suonare questa con la batteria?”, io risposi “Si” e lei mi guardò con approvazione. Che sia il 16 o il 29 dicembre 1966 il giorno in cui Jimi iniziò il cammino verso il paradiso delle rock star non mi frega, quello che volevo dire qui è che mi sentii il più figo della festa. Tanto che le risposi “Visto chi ti sei lasciata scappare?”, col pensiero, e andai a cercare la boccia di whisky nell’armadietto del bidello. (Trucco)

Il buio metallizzato l’ha inventato Maurizio Blatto.

Lee Ranaldo, Steve Shelley and The Dust (Faenza, Teatro Masini)

Lee Ranaldo, Steve Shelly and The Dust

Prendi il sosia di Nick Cave da giovane e del mio amico Okipa e mettilo (qui) a suonare la chitarra con uno stile piuttosto classico; poi prendi il secondo sosia conosciuto al Mondo di Lou Barlow, dagli l’aspetto del Pizzo e di Igi (che sono altri due miei amici) e le dita di Moroccolo. Il primo sarebbe Alan Licht, il secondo Tim Luntzel. Se ci attacchi Lee Ranaldo vengono fuori The Dust. E se ci aggiungi Steve Shelley viene fuori la formazione con cui Lee Ranaldo è in tour ora, e in Italia la settimana che và a concludersi, con Beetween the Times and the Tides e qualcosa del nuovo album previsto per l’inizio del 2014.
Lee Ranaldo dà come la sensazione di aver raggiunto una specie di serenità (cosa che non si può dire per Pere Ubu), sembra aver capito che a una certa età non è necessario fare nient’altro che suonare come uno è capace di suonare, senza aggiungere cose che non vengono e che le si forza a venire fuori. Così, sul palco si diverte, giù dal palco parla e fà foto con tutti, anche quattro scatti alla volta.
Steve Shelley è sempre stato ed è il mio preferito. Senza il suo supporto ritmico i Sonic Youth sarebbero stati grandi la metà. Tutto quello che bisogna dare sul palco, Shelley lo dà, oggi come ieri. E giù dal palco è simpatico come il più verace amico d’infanzia. Ok, forse esagero.
Alan Licht e Tim Luntzel non sapevo chi fossero prima del concerto. Ma alla fine del concerto erano seduti sul divano di velluto del foyer del teatro, ridevano se andavi a salutarli, e sul palco erano il primo dimesso, il secondo in possesso di movenze morbide e rotondeggianti.
Tim Luntzel è l’unico bassista americano con lo stile di Gianni Moroccolo, non perchè i bassisti americani non abbiano stile, ma perchè non hanno le dita di Moroccolo, e il conseguente impasto sulla tastiera.
Alan Licht è un chitarrista molto controllato, con un passato vicinissimo a Sonic Youth e ballotta, anche con una certa musta, che svisa ma lo fa in modo preciso e freddo. Se lo metti di fianco a Ranaldo, che ha fatto diventare quello che fà un marchio facendolo sempre allo stesso modo, il risultato è l’unione di due modi diversi di controllare lo stesso strumento. Un risultato come direbbe mio nonno formidabile.
Al concerto (messo in cartellone da Strade Blu) tutto questo giova molto, soprattutto ai pezzi di Beetween the Times and the Tides e di questi in particolare a Waiting On A Dream e Xtina As I Know Her. Sulle canzoni che finiranno nell’album nuovo, che ha da uscire comunque piuttosto lontano nel tempo (deve passare la torrida estate), sono sembrati tutti più indecisi, e una canzone (di cui non ricordo il titolo, ma Ranaldo l’ha detto) è almeno in alcuni passaggi un pò confusa, perchè tira in ballo una ritmica troppo poco caratterizzata.
Il resto è stato il risultato della bellezza e della sonica classicità dei pezzi (due su tutti: LostFire Island Phases) più la grandezza del personaggio, anzi dei personaggi, e della loro esperienza. Insomma, tutto particolarmente eccitante.
E il teatro è il posto ideale per qualsiasi ascolto alla fine. In certi casi basta sradicare le sedie in platea e via andare. Poi, è costato dieci euro.

Grazie a Giacomo D’Attore per la foto di Pere Ubu.

Cose da fare quando Nevica e quando non hai una lista di Natale

The Fiery FurnacesTutto quello che segue sarebbe nulla senza la certezza che Dario Argento fa ancora dei film.

La prossima volta devo saper valutare meglio le conseguenze spiacevoli. Se ho un blog son tutti i giorni lì a guardare le statistiche del come va e del come non va. Certi giorni una tristezza, certi altri un pò meno. Pubblico pubblico e scrivo scrivo, neanche tanto poi, con l’impegno tassativo non di non scrivere boiate, che è più o meno impossibile, ma di impegnarmi con serietà e di pensare prima di spingere su Pubblica che l’opera appena compiuta sia la migliore di tutte quelle compiute sino a ora.

Lontano anni luce dal livello altissimo di altri blog, scrivo e torno alle statistiche. Neanche da dire che ci trovi chissache, nelle statistiche. Ma quando sei in un blog, sei in un blog, è una profezia: chiunque fa questo, avrà questo, chiunque vuole per forza rischiare la gogna su internet, deve tenere a bada gli spiriti e controllare che sia tutto ok e che almeno 20 persone abbiano avuto voglia di leggere due delle righe che quello che scrive sul blog ha scritto.

Per esempio io ho sempre voglia di vedere cosa c’è di nuovo su Zerocalcare.it perchè è aggiornato un lunedi su due, senza ossessione, almeno credo. E le cose nuove su Zerocalcare.it sono così pregnanti che a Natale ho deciso di scroccare facendomeli regalare sia La profezia dell’armadillo, sia Un polpo alla gola. E se non me li avessero regalati, li avrei comprati. Sono troppo giuste le vignette sul blog, non possono essere non godibili le due graphic novel pensavo. Infatti avevo ragione. Lì dentro c’è un sacco di roba: la sfiga, la scuola, l’amore, un giro sulla via verso il disperato pessimismo cosmico, il bilico, il panico, la svolta, un domani sempre presente (al contrario di quella cazzo di espressione che va tanto adesso, “come se non ci fosse un domani” – però la canzone di Mr. Brace Domani è una figata), i professori del liceo, la paura del niente, la mamma rompipalle ma che ha sempre ragione, la privacy, la tortura psichica, l’autostima e anche l’amicizia.

Importante è sapere che è Bao Publishing che ha pubblicato Zerocalcare, che è poi la casa editrice che ha pubblicato in italiano anche La Lega degli Straordinari Gentlemen – Century di Alan Moore e Kevin O’Neill, altro dono gentile che ho ricevuto per Natale. Calcolando che per Natale ho ricevuto anche gli adesivi di To Lose La Track e il cd di Girless and the Orphan, Nothing to be worried about except everything but you, chi dice che il Natale fa schifo è uno stronzo. Chiarito questo punto devo aggiungere che quel cd era in una lista di tanti e che l’ho scelto tra tanti da farmi regalare, quindi non sono un ingordo, anche se approfitto e mi tuffo a pesce nelle liste per Natale.

Detta anche questa cosa, tutto è relativo. E se al lavoro uno continua a chiamarmi Pacchetti, forse perchè è in loop con il Natale, invece di Sacchetti, posso superare tutto, perchè alla sera arrivo a casa e devo ancora leggere La Lega degli Straordinari Gentlemen o ascoltare uno qualsiasi dei dischi fottuti che ho comprato da poco, in particolare quello che devi ancora capire se è un pacco oppure no. C’è una tipa, in un negozio di dischi che frequento, che compra 10 vinile alla volta, va a casa, li ascolta e se non le piacciono li riporta indietro. E il negoziante li rimette in vendita come usato. Una cosa bellissima. In questo modo c’ho comprato Gentlemen di The Afghan Whigs che ascoltato oggi è un pacco pauroso, ma qualche anno fa era una bomba. E io che sono uno tosto e l’ho preso usato pochi giorni dopo che era uscito, grazie a lei. Quando non ho una lista pronta per Natale corro al negozio e chiedo “Oh, cosa ti ha portato la tipa?”. Con i pacchi che prendo, che non sono tanti in realtà, forse posso diventare come lei. Ma lei memorizza tutto, tutto quello che ascolta una volta è come se lo avesse ascoltato mille volte. In questo non sono in grado di diventare come lei.

Oppure, se mi chiamano Stracchetti ascolto una qualsiasi cosa di The Fiery Furnaces, o vedo Fantozzi subisce ancora. Però, non credo nel potere curativo dell’arte.

L’ultimo pacco che ho preso è stato Tara Jane O’Neill e Nikado Kazumi, TJO and NIKA, un polpettone che non conoscevo ma che ammirando profondamente Tara Jane O’Neill mi sono fiondato subito a comprare anche perchè non è così facile trovare album suoi in giro, neanche nei torrent. Preciso, non sono da crociata anti-download illegale, come Battiato, ma amo spendere i miei soldi in vinile. Punto. Perchè mi piace dare i soldi ai gruppi e alle etichette indipendenti che si fanno un mazzo gigante e perchè mi piace avere un supporto fantastico, indipendenti oppure no. Se poi dentro al vinile c’è pure il codice per scaricare l’mp3, è Natale. E se poi fuori nevica, attacco sullo stereo Nevica dei Gazebo Penguins, che è una di quelle canzoni che mi piace ascoltare se qualcuno mi ha chiamato Sig. Stracchetti, che fa rima con Zampetti ma non ha la stessa classe. La ascolto e la felicità non è mai stata così vicina. Fanculo Stracchetti.

O, mi piacciono anche le robe mainstream. Come Bruce Springsteen. O i Sonic Youth, perchè noi negli anni ’90 eravamo giovani introversi, eravamo giovani che ascoltavano i Sonic Youth. E durante le feste di Natale sono andato a vedere Lo Hobbit di Peter Jackson, che è bellissimo. Per tutto il film ho aspettato che arrivassero le acquile, e alla fine sono arrivate (non è spoileraggio e c’è un errore, se siete ancora svegli alla fine del post).

E comunque, anche se non fossero arrivate, bisognava pedalare.