Beaches Brew 2014, Hana-Bi

beaches-brew-2014

I Pond sono le chitarre a vortice che fanno all’amore con la colonna sonora per un poliziottesco italiano, noto genere cinematografico per il quale avremmo potuto anche vergognarci e invece ne andiamo ben orgogliosi visto che il trend continua a tirare. I Pond dal vivo non li ho mai visti ma penso che il loro set potrebbe essere quello più capellone di tutti al Beaches Brew. Pond, Pond, Bardo Pond, sono nomi da non confondere. Questi Pond sono una parte dei Tame Impala, per i quali non ho una grande passione perché mi mandano in frittura le palle dopo qualche minuto tanto che l’anno scorso ho deciso di non andare a vederli dal vivo a Ravenna, forse ho sbagliato, forse no, mio fratello dice di si, ma comunque su disco preferisco Speedy Ortiz che mi ricorda molto Sleater Kinney, se non altro perché sono due nomi davanti ai quali spontaneamente mi viene da non mettere l’articolo. Tra l’altro loro hanno fatto anche, prima dell’album, una cassetta che si chiama The Death of Speedy Ortiz uscita per nessuna etichetta nel 2011, e lo trovo molto divertente. Non so se è perché è un po’ che si parla di anni 90 e perché a questo punto il mio cervello è con decisione ri-orientato in quella direzione ma Speedy Ortiz mi sembra in questo momento un bel minestrone di quel decennio, Nirvana, Pavement, Sonic Youth e pure Soundgarden (sono veramente troppo concentrato sugli anni 90). Non sono così originali, ma comunque più originali degli Yuck. Scopro anche che in Speedy Ortiz c’è un chitarrista che si chiama Matt Robiboux che suonava nei Lenny Kravitz. Poi trovo un twit del 4 maggio in cui Sadie Dupuis (la cantanta) spamma che il chitarrista si è preso uno hiatus indefinito perché ora suona nei Pony Bones ascoltando i quali potrei regredire alla più terribile disperazione emo non senza notare che però hanno anche altro da dire. Matt Robiboux non ci sarà, non ci aspettavamo che ci fosse, chi suonerà la chitarra allo stesso modo e al posto suo è Devin McKnight dei Grass is Green.

Take me down to the Paradise

City where the grass is green

and the girls are pretty.

Lee Ranaldo è il mio vecchio preferito, Steve Shelley pure, & The Dust sono la band più incredibile e polleggiata (quindi da non paragonare ai Deerhoof, i più incredibili ma non polleggiati, e neanche a Shannon Wright, incredibile ma tormentata) che ci sia in giro al momento, dopo i Clever Square è chiaro. Del nuovo Lee Ranaldo, per quanto troppo di nuovo non ci sia, preferisco sempre il primo disco (Between the Times and the Tides) al secondo, e il primo disco è quello meno nuovo.

I Grass is Green sono comunque questa cosa incredibile qui.

I Grass is Green non saranno al Beaches Brew 2014, ma ci saranno i Disappears, gruppo della manata post Sonic Youth nonché ex gruppo di Steve Shelley. Ai tempi (2010) Lux mi era piaciuto, era plasmato un po’ sopra ai Sonic Youth lato Thurston Moore con alcune chitarre (Pearly Gates) alla J. Mascis rallentate all’ennesima potenza. Era (2013) lo sfango molto meno perché a volte ha quel cantato alla Cramps senza però essere i Cramps, cioè usando i Cramps fuori dal contesto Cramps, il che mi fa sembrare tutto un po’ fuori luogo. Era perde ritmo rispetto a Lux, del quale ritmo non ha merito Shelley, che li ha raggiunti dopo il secondo disco (Guider) e li ha abbandonati nell’anno di e dopo aver registrato Pre Language (loro terzo) – “touring scheduling conflicts” o “touring conflicts” sono le due motivazioni dello split che si trovano in giro, il più realistico sarà di sicuro il primo motivo a meno che stasera non vogliano azzuffarsi sulla spiaggia per chiudere in rissa questioni irrisolte. In Era i Disappears sono più dark e hanno svoltato verso la morte. Se tutto sommato avessero senso come band è una domanda che mi sono sempre fatto, per quel loro modo di copiare e mancare totalmente l’obiettivo (per altro forse neanche mai ambìto) di un briciolo di personalità, che i Disappears dimostrano di avere più adesso di 4 anni fa, e se facciamo matchare questa cosa col fatto che l’ultimo disco è un pippone, l’insieme non è un buon affare. Stooges, Liars, Sonic Youth, Cramps, Bauhaus arrotondati, International Noise Conspiracy annoiati, Interpol addirittura, li ho scomodati tutti ma mai una volta che abbia pensato che un disco dei Disappears è una roba alla Disappears. C’è come un vuoto cosmico dietro tutto questo. Dal vivo però potrebbero sconvolgermi.

E questo era il primo giorno del Beaches Brew. Il SECONDO GIORNO suonano Sunns, Cloud Nothings, Swearing At Motorist, Hallo Venray, Be Forest e Dj Fitz e mi sento di poter dire da casa che quelli che aspetto di più sono Swearing At Motorist per quanto poi io possa essere smentito alla prova dei fatti: l’anno scorso i Cloud Nothings hanno fatto un concerto di tutto rispetto. Swearing At Motorist che in qualche modo, si può dire, hanno a che fare con un passato che li ha definiti più o meno per sempre: con i Grandaddy di Under the Western Freeway e/o i Built To Spill di There’s Nothing Wrong With Love e/o gli Weezer di un qualsiasi album. Tornano tutti gli anni 90 e, nell’ottica di vederli di nuovo attuali, anche grazie a una certa opera (Non ti divertire troppo), è bene che l’Hana-Bi rivolga l’attenzione anche a quel filone, non solo facendo suonare i babbioni che ben rappresentano il periodo senza rappresentare un genere, ma nel contempo riportando a galla (gli Hallo Venray, anche con l’ultimo disco Show, 2014) quella pacatezza e quello scazzo che erano solo una parte di un tutto molto più variegato, mi verrebbe da dire che erano solo due delle nuvole di un cielo molto più grande e con molte più nuvole di 2. E molte di quelle nuvole sono in Non ti divertire troppo. In più, gli Hallo Venray sono olandesi. Insieme ai Teenage Fanclub non sono un’alternativa all’America ma l’ennesima dimostrazione del fatto che l’America ci ha in pugno non tanto dal punto di vista politico, quanto dal punto di vista musicale, e quando vuole, come volle dopo il 1994, molla un seme di cui arriva a raccogliere i frutti fino ai Paesi Bassi e alla Scozia. Per la serata di domani sulla carta si buttano tutti sul basso profilo, tranne i Cloud Nothing che faranno un set sicuramente molto punk con gole in raucedine. I Suuns e i Be Forest potrebbero rappresentare il blocco più soft della serata, gli Hallo Venray e Swearing At Motorist quello per gli anziani, i Cloud Nothing per i giovani che si fanno male. Dj Fitz, come ogni anno, per i turchi di passaggio.

“Mercoledì sera c’è anche uno che fa la musica turca”.

Dj Fitz si ferma lì anche per il TERZO GIORNO, quello dei NEUTRAL MILK HOTEL, dei quali, se volete leggere la storia, leggete qui, se invece volete leggere una cosa un pelo più stimolante leggete qui. Eppure in entrambi gli articoli c’è qualcosa, perché nel primo si parla di Jeff Mangum come bisogna parlarne, cioè legandone le vicende al suo cervello, nel secondo dalla sua musica si parte per trattare tutto quello che il cervello di un ascoltatore può raggiungere grazie a stimoli espliciti o impliciti dati dalla band. Jeff Magnum insieme a J. Mascis, a Evan Dando e probabilmente anche Steve Albini fanno la mucchia dei protagonisti televisivamente incapaci di cavarsela negli anni in cui la televisione aveva il potere di cementificare le menti, cioè negli anni 80 e 90. Chiunque di loro era più incapace di Kurt Cobain di fronte alla TELECAMERA. A Francolini Dischi (Cesena, chiuso da prima della crisi) il merito di avermi illuminato sul suono, proprio sul suono, degli anni 90, al di là dei personaggi, nell’istante in cui stavo per sganciare forse 25000 lire per Without A Sound dei Dinosaur Jr: tanti gruppi provengono dall’America in questo periodo, mi ha detto Francolini, ma hanno tutti un sound diverso, cos’hanno in comune gli Slint e i Dinosaur Jr? Niente, ma io me li ascolto tutti e due. E poi è andato avanti con una cosa come i generi esistono ancora ma non ci distinguono più come esseri viventi, cosa che succedeva negli anni 70, e deve aver detto anche tu non c’eri negli anni 70 ma io si, e in quegli anni tendevi, o almeno io tendevo, a far mio solo un genere, prima il punk poi la new wave, e non c’era altro. Adesso invece tutti questi gruppi sono un sacco di stimoli diversi, io sono cambiato molto, ho addirittura un negozio in cui vendo dischi. Con gli anni 90 il Beaches Brew c’entra un po’ ma c’entra molto con la non-specificità della propria offerta musicale, che è una bellissima cosa.

Damien Jurado è l’ultimo tassello che devo aggiungere a questa pippa che non voleva arrivare alla non-specificità dell’offerta di un festival musicale, che è roba vecchia e di cui non so dire più di quello che ho detto. La musica di Jurado è diversa da tutto quello che viene proposto nei tre giorni del Beaches Brew, lui è più o meno in piedi dal 1995 ed è uguale a quei personaggi come Jeff Magnum. Problematico. Nello specifico con problemi di alcol risolti o no. Oggi a partire da quei personaggi sono qui a tentare di capire qualcosa su me stesso e li amo con un distacco imprevisto ma che si è in effetti concretizzato, leggo le loro storie, mi piacciono e basta, ascolto ancora la loro musica e sono felice; però c’è stato un momento in cui, comunque meno di 20 anni fa, li ho un po’ odiati, perché rappresentavano tutto quello che non mi faceva bene ma che desideravo ricevere dalla musica, l’onestà che si porta appresso il disagio. Jeff Magnum era uno di loro.

Beaches Brew 2014, Hana-bi, Marina di Ravenna, 3-4-5 giugno.

Ciaaao

ps. Mi ero scordato di Miles Cooper Seaton. In pausa dagli Akron Family, stasera (il 5, pps.) eseguirà con una voce, una chitarra processata e forse qualche base, musiche ispirate alla Monument Valley e al Grand Canyon, ai posti alti e ai posti depressi. Se ve la sentite.

Premio ATP Endoven Era day 2 e day 1

Pensavo di scrivere tre articoli sui tre giorni dell’ATP Endoven Era Part 1 poi mi sono ricordato che non mi piacciono gli articoli a episodi e ne ho fatti solo due (uno è già qui). Beccatevi adesso il secondo, il DAY2+DAY1. Non sono in grado di fare i live report, quindi come palliativo ho assegnato dei premi.

I Television all'ATP

I Television (foto: Diego)

DAY2. Premio Ingegneri sul palco. I TelevisionTom Verlaine ha fatto una (abbastanza) lunga carriera solista. Jimmy Rip, della ballotta solo dal 2007, ha suonato coi vivi e coi morti, cioè anche con Mick Jagger e Jerry Lee Lewis. Dal vivo con i Television ha la faccia incazzata. Dei Television, tutti hanno suonato con tutti. Non ho mai detto quanto non mi convincano i turnisti, che pure sono un male necessario perché un musicista per vivere da musicista può percorrere anche quella strada. Non capisco però come un cantante possa non avere un suo batterista, un suo chitarrista, un suo bassista, e pensare che c’è anche chi deve stare in giro a far concerti con Drupi. In fondo non c’è differenza tra il farli con Drupi o Mick Jagger, sei comunque lì per suonare musica alla cui composizione non hai partecipato e non c’è un feeling musicale così forte da indurti a fare un gruppo stabile insieme. Comunque uno che suona solo con dei turnisti è un uomo solo. Ma quanto è solo Ramazzotti?
Il discorso è abbastanza inutile perchè i Television non sono turnisti puri, 
ma turnisti amici o turnisti amici di amici all’occasione, comunque hanno un cuore musicale randagio e il riferimento negativo ai turnisti agganciato alle loro carriere musicali se lo meritavano.
Tornando a bomba, un altro Television d’annata è Fred Smith, anche lui mezzo turnista. Vestito da babbo, sul palco era come se stesse suonando in camera sua, con le cuffie. Poi c’è Billy Ficca, il batterista, il più carico, comunque rigido.
E’ andata che Tom Verlaine ha fatto un giro di telefonate: “Oh, quest’anno all’ATP facciamo Marquee Moon per il suo 36° compleanno. Ti va?”. Le risposte che ha ricevuto sono “O ma che senso ha?”, “Quanto ci danno?” e “C’è della figa?”. Continuo a non capire del tutto i gruppi che allontanano verso l’infinito il momento della propria morte. I Television non si sono mai sciolti definitivamente, ogni tanto parte un giro di telefonate. Già al secondo disco erano più lenti e meno motivati, quindi era ora di fare basta. Ma ne hanno fatto uscire un terzo che non ho mai sentito, e pare addirittura che ne stiano registrando uno nuovo. Si parla di 1977-78 per i primi due, 1993 per il terzo e il nuovo uscirà forse nel secondo decennio del XXI secolo. In mezzo, c’hanno messo qualche live, fatto o pubblicato. Dal vivo non sono male, fanno il compitino, non si divertono, non fanno divertire. Addirittura Tom Verlaine a un certo punto ci ha chiesto se per caso credessimo in Dio. La cosa brutta non è che l’abbia chiesto, ma che NESSUNO gli abbia risposto, non capita mai. Sul palco sembrano quattro ingegneri che non cercano di divertirsi. Live juke box, quindi onesto, ma purtroppo ci toccava di vederli in faccia.

Thurston Moore

Thurston Moore (foto: Diego)

Premio Smorfia. Thurston Moore all’ATP ha suonato quello che suona sempre in due versioni: Porn e Chelsea Light Moving. E’ un signore che muove ancora le anche dietro la chitarra ma in fondo (ora come ora) gli piace così così. Non l’avevo mai visto fare la lingua mentre suona: questa volta l’ho visto fare la lingua mentre suona. Era una delle mie divinità in passato, vederlo in quello stato non è costruttivo, è totalmente distruttivo. Lo fa per sciogliersi, la sensazione è che voglia muoversi per dimostrare di starci dentro, in realtà secondo me non ci sta dentro per niente. La lingua l’ho vista solo con i Chelsea Light Moving però. Mi piacciono i Chelsea Light Moving: non è vero che fanno i Sonic Youth e basta, li fanno con il distacco di un gruppo di persone che sono lì perché sono state scelte da Thurston Moore, che così può continuare a fare oscillare la sei corde, con distorsioni più sature però, segno dell’età e del divorzio. Solo poche volte tornano davvero gli arpeggi alla Sunday o alla qualcosa di Daydream Nation. Non che mi interessi davvero sentirli replicati, mi interesserebbe di più sentire qualcosa di ispirato. L’album si chiama Chelsea Light Moving e invecchia nello stesso momento in cui viene eseguito live. Groovy & Linda è forse esemplificativa di un disco con suoni ottimi ma danneggiato dalla cadenza poco spontanea di Thurston Moore. Lo preferisco negli album solisti, quando non cerca di autoconvincersi che il mondo è bello cantando “be a warrior and love life”.
Neanche fosse dell’Enel.

3 ore dopo hanno suonato i Porn, sull’altro palco. Era come se si lanciassero la palla avvelenata, e chi l’aveva suonava più forte. Thurston Moore con la chitarra faceva quello che aveva fatto 3 ore prima, non cantava e non faceva la lingua: in caso, gli altri Porn lo avrebbero mazzolato. I ritmi Stoner hanno reso questo concerto migliore: qualcosa di nuovo intorno all’ombra di Thurston Moore e qualcosa con cui divertirsi.

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les savy fav non cliccarmi

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har mar superstar cliccami assolutamente

 

 

 

 

 

 

Premio Macchiette. I vincitori sono Les Savy Fav e Har Mar Superstar, che hanno fatto il loro porco spettacolo di panze. La panza di Les Savy Fav è molto provocatoria e volgare, punk rock; quella di Har Mar è più atletica e black. Comunque due concerti eccitanti, più significativo quello di Har Mar Superstar, con la voce della negra che s’infilava a riempire gli angusti spazi vitali ancora disponibili tra il pubblico.

Miglior soundcheck’s mood. Le dinamiche dei Dinosaur Jr che stanno per suonare sono sempre quelle. Luci a giorno. Prima esce Murph, che poi se ne va. Poi esce J. Mascis che fa sempre gli stessi movimenti e negli anni ha dimostrato di avere un guardaroba invidiabile di magliette ma un solo paio di scarpe. Per ultimo esce Lou Barlow, raggiunto da Murph, che dopo un po’ scompare. Lou Barlow è quello che rimane sul palco fino a pochi minuti prima del concerto e di solito rompe la monotonia dei preparativi per qualche motivo serissimo.
Il palco si svuota. Dopo pochi minuti rientrano tutti, e suonano. Le dinamiche dei Dinosaur Jr che suonano sono sempre quelle. J. Mascis si guarda prevalentemente la punta dei piedi, Lou Barlow fa headbanging, Murph guarda dritto davanti a sé. Ogni tanto Lou Barlow e J. Mascis si osservano come per dirsi dai dio bono attacca sto pezzo. Di solito Mascis si concede veramente poco in movimenti extra; preso dall’eccezionale pogo, questa volta era più elettrizzato sui pezzi di Lou Barlow, che gli piacciono un casino.
Il concerto dei Dinosaur Jr più bello che io abbia mai visto, pure con qualche sorpresa in scaletta.

il pogo coi dino all'atp

Premio Più morti sulla moquette dell’ATP. Tutto il trip dei Godspeed You! Black Emperor me lo sono fatto salire dietro all’artista che metteva su i filmini, dietro al mixer. Faceva scorrere 5 pellicole alla volta, sostituendole tutte insieme con altre 5 quando il ciclo di proiezioni si concludeva. Quello proiettato sopra alle teste dei Godspeed era un unico racconto di bibliche dimensioni, chiuso, ripetitivo, sporcato da filtri ottici e sorretto sul palco da un gruppo della madonna e da crescendo strumentali ancora più della madonna. Alla fine di ogni pezzo sembrava conclusa una maratona sudatissima, la StraGodspeed, poi ne cominciava un’altra. Dopo un po’ ho gettato la spugna e sono andato a prendere una boccata d’aria. Il numero di gente morta sulla moquette dell’ATP è cresciuto esponenzialmente in quelle 2 ore di concerto e i cadaveri li hanno tirati via solo l’ultima sera, giusto per non farli decomporre coi Los Planetas. 

godspeedyoublackemperor

Premio Tortoise. I Tortoise mi sono piaciuti come mi piacciono i Tortoise: quando pestano si, quando si mettono a jazzarsi le cervella e a farsi le pippe a vicenda mi distraggo. Distrarsi rispetto a quello che vorresti sentire non è mai positivo.
Alla mattina, al cinema, hanno dato The Breakfast Club, ma mi sono dimenticato di andare.

DAY1. Migliori ballerine. La gente ha seguito il concerto dei Mùm solo perché era la prima sera e c’era della fotta. E per un altro motivo. Ólöf Arnalds e Hildur Ingveldardóttir Guðnadóttir (due donne) non sembravano rendersi conto di essere di fronte a un pubblico gonfio di birra: amano comunque esplorare la natura del movimento e del suono, in ogni occasione, e per questo motivo anche stavolta hanno ballato come due extraterrestri bucoliche in abiti candidi, e ispirato le battute a sfondo sessuale dei maschi più realisti. Coniata l’espressione che due mamùm, sinonima di sti dù maroon5, che esprime noia. Non conosco così a fondo i Mùm per commentarne con serietà il live.

mùm

mùmma (foto: Diego)

Il premio degli aggettivi e dei nomi (più candidati, un solo vincitore). A pensarci bene il primo giorno è stato bello anche perché caratterizzato da set di band di ogni tipo: His Clancyness il velleitario, The Icarus Line il tamarro, Scout Niblett la dittatrice, Magik Markers i drogati. Il tamarro lo squalifico subito dalla gara, e così anche il velleitario. Rimangono in gioco la dittatrice e i drogati. Scout Niblett sul palco era quasi da sola, nel senso che era accompagnata da due toy boy che avrebbe potuto addestrare meglio, frustandoli di più. Il batterista eseguiva meccanicamente, e anche lui è un ingegnere; la funzione del chitarrista sul palco non l’ho capita visto che dava una PENNATA ogni quarto d’ora poi si guardava intorno con occhi sognanti. Musicalmente freddo, il concerto va ricordato soprattutto per la figura della dittatrice, per la sua voce e la sua chitarra. Presenza ruvida, Scout Niblett ha attirato su di sé la mia attenzione. Certe volte ha sorriso. Ha suonato contemporaneamente a Elisa Ambrogio e ai Magik Markers, e il Pontins Holiday Camp a Camber Sands ha potuto ascoltare due sensibilità femminili diverse in uno stesso momento. I Magik Markers (i drogati, ma solo per scherzo) hanno fatto il live che mi aspettavo, sonico e lisergico, e hanno onorato il loro album migliore di sempre (Boss). Elisa Ambrogio era più accomodante di Scout Niblett. I passati musicali da cui attingono ‘ste due passerone possono sovrapporsi perché si sono in parte sviluppati contemporaneamente, ma dalle rispettive scuole Scout ed Elisa hanno imparato diversamente. Scout Niblett ha prosciugato PJ Harvey di tutto il suo calore e l’ha resa, soprattutto dal vivo, fredda come il ghiaccio, mantenendone l’aggressività. PJ dal vivo è la pantera, Scout è la marmotta, adorabile e schiva. Comunque molto buona l’impressione. I Magik Markers hanno preso i Sonic Youth e li hanno spogliati di qualsiasi melodia, prolungando all’infinito il flusso di coscienza delle chitarre, con la batteria e la voce che scompaiono, poi ricompaiono, poi basta. E hanno aggiunto più amore per i pezzi acustici (Bad Dream / Hartford’s Beat Suite). Considerato tutto questo, per motivi di natura puramente personale, Elisa ha stracciato Scout.

magicmarkers

Elisa Ambrogio

Premio la polvere non si posa sempre per far ingrigire davvero. Boss dei Magic Markers era prodotto da Lee Ranaldo. Lee Ranaldo And the Dust hanno chiuso la prima serata dell’ATP, anzi no, dopo hanno suonato i Low. Il 2013 è stato l’anno di tutti i Sonic Youth dopo i Sonic Youth e Lee Ranaldo sta percorrendo la carriera dopo Sonic Youth migliore di tutti i Sonic Youth, insieme a Steve Shelley, che ha capito che lo stronzo era Thurston Moore e il simpatico Lee Ranaldo e si è messo a suonare con Lee Ranaldo. Nel 2013 Thurston Moore ha fatto i Porn e i Chelsea Light Moving di cui sopra; Kim Gordon i Body/Head, ma da parte sua non sento amore, solo un po’ di nostalgia; Lee Ranaldo ha fatto un secondo disco, Last Night On Earth. Il primo (2012) è meglio, ma questo è più distante dalle cose scritte per i Sonic Youth. The Dust completano molto bene Ranaldo, dandogli nuove idee, e in Last Night On Earth si sente non poco. Un urrà per mamma Matador Records: nel 2013 è riuscita ad acchiappare tutti i Sonic Youth che non sono più i Sonic Youth e ha fatto uscire tutti i loro dischi. Tra qualche anno avremo l’album della reunion per Matador, con Thurstone Moore e Kim Gordon che registrano un disco insieme ma non s’incontrano mai. Non c’è niente di male, eh, anche i Flaming Lips l’hanno fatto con Bon Iver.

Premio Ammazza che spalle. I Low hanno fatto il concerto perfetto. La sensazione non era la stessa che si prova ad ascoltare l’ultimo album, The Invisible Way. La sensazione era migliore. Il disco è bellissimo, ma dopo il live è ancora più bello. Mi piace quando succede che esci da un concerto e l’album è improvvisamente diventato più emozionante di prima perché dal vivo c’han saputo fare. I Low hanno suonato in tre, esattamente dove i Godspeed hanno suonato in (boh) otto?, e hanno saturato lo stesso la sala. La batterista (che ha un nome bellissimo: Mimi Parker) riempiva da sola il palco: la più gigantesca batterista del Pontins.

Mimi Parker

Low (foto: Diego)

Per il DAY 3 non stò ad assegnare tutti i premi, dico solo che il concerto migliore l’hanno fatto i Beak>. Avrete letto in giro che era l’ultimo ATP organizzato nella formula concerti+dormire. Peccato. Era la mia prima volta, ma condividevo la stanza con alcuni veterani: è stato bello, ricorderò sempre il sunday roast, il calcetto, il monco ubriaco e il telefilm del tipo stupido con quella zazzera stupenda che alla fine si fa biondo. E i concerti, naturale.

Ciao.

Lee Ranaldo, Steve Shelley and The Dust (Faenza, Teatro Masini)

Lee Ranaldo, Steve Shelly and The Dust

Prendi il sosia di Nick Cave da giovane e del mio amico Okipa e mettilo (qui) a suonare la chitarra con uno stile piuttosto classico; poi prendi il secondo sosia conosciuto al Mondo di Lou Barlow, dagli l’aspetto del Pizzo e di Igi (che sono altri due miei amici) e le dita di Moroccolo. Il primo sarebbe Alan Licht, il secondo Tim Luntzel. Se ci attacchi Lee Ranaldo vengono fuori The Dust. E se ci aggiungi Steve Shelley viene fuori la formazione con cui Lee Ranaldo è in tour ora, e in Italia la settimana che và a concludersi, con Beetween the Times and the Tides e qualcosa del nuovo album previsto per l’inizio del 2014.
Lee Ranaldo dà come la sensazione di aver raggiunto una specie di serenità (cosa che non si può dire per Pere Ubu), sembra aver capito che a una certa età non è necessario fare nient’altro che suonare come uno è capace di suonare, senza aggiungere cose che non vengono e che le si forza a venire fuori. Così, sul palco si diverte, giù dal palco parla e fà foto con tutti, anche quattro scatti alla volta.
Steve Shelley è sempre stato ed è il mio preferito. Senza il suo supporto ritmico i Sonic Youth sarebbero stati grandi la metà. Tutto quello che bisogna dare sul palco, Shelley lo dà, oggi come ieri. E giù dal palco è simpatico come il più verace amico d’infanzia. Ok, forse esagero.
Alan Licht e Tim Luntzel non sapevo chi fossero prima del concerto. Ma alla fine del concerto erano seduti sul divano di velluto del foyer del teatro, ridevano se andavi a salutarli, e sul palco erano il primo dimesso, il secondo in possesso di movenze morbide e rotondeggianti.
Tim Luntzel è l’unico bassista americano con lo stile di Gianni Moroccolo, non perchè i bassisti americani non abbiano stile, ma perchè non hanno le dita di Moroccolo, e il conseguente impasto sulla tastiera.
Alan Licht è un chitarrista molto controllato, con un passato vicinissimo a Sonic Youth e ballotta, anche con una certa musta, che svisa ma lo fa in modo preciso e freddo. Se lo metti di fianco a Ranaldo, che ha fatto diventare quello che fà un marchio facendolo sempre allo stesso modo, il risultato è l’unione di due modi diversi di controllare lo stesso strumento. Un risultato come direbbe mio nonno formidabile.
Al concerto (messo in cartellone da Strade Blu) tutto questo giova molto, soprattutto ai pezzi di Beetween the Times and the Tides e di questi in particolare a Waiting On A Dream e Xtina As I Know Her. Sulle canzoni che finiranno nell’album nuovo, che ha da uscire comunque piuttosto lontano nel tempo (deve passare la torrida estate), sono sembrati tutti più indecisi, e una canzone (di cui non ricordo il titolo, ma Ranaldo l’ha detto) è almeno in alcuni passaggi un pò confusa, perchè tira in ballo una ritmica troppo poco caratterizzata.
Il resto è stato il risultato della bellezza e della sonica classicità dei pezzi (due su tutti: LostFire Island Phases) più la grandezza del personaggio, anzi dei personaggi, e della loro esperienza. Insomma, tutto particolarmente eccitante.
E il teatro è il posto ideale per qualsiasi ascolto alla fine. In certi casi basta sradicare le sedie in platea e via andare. Poi, è costato dieci euro.

Grazie a Giacomo D’Attore per la foto di Pere Ubu.