Lee Ranaldo, Steve Shelley and The Dust (Faenza, Teatro Masini)

Lee Ranaldo, Steve Shelly and The Dust

Prendi il sosia di Nick Cave da giovane e del mio amico Okipa e mettilo (qui) a suonare la chitarra con uno stile piuttosto classico; poi prendi il secondo sosia conosciuto al Mondo di Lou Barlow, dagli l’aspetto del Pizzo e di Igi (che sono altri due miei amici) e le dita di Moroccolo. Il primo sarebbe Alan Licht, il secondo Tim Luntzel. Se ci attacchi Lee Ranaldo vengono fuori The Dust. E se ci aggiungi Steve Shelley viene fuori la formazione con cui Lee Ranaldo è in tour ora, e in Italia la settimana che và a concludersi, con Beetween the Times and the Tides e qualcosa del nuovo album previsto per l’inizio del 2014.
Lee Ranaldo dà come la sensazione di aver raggiunto una specie di serenità (cosa che non si può dire per Pere Ubu), sembra aver capito che a una certa età non è necessario fare nient’altro che suonare come uno è capace di suonare, senza aggiungere cose che non vengono e che le si forza a venire fuori. Così, sul palco si diverte, giù dal palco parla e fà foto con tutti, anche quattro scatti alla volta.
Steve Shelley è sempre stato ed è il mio preferito. Senza il suo supporto ritmico i Sonic Youth sarebbero stati grandi la metà. Tutto quello che bisogna dare sul palco, Shelley lo dà, oggi come ieri. E giù dal palco è simpatico come il più verace amico d’infanzia. Ok, forse esagero.
Alan Licht e Tim Luntzel non sapevo chi fossero prima del concerto. Ma alla fine del concerto erano seduti sul divano di velluto del foyer del teatro, ridevano se andavi a salutarli, e sul palco erano il primo dimesso, il secondo in possesso di movenze morbide e rotondeggianti.
Tim Luntzel è l’unico bassista americano con lo stile di Gianni Moroccolo, non perchè i bassisti americani non abbiano stile, ma perchè non hanno le dita di Moroccolo, e il conseguente impasto sulla tastiera.
Alan Licht è un chitarrista molto controllato, con un passato vicinissimo a Sonic Youth e ballotta, anche con una certa musta, che svisa ma lo fa in modo preciso e freddo. Se lo metti di fianco a Ranaldo, che ha fatto diventare quello che fà un marchio facendolo sempre allo stesso modo, il risultato è l’unione di due modi diversi di controllare lo stesso strumento. Un risultato come direbbe mio nonno formidabile.
Al concerto (messo in cartellone da Strade Blu) tutto questo giova molto, soprattutto ai pezzi di Beetween the Times and the Tides e di questi in particolare a Waiting On A Dream e Xtina As I Know Her. Sulle canzoni che finiranno nell’album nuovo, che ha da uscire comunque piuttosto lontano nel tempo (deve passare la torrida estate), sono sembrati tutti più indecisi, e una canzone (di cui non ricordo il titolo, ma Ranaldo l’ha detto) è almeno in alcuni passaggi un pò confusa, perchè tira in ballo una ritmica troppo poco caratterizzata.
Il resto è stato il risultato della bellezza e della sonica classicità dei pezzi (due su tutti: LostFire Island Phases) più la grandezza del personaggio, anzi dei personaggi, e della loro esperienza. Insomma, tutto particolarmente eccitante.
E il teatro è il posto ideale per qualsiasi ascolto alla fine. In certi casi basta sradicare le sedie in platea e via andare. Poi, è costato dieci euro.

Grazie a Giacomo D’Attore per la foto di Pere Ubu.