Beaches Brew 2014, Hana-Bi

beaches-brew-2014

I Pond sono le chitarre a vortice che fanno all’amore con la colonna sonora per un poliziottesco italiano, noto genere cinematografico per il quale avremmo potuto anche vergognarci e invece ne andiamo ben orgogliosi visto che il trend continua a tirare. I Pond dal vivo non li ho mai visti ma penso che il loro set potrebbe essere quello più capellone di tutti al Beaches Brew. Pond, Pond, Bardo Pond, sono nomi da non confondere. Questi Pond sono una parte dei Tame Impala, per i quali non ho una grande passione perché mi mandano in frittura le palle dopo qualche minuto tanto che l’anno scorso ho deciso di non andare a vederli dal vivo a Ravenna, forse ho sbagliato, forse no, mio fratello dice di si, ma comunque su disco preferisco Speedy Ortiz che mi ricorda molto Sleater Kinney, se non altro perché sono due nomi davanti ai quali spontaneamente mi viene da non mettere l’articolo. Tra l’altro loro hanno fatto anche, prima dell’album, una cassetta che si chiama The Death of Speedy Ortiz uscita per nessuna etichetta nel 2011, e lo trovo molto divertente. Non so se è perché è un po’ che si parla di anni 90 e perché a questo punto il mio cervello è con decisione ri-orientato in quella direzione ma Speedy Ortiz mi sembra in questo momento un bel minestrone di quel decennio, Nirvana, Pavement, Sonic Youth e pure Soundgarden (sono veramente troppo concentrato sugli anni 90). Non sono così originali, ma comunque più originali degli Yuck. Scopro anche che in Speedy Ortiz c’è un chitarrista che si chiama Matt Robiboux che suonava nei Lenny Kravitz. Poi trovo un twit del 4 maggio in cui Sadie Dupuis (la cantanta) spamma che il chitarrista si è preso uno hiatus indefinito perché ora suona nei Pony Bones ascoltando i quali potrei regredire alla più terribile disperazione emo non senza notare che però hanno anche altro da dire. Matt Robiboux non ci sarà, non ci aspettavamo che ci fosse, chi suonerà la chitarra allo stesso modo e al posto suo è Devin McKnight dei Grass is Green.

Take me down to the Paradise

City where the grass is green

and the girls are pretty.

Lee Ranaldo è il mio vecchio preferito, Steve Shelley pure, & The Dust sono la band più incredibile e polleggiata (quindi da non paragonare ai Deerhoof, i più incredibili ma non polleggiati, e neanche a Shannon Wright, incredibile ma tormentata) che ci sia in giro al momento, dopo i Clever Square è chiaro. Del nuovo Lee Ranaldo, per quanto troppo di nuovo non ci sia, preferisco sempre il primo disco (Between the Times and the Tides) al secondo, e il primo disco è quello meno nuovo.

I Grass is Green sono comunque questa cosa incredibile qui.

I Grass is Green non saranno al Beaches Brew 2014, ma ci saranno i Disappears, gruppo della manata post Sonic Youth nonché ex gruppo di Steve Shelley. Ai tempi (2010) Lux mi era piaciuto, era plasmato un po’ sopra ai Sonic Youth lato Thurston Moore con alcune chitarre (Pearly Gates) alla J. Mascis rallentate all’ennesima potenza. Era (2013) lo sfango molto meno perché a volte ha quel cantato alla Cramps senza però essere i Cramps, cioè usando i Cramps fuori dal contesto Cramps, il che mi fa sembrare tutto un po’ fuori luogo. Era perde ritmo rispetto a Lux, del quale ritmo non ha merito Shelley, che li ha raggiunti dopo il secondo disco (Guider) e li ha abbandonati nell’anno di e dopo aver registrato Pre Language (loro terzo) – “touring scheduling conflicts” o “touring conflicts” sono le due motivazioni dello split che si trovano in giro, il più realistico sarà di sicuro il primo motivo a meno che stasera non vogliano azzuffarsi sulla spiaggia per chiudere in rissa questioni irrisolte. In Era i Disappears sono più dark e hanno svoltato verso la morte. Se tutto sommato avessero senso come band è una domanda che mi sono sempre fatto, per quel loro modo di copiare e mancare totalmente l’obiettivo (per altro forse neanche mai ambìto) di un briciolo di personalità, che i Disappears dimostrano di avere più adesso di 4 anni fa, e se facciamo matchare questa cosa col fatto che l’ultimo disco è un pippone, l’insieme non è un buon affare. Stooges, Liars, Sonic Youth, Cramps, Bauhaus arrotondati, International Noise Conspiracy annoiati, Interpol addirittura, li ho scomodati tutti ma mai una volta che abbia pensato che un disco dei Disappears è una roba alla Disappears. C’è come un vuoto cosmico dietro tutto questo. Dal vivo però potrebbero sconvolgermi.

E questo era il primo giorno del Beaches Brew. Il SECONDO GIORNO suonano Sunns, Cloud Nothings, Swearing At Motorist, Hallo Venray, Be Forest e Dj Fitz e mi sento di poter dire da casa che quelli che aspetto di più sono Swearing At Motorist per quanto poi io possa essere smentito alla prova dei fatti: l’anno scorso i Cloud Nothings hanno fatto un concerto di tutto rispetto. Swearing At Motorist che in qualche modo, si può dire, hanno a che fare con un passato che li ha definiti più o meno per sempre: con i Grandaddy di Under the Western Freeway e/o i Built To Spill di There’s Nothing Wrong With Love e/o gli Weezer di un qualsiasi album. Tornano tutti gli anni 90 e, nell’ottica di vederli di nuovo attuali, anche grazie a una certa opera (Non ti divertire troppo), è bene che l’Hana-Bi rivolga l’attenzione anche a quel filone, non solo facendo suonare i babbioni che ben rappresentano il periodo senza rappresentare un genere, ma nel contempo riportando a galla (gli Hallo Venray, anche con l’ultimo disco Show, 2014) quella pacatezza e quello scazzo che erano solo una parte di un tutto molto più variegato, mi verrebbe da dire che erano solo due delle nuvole di un cielo molto più grande e con molte più nuvole di 2. E molte di quelle nuvole sono in Non ti divertire troppo. In più, gli Hallo Venray sono olandesi. Insieme ai Teenage Fanclub non sono un’alternativa all’America ma l’ennesima dimostrazione del fatto che l’America ci ha in pugno non tanto dal punto di vista politico, quanto dal punto di vista musicale, e quando vuole, come volle dopo il 1994, molla un seme di cui arriva a raccogliere i frutti fino ai Paesi Bassi e alla Scozia. Per la serata di domani sulla carta si buttano tutti sul basso profilo, tranne i Cloud Nothing che faranno un set sicuramente molto punk con gole in raucedine. I Suuns e i Be Forest potrebbero rappresentare il blocco più soft della serata, gli Hallo Venray e Swearing At Motorist quello per gli anziani, i Cloud Nothing per i giovani che si fanno male. Dj Fitz, come ogni anno, per i turchi di passaggio.

“Mercoledì sera c’è anche uno che fa la musica turca”.

Dj Fitz si ferma lì anche per il TERZO GIORNO, quello dei NEUTRAL MILK HOTEL, dei quali, se volete leggere la storia, leggete qui, se invece volete leggere una cosa un pelo più stimolante leggete qui. Eppure in entrambi gli articoli c’è qualcosa, perché nel primo si parla di Jeff Mangum come bisogna parlarne, cioè legandone le vicende al suo cervello, nel secondo dalla sua musica si parte per trattare tutto quello che il cervello di un ascoltatore può raggiungere grazie a stimoli espliciti o impliciti dati dalla band. Jeff Magnum insieme a J. Mascis, a Evan Dando e probabilmente anche Steve Albini fanno la mucchia dei protagonisti televisivamente incapaci di cavarsela negli anni in cui la televisione aveva il potere di cementificare le menti, cioè negli anni 80 e 90. Chiunque di loro era più incapace di Kurt Cobain di fronte alla TELECAMERA. A Francolini Dischi (Cesena, chiuso da prima della crisi) il merito di avermi illuminato sul suono, proprio sul suono, degli anni 90, al di là dei personaggi, nell’istante in cui stavo per sganciare forse 25000 lire per Without A Sound dei Dinosaur Jr: tanti gruppi provengono dall’America in questo periodo, mi ha detto Francolini, ma hanno tutti un sound diverso, cos’hanno in comune gli Slint e i Dinosaur Jr? Niente, ma io me li ascolto tutti e due. E poi è andato avanti con una cosa come i generi esistono ancora ma non ci distinguono più come esseri viventi, cosa che succedeva negli anni 70, e deve aver detto anche tu non c’eri negli anni 70 ma io si, e in quegli anni tendevi, o almeno io tendevo, a far mio solo un genere, prima il punk poi la new wave, e non c’era altro. Adesso invece tutti questi gruppi sono un sacco di stimoli diversi, io sono cambiato molto, ho addirittura un negozio in cui vendo dischi. Con gli anni 90 il Beaches Brew c’entra un po’ ma c’entra molto con la non-specificità della propria offerta musicale, che è una bellissima cosa.

Damien Jurado è l’ultimo tassello che devo aggiungere a questa pippa che non voleva arrivare alla non-specificità dell’offerta di un festival musicale, che è roba vecchia e di cui non so dire più di quello che ho detto. La musica di Jurado è diversa da tutto quello che viene proposto nei tre giorni del Beaches Brew, lui è più o meno in piedi dal 1995 ed è uguale a quei personaggi come Jeff Magnum. Problematico. Nello specifico con problemi di alcol risolti o no. Oggi a partire da quei personaggi sono qui a tentare di capire qualcosa su me stesso e li amo con un distacco imprevisto ma che si è in effetti concretizzato, leggo le loro storie, mi piacciono e basta, ascolto ancora la loro musica e sono felice; però c’è stato un momento in cui, comunque meno di 20 anni fa, li ho un po’ odiati, perché rappresentavano tutto quello che non mi faceva bene ma che desideravo ricevere dalla musica, l’onestà che si porta appresso il disagio. Jeff Magnum era uno di loro.

Beaches Brew 2014, Hana-bi, Marina di Ravenna, 3-4-5 giugno.

Ciaaao

ps. Mi ero scordato di Miles Cooper Seaton. In pausa dagli Akron Family, stasera (il 5, pps.) eseguirà con una voce, una chitarra processata e forse qualche base, musiche ispirate alla Monument Valley e al Grand Canyon, ai posti alti e ai posti depressi. Se ve la sentite.

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