Settimana: Fine Before You Came, Paola e Chiara, libri a 0.99, Zulu e Balo

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Garantito al limone che ho in bozza un pezzo che spacca. Questa settimana però ne sono successe delle belle e non posso fare finta di niente. Paola e Chiara hanno annunciato il loro immenente ritiro dalle scene; i 99 Posse tutti insieme, o non ho capito se solo Zulu, sono stati menati prima di fare un concerto che poi non hanno fatto; è girata una foto dei Daft Punk nudi; è uscito il disco nuovo dei Fine Before You Came, che si chiama Come fare a non tornare (free download qui) ma che dice “Non sappiamo come fare a non tornare” e quindi il titolo induce un pò in inganno, in modo splendido perchè è come se ti dovessero dare la soluzione per qualcosa e invece non te la danno, ed è una cosa davvero poetica e in linea con quello che cerco nella musica, sempre che io sappia cosa cercare nella musica; sono usciti i nuovi Newton Compton a 0,99 centesimi; Balotelli si è preso un cartellino rosso.
Non credo sia la notizia più interessante della settimana ma il fatto che Paola e Chiara Iezzi abbiano preso una decisione simile cambia l’equilibrio meneghino. Una volta un mio amico che vive da tempo a Milano, e già quando mi fece questa confessione ci viveva da tempo, forse ancor prima di Paola e Chiara, mi disse che era stato a una festa in casa di Paola o Chiara. Lui non è che frequenta certi ambienti, c’era capitato. Mi ha detto che Paola e Chiara alle loro feste mettono sempre su le loro canzoni, solo quelle. Non si potrà fare a meno di simili idee geniali. Qui sta il punto, non altrove. Leggendo il testamento spirituale su facebook si capisce che Chiara (la bionda) è un’attenta sociologa e che conosce il mondo della musica. E infatti è certamente la responsabile del titolo dell’album nuovo, che si chiama Giungla (in streaming su Spotify qui, gran copertina). Comunque ha ragione a dire che si è stancata di mendicare attenzione. Paola, che tra l’altro è più lungimirante e intraprendente e ha per questo posato più spesso in abiti succinti, inizierà una carriera da solista e farà sicuramente successo.

In versione Sasha Grey, altra grande artista

In versione Sasha Grey, altra grande artista

Ora, sò che non si può mischiare la merda con il cioccolato, ma in questo post mi è venuto di parlare anche del nuovo album dei Fine Before You Came (che sono il cioccolato, sia chiaro). Però è sempre bene non spingersi oltre certi limiti, non me la sento, e di Come fare a non tornare ne parlo da un’altra parte (faccio tutto solo per una pagina visitata in più).
Zulu l’hanno preso i fascisti e l’han menato facendolo sanguinare, in un atto che può solo suscitare una reazione: cercare i responsabili, trovarli (tanto hanno il cervello di una zanzara) ed essicargli le palle insieme alle pesche. Anche se non sentivo parlare dei 99 Posse da un lustro. E con questo non voglio dire che hanno organizzato tutto per fare parlare di sè come Berlusconi quando gli hanno tirato il Duomo in faccia, voglio solo dire che non ne sentivo parlare da un pò. L’atto è da condannare con convinzione, come direbbe un qualsiasi Presidente di qualcosa. Rispetto per Zulu che son decenni che porta avanti la causa.
I Daft Punk non erano nudi ma spogli dei soli caschi. La foto è stata postata su facebook da The Knocks, una band che fa della dance music. Giustamente si sono incazzati tutti con i The Knocks che però hanno detto che non sono stati loro a condividere lo scatto ma il Fantasma Formaggino. I più duri hanno commentato che a loro non gliene frega un cazzo perchè tanto si sa benissimo che faccia hanno i Daft Punk, cosa per altro vera, lo sapevo anch’io che sono la cosa più lontana da un fan dei Daft Punk, anche se con questo ultimo disco Random Access Memories hanno talmente spinto che tra poco mi straccio anch’io le vesti, in due tempi, quando parte Get Lucky e quando Moroder dice “My name is Giovanni Giorgio but everybody calls me Giorgio”. Uno degli album migliori del 2013, comunque. In modo freddo e asettico ecco la foto incriminata.
I nuovi Newton Compton a 0,99 centesimi sono la seconda tornata di un’idea bellissima, concretizzatasi tra l’altro in edizioni che sono molto meglio dei tascabili Mondadori, se non altro le frasi e le lettere stampate non si smaterializzano o non devi leggere delle righe a spirale rotolando su se stesso il collo. Sono, tra gli altri: Uno, nessuno, centomilaSherlock Holmes. Uno Studio in Rosso; Aforismi di Wilde; Una stanza tutta per sè; La MetamorfosiDr. Jekyll e Mr. HydeCuore di caneLa casa stregata di Lovecraft.
Passiamo adesso allo sport.
Calcio. Balotelli si è fatto espellere anche ieri sera. Una cosa deve fare, goal, non l’ha fatto, ma sono convinto che in Confederations Cup spaccherà (se potrà giocare). E del resto cosa ce ne faremo di un Balotelli sereno e tranquillo, sarebbe molto triste se lo vedessimo addomesticato, sarebbe come replicare la tristezza del passaggio dal Papa cattivo a quello buono: prima tutti contenti, poi tutti annoiati.

Fine Before You Came, Come fare a non tornare (La Tempesta, Legno)

Fine before you came, Come fare a non tornare (La Tempesta, 2013)

In un ascolto a rovescio degli ultimi tre dischi dei Fine Before You Came uno dopo l’altro (nell’ordine Come fare a non tornare, Ormai, Sfortuna) mi sono reso conto che gli ultimi Fine Before You Came mi piacciono di più dei Fine Before You Came di mezzo (prima di Sfortuna c’è altra roba che non ho incluso perchè non ho ancora capito se mi piacciono più gli ultimi o i primi).
Un ritorno che non aspetti è sempre molto gradito, e i Fine Before You Came son tornati all’improvviso e all’insaputa, almeno mia. Le pestate di Come fare a non tornare (La Tempesta dischi e Legno, download libero qui, c’è anche il file con i testi), al decimo ascolto dalle 10 di ieri sera, non sono un vero e proprio ritorno, almeno non fino in fondo, sembrano più tranquille, più pacate, ma dense di un’inquietudine (la stessa del disco prima, e questo si che è un ritorno) che molti la vedono col binocolo. E allora Come fare a non tornare me lo ascolto a ripetizione, e i motivi sono diversi.

“Ci sono un paio di cose che proprio non tornano/Nonostante questo non cambieremo mai” (Alcune certezze)

“Niente di tutto questo mi piace davvero/Ma so che la mia fortuna è averlo” (Dura)

Bastano queste due citazioni per smontare la tesi di chi afferma che la musica italiana di un certo tipo è ferma, immobile, fa schifo, si ripete, è troppo ossequiosa nei confronti del passato cui esplicitamente fa riferimento. Anche se queste righe e queste note fossero immobili, da sole basterebbero a fare esplodere in chi le ascolta la tigna della tigre. Facendo una specie di parafrasi non richiesta dei pezzi di testo riportati sopra: le cose non tornano, quindi cambiano, ma noi non cambieremo mai; tutto questo non è bello, ma è la mia fortuna, quindi è bello e mi devo autoconvincere che lo sia, oppure scappo. Ci sono cose così profonde che devono essere espresse per forza spiazzando, deviando chi ascolta, facendogli pensare che la conclusione sia diversa da quella che poi sarà davvero ma dandogli allo stesso tempo parole sincere.
Sempre a proposito delle parole, che alle fine dei conti sono importanti, almeno tanto quanto gli abbracci: il titolo. L’ho già scritto un’altra volta, ma questa cosa mi piace così tanto che la ripeto. Come fare a non tornare è ingannevole, perchè ti induce a pensare che dentro al disco ci sarà una soluzione, poi però dentro si dice “Noi non sappiamo come fare a non tornare” (Discutibile). La soluzione non c’è perchè non ci deve essere, l’importante è smuovere le acque.
Credo che un’attenzione così precisa ai testi (poi magari i Fine Before You Came i testi li scrivono senza neanche pensarci troppo, non lo so) dia alla musica un forza che la mette nel culo a quelli che cercano di sminuirla.
La batteria di questo album va dritto senza troppe menate ed è una specie di simbolo (passatemela) di tutto il resto. Quando mi accorgo che le chitarre sono così circolari da isolarti e darti la spinta, sono già isolato e mi hanno già dato la spinta, e sono dentro al disco. Trovo insuperabile il modo che Bastonate ha scovato per dire cosa sono questi 5 pezzi nuovi, con una cam che riprende l’autore della recensione che fatica ma gode ad andare contro vento in bici, con Come fare a non tornare nelle orecchie. E se provate ad ascoltare Una provocazione guardando il video funziona.
Dai che l’assolo all’inizio di Dura da ora in poi non ce lo leva più nessuno dalle orecchie. Ripetitivo, obscuro, di fatto realmente paralizzante. E se dopo Dura fate partire Dublino (album Ormai – iTunes và dritto già senza bisogno che gli diciate niente) capite che, se in tutti questi anni abbiamo detto tante cose e ne abbiam fatte così poche, però in qualche modo almeno i Fine Before You Came sono cambiati, a partire dalle chitarre che là cazzo erano molto più taglienti e qui non lo sono più. Altro valido motivo per ascoltare a ripetizione Come fare a non tornare: la consapevolezza.
Perchè comunque ad ascoltare certe cose si migliora e ci si sente meglio e allora non c’è motivo per cui smettere di ascoltarle.

La critica compiacente e le cripto-cover

La critica accondiscendente e le cripto cover

Ho appena letto una recensione, che ne richiamava un’altra, ed entrambe parlavano male di un disco, RAUDO, che (sapete) mi piace molto. Sono due scritti di tenore differente: la recensione su Ondarock.it (e non Rockit.it) contesta principalmente il disco, principalmente ma non solo; quella su Frittomisto12 contesta tutta una serie di cose: oltre al disco, chi lo apprezza, l’etichetta che l’ha fatto uscire, una delle persone che suonano nei Gazebo Penguins e precisamente il bassista, e altre cose, tra cui la critica cosiddetta accondiscendente.
Ora, inizio dalla recensione che critica il disco. RAUDO può certamente piacere o non piacere, i Gazebo Penguins possono piacerti oppure farti schifo, ma rimane comunque necessario criticare con cognizione di causa. Suonare bene non significa esibirsi in tecnicismi ma strutturare bene il pezzo, avere buon gusto, non essere dei cinghioni. Al di là del fatto che abbiamo imparato da decenni che saper suonare uno strumento non significa per forza essere Jaco Pastorious, Braido o Vinnie Colaiuta ma mettere insieme tutta una serie di fattori, la prima critica che viene fatta (la tecnica) è il risultato di un ascolto superficiale dell’album in questione. Non solo di quello in questione, anche di quelli precedenti, come The Name Is Not The Named, che ha soluzioni tecniche molto interessanti. Il trito e ritrito ritorna ciclicamente, ma non sempre così ben costruito e ben fatto, con una cura dei suoni a questo livello, con una cura così appassionata degli arrangiamenti. Prova a suonare la batteria come la suona Peter e dimmi il risultato (cito Peter perchè una volta volevo essere un batterista ed è quello che mi salta più facilmente all’orecchio). E quando dico prova a suonare come Peter intendo dire con la sua botta, la sua precisione e la sua velocità.
La musica è tutta una roba complessa fatta di un sacco di cose tra cui (vado random) passione, tecnica, ricordi, speranze. Troppo complessa per alcuni.
Si parla anche di liriche immobili. Per capire quanto questo giudizio sia privo di ragion veduta, mi permetto di rimandare a un altro articolo di Neuroni in cui ho scritto di alcuni passaggi dei testi dei Gazebo Penguins, utili a capire il livello. L’articolo è questo (e qui non si parla di tutti i testi ma bisognerebbe).
Le chitarre ferme agli anni ’90 sono il tocco da maestro. L’emo-core è tornato, nessuno lo nega, ma con i Gazebo Penguins e i Fine Before You Came sono tornate soprattutto due cose dell’emo-core: l’entusiasmo, i concerti in cui ci si diverte e la musica vicina alla gente che l’ascolta. Questo è il punto.
Veniamo alla seconda recensione, e veniamo quindi anche a noi. La critica basata sul piace a troppi è vecchia tanto quanto la critica stessa e qui viene riproposta. Sempre difficile è giudicare la spontaneità o la non spontaneità di qualcuno quando non lo si conosce, e sempre imbarazzante definire “violenta” una risposta solo perchè contiene due parolacce. Questo modo di intendere le cose ricorda qualcuno. In più, parlare di volontà di delegittimare la critica mi sembra eccessivo. La critica è molto più facile della pratica, si sa, ma, soprattutto oggi, con l’internet così evoluto, è il minimo che si possa venire a creare il dibattito. Non piace sempre l’idea, ma è bello. Tornare a quando internet era libro digitale non mi sembra il caso. Chi si rompe il cazzo delle “cripto-cover” dice “mi sono rotto il cazzo delle cripto-cover”, chi non è d’accordo risponde. Punto.
In Italia siamo andati avanti eccome, e questo è successo anche grazie a etichette come To Lose La Track e altre, e grazie a gruppi come Gazebo Penguins e altri che hanno mosso acque un poco stagnanti. Se non si capisce questo, allora chiudiamola qui. Da quel che mi è sembrato di comprendere dalla recensione di Frittomisto12, l’Italia è divisa in due parti, una di serie A e l’altra di serie B, una che fa ricerca e l’altra che sceglie la via facile. Non credo sia una divisione opportuna, per tre motivi:

1. è offensivo, di fronte a gente che si sbatte molto per creare qualcosa che è cultura, definirlo di serie B;
2. la qualità non sta solo nella ricerca. Assodato.
3. etichette come To Lose La Track lavorano per unire e lavorano con gruppi di tipologie molte diverse, anche con l’elettronica (così, perchè non tutti sembrano saperlo), e lavorano per cercare di fare capire che bisogna aiutarsi e non farsi la guerra. Se c’è una possibilità di emergere, è quella che viene dal promuoversi a vicenda, e Dio mi fulmini se non è vero che To Lose La Track e molti suoi gruppi lo fanno, e soprattutto: non lo fanno solo tra di loro.

Credo che ciò per cui si lavori è trovare un posto in cui stare, non tutti, chi vuole, un terreno comune, non per ristringere il campo il più possibile perchè un certo tipo di musica è superiore a un’altra, o perchè per essere bravi bisogna essere incompresi o piacere poco. C’è un’idea dietro, o almeno così è come la vedo io: lavorare per qualcosa che abbia un valore per le persone. Vedere che la cerchia si allarga è, semplicemente, bello, non perchè si guadagnano più soldi, ma perchè quello che si è cercato di costruire sta riuscendo, e cresce. Non è questione di commerciale o sperimentale, è questione di saper fare le cose, e di farle con passione.

La critica non è compiacente. La critica (definiamola così per comodità) valuta positivamente. Io ho scritto già un pò di articoli (positivi) sui gruppi contestati dai moralizzatori, e sono andato a diversi concerti, che mi sono piaciuti. Nessuno mi ha pagato, nessuno mi ha chiesto di scrivere bene o male di una cosa, nessuno mi ha fatto annusare qualcosa di afrodisiaco o dato una botta in testa. L’ho fatto perchè mi piace, l’ho fatto perchè volevo, non ho compiaciuto nessuno e non ci sono accordi in base ai quali se lo faccio qualcuno mi dà qualcosa in cambio. Ai concerti, la gente si diverte e decide di spendere il proprio tempo e qualche euro per comprare i dischi o entrare nei posti. Non compiace, non viene pagata e non lecca dei culi.