IL CRANIO IN DUE PARTI #3: GIRLESS & THE ORPHAN

 

Girless-and-the Orphan-Nice-Guy

Rosario Fontanella

Il disegno di Rosario* nella tavola successiva potrebbe anche decidere di tagliarsi il cranio in due parti, lobi frontale e parietale di qua, occipitale e temporale di là, e dopo aver capito che contengono cose differenti, opposte, tenerle separate, perché così funzionano meglio. I Girless & The Orphan hanno pubblicato da poco il nuovo disco, che è diviso in due parti, e ho pensato che forse è stato un po’ come aprirsi la testa e guardarci dentro per capire cosa appartiene al passato e cosa un po’ più al presente. La prima parte la suonano al Prime Open Air 4, la seconda deve ancora uscire.

Io ho già scritto cosa penso del vostro nuovo disco, The Circle And the Barrel Part 1. Quindi adesso ne parli tu, e come editore illuminato ti lascio tutta la libertà di dire tutto quello che vuoi.
Tu hai scritto e ci è piaciuto quello che hai scritto. Non so cosa potrei aggiungere. So che questo disco è abbastanza diverso da quello precedente (quello col titolo mega lungo che chissà come mi è venuto in mente) anche se ad un ascolto esterno potrebbe non sembrare. È abbastanza diverso negli intenti e nel modo. Abbiamo deciso di fare tutto con molta più urgenza e meno arrangiamenti. È tutto molto più istintivo. Non credi? Forse non si nota. Però è stato così. Probabilmente col vecchio disco volevamo finalmente fare le cose seriamente, non ci siamo riusciti, o per lo meno non ci è piaciuto il risultato. Se ti prendi troppo seriamente è lì che cominci a pisciare fuori dal vaso. Quindi registrazioni veloci, testi semplici, arrangiamenti scarni. Volevamo fare quel disco che ci sarebbe piaciuto ascoltare quando avevamo 16 anni. La seconda parte lo sarà ancora di più.

Non avevo notato che è più istintivo, anche del primo disco mi piace la spontaneità (quindi non ho capito niente) e la tensione che si crea ad ascoltare le canzoni. E credo che in qualche modo la tensione, cioè l’impellenza che i pezzi hanno di farsi sentire, il modo in cui corrono dall’inizio alla fine, sia una specie di spontaneità, quasi il risultato di uno scrivere di getto. E questo, appunto, secondo me vale sia per il primo che per il secondo disco. The Circle And the Barrel Part 1 ha almeno una cosa in più: le canzoni sono tutte più belle, da un tuo punto di vista è il risultato di una pulizia fatta sugli arrangiamenti, per me è il risultato del fatto che c’è qualcosa in più, che in Ntbwaeeby non c’era: i pezzi hanno una forza maggiore. Forse però stiamo dicendo la stessa cosa… Che ne pensi?
Innanzitutto grazie. E si, anche secondo me le canzoni nuove son migliori. Però vorrei spiegarmi meglio, che nella risposta prima sembra che non voglia rendergli giustizia: Ntwaeeby a me piace, è un buon disco e ha due-tre pezzi che secondo me sono tra i migliori che abbiamo mai scritto. Ed è chiaro che la spontaneità si senta. Si deve sentire, perchè in effetti anche quelle erano canzoni che avevano un messaggio urgente. Penso a Mein Vatikampf, per dirne una. Però l’approccio per l’ultimo disco è stato diverso: ricordo che per Ntwaeeby passavamo pomeriggi interi a pensare a cosa mettere lì, cosa mettere là, come arrangiare, che ritmo inserire, ecc ecc. C’erano molti strumenti, suoni troppo diversi da amalgamare. Alla fine ti fai prendere la mano e rischi di fare un gran casotto. Invece per questo disco è stato tutto più rapido, abbiamo volutamente evitato l’abbondanza. Siamo entrati in studio tutti consapevoli di cosa volevamo e quasi sempre quando qualcuno proponeva un’idea era buona alla prima. Quindi forse, si, anche per tutto questo, le canzoni sono più belle. Almeno per noi. La spontaneità è più negli intenti forse, per questo tu non hai notato una differenza sostanziale da ascoltatore. Ma ti ringrazio perchè sei un bellissimo ascoltatore.

La seconda parte del disco non è ancora finita e la prima è già uscita. Interviene in questo caso necessariamente una riflessione sul tempo. Quanto della Part 2 è stato pensato mentre stavate facendo la Part 1 e quanto invece non c’entra niente? Completandolo in un arco di tempo più lungo, fare un disco e dividerlo in due uscite ti dà una prospettiva più ampia sulla musica che ci metterai dentro (soprattutto sulla seconda parte che è privilegiata perché ha più tempo per crescere e cambiare)? Mmm… Il mio discorso ha un senso oppure no?
Il tuo discorso ha un senso. Purtroppo in realtà nel nostro caso è andata un po’ diversamente. In realtà entrambi i dischi, seppur in fase embrionale, erano già pronti in inverno. Addirittura, reggiti forte, il primo dei due che avevamo inizialmente pensato di fare uscire era quello che adesso è diventato la seconda parte. Non ricordo perchè, penso abbia deciso qualcuno della Stop. Inoltre le due parti sono nettamente diverse, ed è anche per questo che abbiamo deciso di dividerle. Di sicuro ti dà un’idea su quello che devi o non devi fare per promuoverlo. Per questo disco la pubblicità è ridotta all’osso, persino noi non lo abbiamo fatto girare più di tanto. Ci piace questa cosa, è una libertà che non tutti possono permettersi. La sovraesposizione è un cancro e noi ci teniamo alla salute.

Vorrei che mi dicessi qualcosa sui suoni del nuovo disco, che rispetto al precedente sono stati registrati e prodotti molto meglio. Avete fatto tutto allo Stop Studio di Rimini, com’è andata?
Tutto lì, come sempre. È andata come sempre benone, lì è come stare in famiglia, le registrazioni sono dilatatissime nel tempo, si fa tutto con calma, si ragiona sempre tutti insieme ed è forse il modo migliore per creare una canzone. Poi sì, sono migliorati tantissimo i suoni perchè siamo tutti, incredibilmente, migliorati. I ragazzi sono ottimi sia dal punto di vista della registrazione e della produzione, che poi son le due cose che un po’ mi mancano, che proprio non ci capisco una fava. E poi è l’unico studio che ci permette di pagare in mega ritardo, quindi per noi è ottimo.

Facebook potrebbe essere un buon modo per spammare musica. Che tipo di rapporto avete con i social network? Facebook lo usate relativamente poco perché non vi viene di farlo o per scelta?Come ho già detto prima, odio la sovraesposizione. Odierei la mia band se la vedessi sulla home di facebook tutto il giorno. Una volta di sicuro lo usavamo di più, poi col tempo abbiamo capito alcune cose. Credo faccia parte del percorso di una band il capire come usare al meglio i mezzi di informazione. Non fraintendermi, io vado su facebook giornalmente e molti canali della band passano tramite esso. Ma non mi interessa di far sapere alla gente qualcosa riguardo alla mia band più volte al giorno. È un po’ come cominciare a spammare ogni giorno il tuo prossimo disco che esce fra 5 mesi. A qualcuno potrà interessare, ma è davvero così che vuoi che la tua band venga conosciuta? Per sfinimento? Hai presente quelli che dicono “eh ma è solo un modo affinchè la mia musica arrivi a più gente possibile” quando devono giustificarsi per aver venduto il culo? Cazzate. La gente che hai è quella che ti meriti. Potrà aumentare progressivamente, ma i fan che hai comportandoti coerentemente sono quelli che ti meriti. Il resto è fuffa. Se apri per Ligabue certi discorsi poi non li puoi più fare. Se paghi un ufficio stampa per avere 30 recensioni in più idem. Se sponsorizzi la tua pagina in un giorno avrai 100 like in più. E allora? A sto punto paga direttamente per gonfiare i dati di vendite e scala le classifiche. C’è chi lo fa.

* l’illustrazione è ispirata a A Nice Guy, che è proprio dentro The Circle And the Barrel Part 1.

(Tommy grazie)

UNO A CRANIO #1: URALI

URALI_COLORE

Fabrizio Baldoni

Venerdi c’è il Prime Open Air 4. Abbiamo chiesto a 5 amici che sapevamo essere in grado di farlo bene di illustrare i 5 gruppi che suonano, uno a cranio. Poi ho fatto delle interviste che se non fosse per le risposte sarebbero come calarsi del ghiaccio sul collo a gennaio. Questo è URALI e il disegno è di Fabrizio Baldoni.

Adesso c’è ancora un nuovo cantautorato italiano, che è un po’ un flusso continuo, sono anni che c’è il nuovo cantautorato italiano. Il tuo disco è tutt’altro ma basta un passo piccolo così perché ti ci trovi infilato dentro, anche non volendo: ti basta cantare italiano. Non credo che la lingua italiana sia indispensabile nelle canzoni italiane. Hai mai pensato di fare un disco in italiano? Credi che possa essere un’evoluzione o cambia poco?
Onestamente no e non credo succederà almeno sotto il moniker Urali.
A questo punto e in questo momento storico passare all’italiano sarebbe solo una ruffianata per rimediare più pubblico, preferisco fare solo ed esclusivamente come pare a me.
Sono dunque d’accordo con te: non è indispensabile l’italiano nelle canzoni italiane, dipende tutto dalla propria confidenza con le lingue e attraverso quale si esprimono meglio i concetti.
Non disprezzo a prescindere chi canta in italiano ovviamente, solo non mi ci rimedio a scrivere cose che mi soddisfino.

Sei nei Cosmetic e lavori anche con i Girless&TheOrphan. Ma come Urali sei solo. Quali sono le prime differenze che ti vengono in mente tra suonare solista o in un gruppo e le cose per cui ti piace fare musica nel primo o nel secondo modo?
Per prima cosa mi pesa troppo la solitudine dei viaggi in macchina quando si va a suonare in giro, magari lontano.
Alla fine la parte più bella del tour è stare in furgoncino tutti insieme.
Quindi ecco odio viaggiare da solo, amo farlo con la band, in compagnia.
Dal punto di vista compositivo invece, come solista, la totale libertà decisionale sulla scrittura, arrangiamenti e registrazione dei pezzi all’inizio mi spaventava, ora inizio a godermela.
In fondo stare in una band è una continua ricerca del compromesso perfetto limando il tuo ego per non farlo cozzare con quello degli altri.
Con Urali ho dovuto raggiungere e impormi livelli di severità altissimi, passando momenti di incertezza totale sulle mie capacità apparentemente irrisolvibili, non avendo nessuno che potesse impormi altre idee o tanto meno consigliarmi. Autogestione e poca auto-indulgenza uniche vie.
Quindi questa “sfida” nel suonare da soli diciamo è affascinante, ma la puzza di quattro amici che suonano in un garage è comunque una delle cose migliori al mondo, ecco.

Il suono della tua chitarra mi ricorda gli Weezer, Graham Coxon, i Kyuss, dal vivo e su disco. Mark Kozelek è un essere strano. In Mistress (di cui fai la cover) vi incontrate perfettamente, per il suono che date alla canzone e per la gioia di vivere. Cos’altro avete in comune? C’è un motivo particolare per cui hai scelto di rifare quella canzone?
A ridosso della chiusura del disco uscito a gennaio ho ascoltato tantissimo sia i Red House Painters sia i Sun Kil Moon e mi hanno entrambi influenzato tantissimo. Credevo che la versione che avevo in testa e che poi ho registrato funzionasse bene assieme alle altre mie canzoni così l’ho buttata dentro senza pensarci troppo. Poi come dici tu Kozelek è un essere strano.
Un artista vero, forse l’essere umano che ho più studiato dal punto di vista artistico cercando di portargli via qualche segreto: impossibile. Ha una classe impareggiabile, ha veramente trovato un corrispettivo musicale allo spleen, alla presamale. Quindi in comune forse non abbiamo niente, lui è un genio, io no!

A Rimini c’è un posto che si chiama Stop Studio, di cui sei il 50%. Parlamene un po’.
Stop Studio è una stanza di qualche metro quadro costruita dal mio socio Andrea dentro ad un garage ed era il nostro punto di lancio per conquistare il mondo. Ci divertiamo a registrare le band in particolare i ragazzini da svezzare musicalmente e i nostri amici coi quali ci divertiamo sempre un sacco. È una specie di lavoro per il tempo che ti occupa. Testa bassa e passione per ora, ma è bello starci dentro.

(buona la prima, domani i DAGS!).

URALI

urali stop records

URALI no, URALI si. Chi lo stronca, chi il contrario. Io sono tra i secondi. URALI non ha una sola briciola di malessere, non esprime noia, la noia l’avete voi dentro, se avete pensato che vi annoi. URALI (si chiama Ivan Tonelli ed è una parte consistente di Stop Records e Stop Studio) che presenta le sue canzoni dal vivo, oppure che risponde alle domande delle interviste, è un tipo tutt’altro che noioso, va molto dritto al problema: deve fare un pezzo, parla poco e fa il pezzo; deve dire una cosa, fa pochi giri di parole e la dice. Con le sue canzoni, URALI fa una cosa altrettanto semplice e immediata: prende una chitarra molto distorta e canta. Con un’idea semplice, mette all’angolo gli altri cantautori contemporanei (il cantautorato italiano è rinato, è alla sua quindicesima vita) che vogliono essere molto bravi e per dimostrarlo si arrampicano su testi intelligentissimi e strumenti che fanno finta di usare. La soluzione musicale di URALI è fuori dallo schema ti scrivo testi un po’ incomprensibili un po’ comprensibili così pensi che siano poesia anche se tocco davvero superficialmente le tematiche e faccio anche il polistrumentista. Anche URALI è un cantautore si, anche se in Italia uno che suona così non viene normalmente definito cantautore perché può ricordare autori stranieri come, boh, Graham Coxon, che non vengono chiamati cantautori, perché i cantautori sono quelli italiani e fanno riferimento in qualche modo alla tradizione cantautorale italiana (negli USA sono folk singer, presumo); ma lo è, tecnicamente URALI è un cantautore. Tecnicamente significa che scrive e canta i pezzi. Non è un cantautore tradizionale, ma considerando come viene chiamata in causa e come viene interpretata adesso la tradizione dai nuovi cantautori (cioè come nel corsivo di 4 righe fa), preferisco l’idea che ha avuto URALI. A me piacciono i vecchi cantautori, quelli più tosti, De André e De Gregori, perché capisco quello che cantano, perché in quanto cantautori mi fanno tremare le vene dei polsi dicendomi qualcosa di universalmente vero, sull’amore, sulla vita, sulla politica, su molte cose. Molti, oggi, hanno la presunzione di saperlo fare ma non lo fanno, ma manco per il cazzo. CASO, lo fa. URALI si propone in modo diverso: tecnicamente è un cantautore, appunto, ma la sua forza sta da un’altra parte. Non m’importa se canta in inglese, e il suo messaggio non è immediato, m’importa che mi dica con chiarezza qual’è la sua idea. In qualche modo è molto più cantautore degli altri perché, fuori dal solco della tradizione, comunque dice la sua, lascia il segno, e stop.

Che poi magari a URALI dei cantautori non gliene frega un cazzo.

Ed ecco cosa mi dice URALI. Io ho pensato che volesse dire: io, con una chitarra in mano, faccio questo in questo modo. Il valore del suo album, che si chiama URALI, non sta solo nel suono distorto ma in tutti i movimenti della chitarra che s’infilano uno sotto l’altro. Si passa da un pezzo eseguito con la chitarra acustica (e uno con la classica) al drone; la chitarra non ha un attimo di tranquillità, ha la fregola, si muove sopra e sotto, passa da suonate più pop a giri dispersivi e psichedelici, e tutto è buttato dentro a un cd con 8 pezzi che scorrono più o meno lenti, pesanti, ma del tutto diversi l’uno dall’altro. Folk, ma anche shoegaze. La sensazione è la stessa di alcuni incipit o alcuni pezzi di Sons of Kyuss, e se io avessi fatto un disco e uno mi dicesse che quando lo ascolta gli ricorda quella pesantezza, io sarei contento. URALI non ha la batteria ma l’uovo che riesce a creare intorno a chi ascolta è quello.
URALI canta sopra alle chitarre senza troppe menate. Ecco perché è un disco bellissimo: perché unisce una chitarra a volte davvero scostante a una voce normale. Della chitarra ho già cercato di parlare, adesso tenterò di parlare della voce. La cosa più spiazzante che succede quando ti trovi di fronte a URALI che suona dal vivo è che la chitarra è disturbatissima e non va d’accordo con la voce, per niente proprio, tranne in alcuni momenti, come per esempio in The Lover (Mistress), cover dei Red House Painters, o in The Flux, una delle (due) canzoni acustiche. Ma non è la voce che non ci sta, è la chitarra, che raggiunge un livello di saturazione tale per cui sembra non esistere altro. E allora la voce va a farsi fottere, e te la dimentichi; ma nel momento in cui URALI parte col pezzo acustico, torna a essere presente e ti accorgi che in realtà è davvero una bella voce; al pezzo distorto successivo hai sanato la rottura e le senti entrambe, chitarra e voce. Su disco l’effetto scompare un po’, perché sconta forse un missaggio non perfetto, ma va bene lo stesso. Sono convinto del fatto che URALI vinca dal vivo, e questa è un ottima cosa. Perché comunque è anche empatico, lui suona e il pubblico lo ascolta col naso all’aria. Sembra semplice, ma alcune volte proprio non scatta.

urali.bandcamp.com – stoprecords.it