Prime Open Air (Festival) – 31 luglio 2013, Parco Primieri a Fusignano

prime-open-air-terza-edizione

In barba a quelli (Marinella Venegoni sulla Stampa del 15 giugno in “2013, non ci sono più le mezze rockstar”, titolo proverbiale) che scrivono che i festival medi, medio-piccoli, piccoli sono stati abbattuti dai colpi della crisi, Neuronifanzine è diventata amica con quelli che organizzano il Prime Open Air al Parco Primieri di Fusignano, che sono poi quelli del Brainstorm.
Qualcosa è successo, qualcuno è caduto, ma liquidare i festival piccoli-medi-medio piccoli scrivendo che non ci va nessuno perchè i giovani cercano l’headliner mi sembra sinceramente esagerato. Bisogna poi stabilire cosa s’intende con le unità di misura grande, medio, piccolo. Non so di preciso con quali crismi vengano assegnate le categorie, ma posso sforzarmi e in fondo capire il loro significato. Dire che i Festival (di qualsiasi centrimetraggio) sono in crisi perchè i giovani preferiscono andare al mare, in montagna, tra i laghi (Roberto De Luca, boss di Live Nation dixit) mi pare altrettanto eccessivo. Sono pronto a testimoniare in favore di serate affollate per festival medio-piccoli-piccolini, no di sicuro grandi. Che poi, sarà pur tutto relativo: magari un festival dove per ultimi suonano Il Teatro degli Orrori sarà più grande di un festival dove per ultimi suonano i Wild Bunch, ma sarà più piccolo di un festival con i cazzo di Depeche Mode. Sono pronto a testimoniare anche di conoscere persone che una sera sono andati al Suona Bene a Roma e la sera dopo sono andati al SoloMacello a Segrate. Il pubblico gira, si muove, ringiovanisce ogni mese di più, arrivando talvolta ad avere età improponibili come 5 o 6 anni se il tempo meteorologico lo permette, e molti arrivano a fine settembre che hanno la caviglia color avorio dal gran che non sono andati al mare.
Bisogna capire dove stà il vero problema. Il vero problema stà nei soldi che mancano, no negli headliner. Nonostante questo, si riesce a fare ancora qualcosa. Spesso i festival piccoli (o medi) si propongono con un ingresso libero o comunque più che accettabilissimo (Indie Rocket Festival, per esempio, tre giorni 7 euro) e stanno in piedi perchè le persone lavorano gratis o quasi.
Scrivere “poverini” dei festival è come aumentare le loro difficoltà, che pure ci sono. Così la gente crea un pensiero comune, si diffonde che ormai la musica “piccola” fatica a esistere e la si penalizza. Per fortuna che ci sono anche quelli che pensano in autonomia e che sono molte le vie per le quali passano le informazioni sui festival piccoli piccolissimi medi. Se hai voglia di trovarle le trovi, perchè c’è gente che ci lavora su.
Per esempio, il Prime Open Air (31 luglio 2013, Parco Primieri a Fusignano in provincia di Ravenna) è alla terza edizione e sta benissimo.
Allora, i nomi li voglio snocciolare subito. Suonano gli Albedo, Caso, i Minnie’s, Threelakes e c’è il dj set di Lorenzo Nada. E ci sono diversi buoni motivi per andare al Prime Open Air:
1. è sull’erba, non sul cemento;
2. il centro di Fusignano è molto bello, se volete potete visitarlo, ci vogliono tre minuti netti;
3. il dj set di Lorenzo Nada;
4. gli Albedo;
5. Caso;
6. i Minnie’s;
7. Threelakes;
8. è un festival, dove ci sono 5 gruppi che suonano, tutti molto diversi l’altro dall’uno, all’insegna della varietà: puoi pogare, poi subito dopo ciondolare e l’attimo dopo ancora ballare;
9. non c’è un headliner, certo ci sarà qualcuno che suona per ultimo, ma non è l’headliner (i nomi sono scritti tutti grandi uguali e questa è una bella proposta);
10. intorno c’è il mare e la montagna, c’è tutta la Romagna, ma durante i concerti è bello stare al parco;
11. il fonico è bravissimo;
12. c’è il bar dove puoi bere, e mangiare la piadina romagnola;
13. si ascolta musica di qualità;
14. sarà caldo e sarà bello sudare;
15. è il 31 luglio, sarai quasi in ferie;
16. si entra gratis;
17. vè che bella locandina che t’hanno fatto;
18. l’alternativa è andare a vedere Robbie Williams a San Siro; ai concerti di Robbie Williams fanno le risse; Robbie Williams non sa cantare dal vivo e, anche se fosse stato dotato come Elvis, a San Siro non avresti visto che un puntino lontano;
19. al Parco Primieri invece i gruppi li vedi da vicino.

Threelakes è il cantautore italiano che canta in inglese migliore che ci sia in circolazione. Se vi fate un giro su YouTube trovate diverse cose sue, da solo e con the Flatland Eagles, e capite quanto sarebbe bello vederlo dal vivo. In un video, che vi invito a trovare, Threelakes ha la maglia dei Minor Threat. La sua musica non c’entra niente con i Minor Threat, e questo è un motivo in più per ascoltare o scaricare pagando quanto volete l’ultimo tre pezzi Uncle T (2013, con the Flatland Eagles) oppure l’ep precedente Four Days (6×6 Records, 2011). Eppure la maglietta è un motivo in più per ascoltare Threelakes, che anche solo con una chitarra e la voce è capace riscaldare lo spazio più freddo e sconfinato, proprio come i Minor Threat mi scaldavano i muscoli che non avevo, che non ho. Il Parco Primieri è grande, vedrete che sarà bello. Lui è un grande performer. Con the Flatland Eagles è anche meglio. Nel video sotto, insieme possono essere come i Giardini di Mirò e Mojave3, ma non sempre, non sono così prevedibili da essere sempre ricollegabili a questi due nomi, riferimenti che mi sono venuti in mente dopo una giornata di pensate, preoccupato di dire una cosa sensata.

Di quei diavoli dei Minnie’s e del loro ultimo Ortografia (2013, To Lose La Track, Fallo Dischi e Neat is Murder) ho già detto e non nascondo di essere un fan. E come tutti i migliori fan, mi aspetto che dal vivo, nello specifico al Prime Open Air, facciano tutte le mie canzoni preferite, senza cazzi, sennò poi sono capace anche di mettere il muso, e cioè Sei te, Daccapo, OrtografiaÈ la quotidianità. Rileggo la recensione di febbraio perchè non è che poi me la ricordo così bene e vedo che non cambierei una virgola, a parte l’apertura su Sanremo che ho scritto un pò sull’onda dell’entusiasmo della settimana sanremese ma che avrei potuto anche risparmiarmi. Nel frattempo l’inverno è finito, i Minnie’s hanno fatto diversi concerti, io non sono mai riuscito a vederli e il Prime Open Air è l’occasione. Naturalmente: acquisto o free download.

La domenica mattina è il momento ideale per ascoltare La linea che sta al centro (2013, To Lose La Track) di Caso, provateci, magari in cuffia. Il genere è folk acustico chitarra e voce (quasi sempre), i testi sono estremamente intelligenti, la voce di Caso è pulita come il vetro di una sala parto, la e aperta e la r veneta (a volte, non sempre, e infatti questa non l’ho capita del tutto) segna in maniera personale le melodie vocali.
“Da quando ho imparato a ridere dei guai/son diventati sempre più frequenti” (Un anno terribile) è il distico del momento.
La linea che sta al centro è un disco che parla di tutto quello di cui vorrei parlasse un disco di un cantautore folk. Senza ricorrere a metafore incomprensibili, o comunque sempre riconducendole a una realtà concreta e impietosa, parla di difficoltà, di cose belle e di cose brutte, di contraddizioni insanabili ma anche di certezze. Le canzoni non hanno il fine di tranquillizzarti, ma di metterti un pò di sana inquietudine.
Mi piace la gente che usa il termine palindromo. E la intro di Poco memorabile ricorda De Gregori di L’impiccato o Babbo in prigione.
Se è domenica mattina, ma anche se è un altro giorno, ascoltate lo streaming di La linea che sta al centro e poi anche gli album precedenti. Però poi una volta provatelo anche la domenica mattina in cuffia, per ascoltare meglio i testi.

La vita è triste quando improvvisamente ti rendi conto e metti a fuoco di botto le cose tristi. Gli Albedo toccano tasti diversi rispetto agli altri gruppi del Prime Open Air 2013. Lezioni di anatomia (in streaming qui) è l’ultimo album e ha titoli come Cuore, Dita, Stomaco, Pance, Polmoni. Il concept è affascinante e l’album riporta in vita le inquietudini che provavo guardando Esplorando il Corpo Umano. E non è una battuta del cazzo, perchè quel cartone animato mi ha messo per la prima volta di fronte alle ansie della malattia e del possibile dolore fisico. Allo stesso modo, Lezioni di anatomia mi mette di fronte a certe inquietudini non sopite e le collega alle parti del corpo come se dovessero essere parte di me per sempre. In alcuni casi direi fanculo ma, in questo caso, gli Albedo suonano troppo bene. E l’album mi piace anche perchè fà quello che vuole fare in modo molto diretto: a ogni parte del corpo una stoccata.
Lezioni di anatomia (2013, V4V Records e Inconsapevole Records) è in free download qui. I due dischi precedenti sono Il male e A casa.

La cosa bella è che Caso, Albedo, Minnie’s e Threelakes hanno in comune l’avere ciascuno una cifra stilistica molto forte. Personalità. E l’altra cosa bella è che suonano tutti in un’unica serata, al Prime Open Air terza edizione, il 31 luglio.

Ortografia dei Minnie’s – Non moriremo tutti, non siamo tutti fottuti

Ortografia dei Minnie's - Non moriremo tutti, non siamo tutti fottuti

Marco Mengoni ha vinto il Sanremo 2013. Sacrosanto, la sua L’essenziale era la canzone più adatta di tutte al Festival. Ma a me poi non interessa la Sezione Big, mi interessa solo la Sezione Giovani, perchè quando uno entra a far parte della categoria Big prende subito un che di vecchio, anche se ha 25 anni. Infatti Sanremo Big quest’anno era pieno di giovani all’anagrafe, è un dato di fatto: il Mengoni ha 24 anni, Chiara 26, Annalisa 27, Rapahel Gualazzi 31, Simona Molinari 29 e così via. Che poi uno in Italia è giovanissimo anche a 30 anni. Ma i giovani-big di Sanremo sono già stantii, per osmosi.

Ormai immerdati nella certezza che la musica italiana dei giovani (la musica che passano alla televisione e i giovani-stantii) sia appiattita su uno stile cantautorale un pò stupido per forza, un pò nerd, un pò sensibilone e per niente aggressivo e propositivo, talvolta un pò tarantella (ed ecco perchè alla fine dei conti Caparezza e Cristicchi dettano legge – e ci metto anche Le Vibrazioni – e sono molto più potenti di un Biagio Antonacci qualsiasi, o di un Eros Ramazzotti uomo di marketing: perchè hanno più presa sulle anime dei giovani che ascoltano), dicevo visto che ormai sul teleschermo siamo sommersi di musiche di giovani alla naftalina, meno sinceri di un ladro, e che quando azzardano al massimo mischiano il sempre urlato dei Modà all’emo o al rock duro d’oltreoceano alla redivivi Skunk Anansie, per darci un pizzicotto, svegliarci dall’assuefazione sanremese e capire che non siamo fottuti, andiamo allora a ravanare nelle novità delle etichette indipendenti, dove c’è della bella pasturona, non sempre di volti nuovi, ma comunque non sotto naftalina.
Casco, come altre volte è successo, nel cestone dei regali di To Lose La Track/Fallo Dischi/Neat Is Murder e trovo Ortografia dei Minnie’s, fresco come il latte, disponibile in download gratuito ma anche per l’acquisto dal 14 febbraio. Mi giustifico: questo di To Lose La Track/Fallo Dischi/Neat Is Murder è un rifugio, dove sapevo già di trovare la cosa giusta, quindi non è, questo post, un articolo di confronto tra Sanremo Giovani e le etichette indipendenti italiane, perchè so che non è un confronto sensato e perchè i Minnie’s non sono nuovi nuovi, ma non sono stantii; solo che nella settimana appena conclusa, chiunque abbia (ogni giorno della vita, non solo questa settimana) un minimo di voglia vitale di tenere aperte le orecchie, non poteva non sentire Sanremo, e quindi Sanremo Giovani. Di conseguenza, uno che non crede alla solfa che in Italia i giovani (o giù di lì) sono morti, cerca qualcosa di fresco nel luogo in cui sa di trovare roba di qualità. E Ortografia dei Minnie’s arriva con un tempismo eccezionale.

Solo l’ultima parentesi su Sanremo Giovani 2013. Il povero Il Cile (30 anni), che giudico la cosa più adatta a Sanremo uscita dalle giovani proposte, ma non posso dirgli che è bravo perchè è amico di Pau dei Negrita, è stato escluso dalla finale. Forse perchè nel testo della sua canzone evoca immagini troppo forti, come la “barbie sfregiata”, o dice cose troppo toste, come “chissà se mantieni la testa al suo posto oppure la doni alla iena di turno”. Però Il Cile ha vinto il Premio Assomusica per la migliore esibizione live e il Sergio Bardotti per il miglior testo, tra i giovani. Ma i veri vincitori della Sezione Giovani sono stati Antonio Maggio (26) ex degli Aram Quartet di X Factor, che vinsero ADDIRITTURA la prima edizione italiana del talentshow, con Mi piacerebbe sapere, e Renzo Rubino (24), che ha vinto il premio della critica con Il postino (Amami Uomo), evidentemente una canzone sull’autoerotismo. E i Blastema che credevano di vincere con trucco e parrucco, come anche Elio e le Storie Tese.

Ortografia dei Minnie'sCon Ortografia dei Minnie’s la conquista della meta superiore cui agognavo avviene sin dal primo pezzo. Non siamo fregati, non moriremo tutti di noia: c’è ancora gente, in questo caso con una certa esperienza alle spalle, che fà musica con gusto e col cuore, lo sapevamo, lo sappiamo. I Minnie’s sono una delle band indipendenti italiane che esistono da più tempo ma hanno registrato Ortografia con una nuova formazione: nuova bassista e nuovo batterista. Nel 2000 hanno aperto per gli Shelter a Milano, loro città d’origine, dei Minnie’s non degli Shelter, e nel 2002 per i Satanic Surfers a Roma. Hanno suonato in Germania, in Austria e in Svizzera. Possiamo associarli a gruppi come Descendents, Kina e Negazione.
Il territorio è quello del punk rock, del power pop, nella sua migliore declinazione, della musica veloce e melodica. Ortografia colpisce subito perchè è suonato in modo preciso, senza nessuna sbavatura, ed è registrato in un modo meraviglioso: il suono è puro e semplice. Prima di Ortografia i Minnie’s, nel 2011, hanno registrato La paura fa brillanti idee, fatto di due pezzi: Brillanti idee per pochi istantiLa paura fa (90+7). La brillante idea dei Minnie’s è avere le idee chiare. La loro discografia, prima di La paura fa brillanti idee e Ortografia, inizia nel 1995 con Ciccabboom!, demo autoprodotto, e prosegue così: The Hard Corazon (a.k.a THC, Outright, 1997); Happy Noise/Minnie’s (split CD con Happy Noise, Riot Records, 2001); Un’estate al freddo (Heartfelt Music, 2003); The Sing Along Experience (EP, Riot Records, 2004); Il pane e le rose (EP, Dmbmusic/Antstreet, 2006); L’esercizio delle distanze (Sangue Diskene, 2009, poi AC Europe Records, 2010).

Io amo questo gruppo: fornendo dati utili ma un pò freddini in questa parte della recensione, e soprattutto avendo iniziato la medesima con il nome Marco Mengoni, pensavo non fosse chiaro, quindi l’ho scritto.
Il primo pezzo di Ortografia è Quanto costa una domanda, arrangiamento classico, una bomba. Più veloce e potente è Fiumi, aggressiva nel testo e nella chitarra. Ci sono momenti in cui i Minnie’s vanno oltre e danno prova della loro grande abilità del suonare staccando e ripartendo di continuo, come in Tragedia (qui il video), in fuga meno veloce di Fiumi, ma comunque in fuga, con suoni pieni e rapidi passaggi dalla strofa, al bridge, al ritornello. Uno dei pezzi migliori dell’album.
La quotidianità ha un gustoso sapore che mischia emo, quello vero degli Shift di Pathos, punk, dei Bad Religion di Recipe For Hate, e una potenza geniale. Tutto invece è giocato sulle pause, sui crescendo e sulle ripartenze in Sei te, che a tratti ha giri di chitarra davvero preziosi – come quello in chiusura. Qui, in questa canzone, il basso e la batteria fanno un lavoro splendido, seguendo la chitarra ma anche anticipandola, creando un suono travolgente, trasparente, evidentemente brillante. E’ quell’unione di melodia e sonorità ruvidissime, di voci dolci e gutturali, che fa di questo disco una delle cose punk rock italiane più riuscite degli ultimi tempi, accostabili al VERME migliore, anche se un pò meno sempre disilluse e arrabbiate del VERME medesimo.
E Daccapo è fottutamente dritta. La varietà delle aperture della chitarra e l’amore con cui il basso e la batteria la picchiano sono i motivi principali per cui si ottiene un insieme così limpido e potente. Basta poi sentire l’incipit di Capodanno, seguìto al finale in esplosione e troncato di Daccapo, per capire che il groove gira e non si ferma, passa da una canzone all’altra senza perdere un colpo.

Ortografia dei Minnie'sPoi c’è la title-track. Il pezzo diverso, che arriva quasi alla fine dell’album. Davvero non se ne sentiva l’esigenza, perchè l’album non ti dà tempo di pensare a cosa manca, perchè non manca nulla, ma Ortografia (la canzone) arriva ed è un altro bastardissimo valore aggiunto, perchè supera tutto quello che c’è stato fino a ora, con la sola forza degli strumenti, con poche parole, un basso tritatutto o tappeto ampio e morbido, le chitarre che riempiono ogni buco, la batteria che non si ferma un attimo nella ricerca di qualcosa di nuovo, con le melodie e i suoni apocalitticci e sporchi dei Sonic Youth filtrati dai Marlene Kuntz, solo rinfrescati da una forza incredibile, che i padri citati hanno perso.

I testi allo stesso tempo delicati e cattivi (realistici) la fanno da padroni in (quasi) tutto l’album: ritornano nei versi cinici di Ogni colpo è l’ultimo, ultimo proiettile di Ortografia, dopo averci lasciati un pò soli e spaesati nella title-track. I testi sono uno dei punti di forza dell’opera, le danno freschezza e movimento. Un pò come fanno la chitarra, il basso, la batteria. Cioè praticamente tutto quello che c’è nell’album.

I Minnie’s oggi sono quelli della foto, la prima in alto, o anche l’altra nella libreria: Luca, Yuri, Ale e Viole.
Io amo questo disco.