Disco week-end. Labradors, The Great Maybe

Labradors-The-Great-MaybeÈ possibile che alcuni dischi d’inverno non dicano tanto e in primavera sbombino? Si che è possibile, è una questione di sensazioni che sei disposto a recepire (oppure no) se sei di un umore (oppure no). Succede solo se sei meteoropatico. E non deve essere per forza una patologia, basta anche solo una cosa superficiale. Cioè è sufficiente subire anche solo un po’ l’influenza di un cielo azzurro o di un cielo grigio. Per quanto mi riguarda, un cielo grigio di solito mi deprime e mi mette addosso un po’ di malinconia, che non è una cosa bella, ma a volte mi ci crogiolo. C’è chi trova divertente un cielo nuvoloso, ma solo chi è bipolare. Un cielo sereno in primavera, magari col sole, mi fa venire la bolgia. Anche se quando siamo verso metà giugno mi già ha rotto. E non vado mai al mare.

The Great Maybe dei Labradors in gennaio non mi aveva colpito particolarmente. Verso marzo ho iniziato a sentirci robe. Ho iniziato a non essere d’accordo sul fatto che il disco abbia un suono che ricorda solo gli anni ’90. È forse perché il mio cervello processa in modo sbagliato le informazioni, ma secondo me è così. Il suono dei Labradors è morbidissimo, negli anni ’90 spesso i dischi rock suonavano secchi e definiti e mi piaceva molto il fatto che un album registrato a Los Angeles potesse eventualmente sentirsi come uno registrato a Bagnile di Cesena.

Gli anni ’90 in The Great Maybe ci sono, ma i richiami non sono mai diretti, c’è sempre qualcosa che mi fa dire “però non suona del tutto anni ’90”. The Great Maybe ricorda i Foo Fighters dei primi due dischi che, pur essendo usciti nel ’95 e nel ’97, nella mia testa non hanno un suono anni ’90 ma uno tutto loro, che col tempo è stato distrutto, e adesso, pensando a com’era all’inizio, non so neanche dove collocarlo quel suono, perché mi sembra che non sia mai esistito. Le canzoni che mi ricordano di più i FF sono Big Sure e Tearing Up the Globe e non è solo una questione di “suono” ma di modo di spingere sul ritmo e renderlo incalzante. La batteria elettronica che parte in mezzo a Tearing Up the Globe la trasforma però in qualcos’altro, una specie di space rock con un basso a metà tra gli AIR e i Pink Floyd, ma sempre con la fotta di mantenere alto il ritmo. Il finale di Big Sure è la cosa che ho più voglia di vedere eseguita dal vivo dal mese di marzo.

Il primo pezzo di The Great Maybe (I Won’t Let Anyone Hurt You) mi spiazza ancora come la prima volta: sembra una delle ballate che scriveva Coxon quando era in forma e, allo stesso tempo, una canzone scritta per un film, per una scena di serenità. Non è l’unico episodio spiazzante del disco. C’è anche Mario, in cui Willis Earl Beal ed Evan Dando cantano su una musica brasiliana e il tutto ricorda una canzone hawaiana che ho sentito nel film Aloha. Si, ci sono delle cose riconducibili ai veri anni ’90 (il Re Evan) ma sono sinceramente dettagli. Leggere i commenti che ricollegavano The Great Maybe solo agli anni ’90 e poi sentire che inizia con I Won’t Let Anyone Hurt You me l’ha fatto piacere subito: effetto sorpresa.

Ci sono dei passaggi cattivi e scattosi come l’hard rock (l’inviato di neuronE che li ha visti dal vivo al Magazzino Parallelo di Cesena conferma che ‘sta cosa dell’hard rock vale anche per il live). All I Have Is My Heart ha quel tiro (non il suono) punk rock che ti fa muovere i piedi e da questo punto di vista ha la stessa forza di Work di Rihanna e degli Hold Steady, contemporaneamente. Paws non suona assolutamente come i Blink 182 ma ha la loro spavalderia dei momenti migliori. Strangelove, nei crescendo e poi nelle esplosioni, suona come i Minnie’s di adesso, quindi si può dire ci siano anche influenze di oggi, tra l’altro provenienti dalla stessa regione: la Lombardia. In Someone Else viene fuori Gran Prix, il disco peggiore dei Teenage Fanclub, che comunque riascolto sempre volentieri e che viene ripreso nella sua unica cosa veramente buona: le melodie pop.

Hate Summer, l’EP precedente, era meno ricco. The Great Maybe ha cambiato strada e mi ha fatto venire in mente cose molto diverse tra loro. Non si tratta solo di suoni, ritmiche o voci, ma anche di sensazioni. Non so se è così per tutti, ma per me alla fine un disco è fatto anche delle sensazioni che ti dà quando l’hai ascoltato molte volte, ci sei entrato dentro e sei arrivato a un buon livello di profondità. Che non è per forza l’ultima fermata.

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Disco Weeek End. Snowed In / Stormed Out, DAGS!

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Snowed In / Stormed Out è una delle cose suonate meglio che ho sentito negli ultimi tempi. È proprio un disco in cui gli strumenti vanno giù precisi e funzionano tutti molto bene nel creare armonia. I DAGS! sono morbidi nell’insieme e duri nel dettaglio, danno le sensazioni che davano i Mineral le prime volte che li ascoltavo, con le aperture che mi sbrancavano il petto e le botte di chitarra improvvise (Dance today, dance tomorrow, why not the day after), oppure i Crash of Rhinos e i Cap’n Jazz. Ma hanno anche altre cose, nella voce c’è qualcosa di art rock, qualcosa al confine tra radiohead e jeff buckley, pueblo peolple, three lakes, giardini di mirò (For instance does any of those “I” I put in a sentence make me look like an egotistical prick?) e vorrei dire anche Muse. Snowed In / Stormed Out ha un suono più definito rispetto a S/T, con un momento di stop percussioni e pianoforte (Why is there a “B” in the word “debt”?) e alcune canzoni che mi hanno fatto venire in mente i Riviera, per la delicatezza e la precisione di alcuni passaggi batteria basso e chitarra. Nei Dags! di Snowed i suoni sono più distinti. Nei Riviera sono più indefiniti e la sensazione è diversa: c’è sempre la roba scritta e detta con lo stomaco ma non ci sono i momenti di distacco.

Dei Dags! ho anche il poster in casa. Una volta conoscevo il re dei poster musicali. Era uno che abitava vicino a casa mia. Non lo vedo da anni ma una volta mi chiedeva sempre: “Che cos’è questo disco per te, così adesso, su due piedi, domani puoi cambiare, ma adesso?”.

Please let this train depart, before the feelings can catch up with me” (Chega de saudade)

Quando eravamo emo eravamo anche più giovani e ci piaceva lasciarci andare ai pensieri, alle note delle canzoni, alle sensazioni che suscitavano. Eravamo emo perché ci piaceva ascoltare quel suono e perché da quel suono ci rendevamo conto di alcune cose di noi. Anche oggi siamo emo, ci piace sempre molto quel suono, ma siamo più grandi e consapevoli che quello succede in noi all’ascolto di quel suono è una cosa a cui non possiamo lasciarci andare più di tanto o a cui non possiamo pensare tutto il giorno, perché c’è altro che dobbiamo fare. Questo disco suona così, come la trasposizione musicale di questo stato delle cose. A volte prende una direzione ed è più aggressivo (I Would Love To Send All Those Shitheads Wearing Camo To The Actual Army), a volte un’altra ed è rallentato (We all like theories, let’s not make anything ever happen) ed è come sentire insieme 1) la fine della possibilità di lasciarsi andare completamente al suono di una canzone 2) la consapevolezza bella e rassicurante che in realtà lo vorremmo ancora fare. Non sempre c’è la certezza che lo faremo, ma il pensiero di volerlo significa che abbiamo ancora voglia. E questo è un ottimo punto di partenza.
Un mio amico, che per me è l’emo, una volta era un tipo molto sentimentale. Ora ha un lavoro impegnativo, una figlia, una famiglia e non può più permettersi quell’atteggiamento nei confronti degli altri, ma a volte vorrebbe. Ascolta ancora questa musica e quando sente le note di uno dei gruppi con cui ha trascorso molte ore della sua vita precedente se lo guardi negli occhi vedi proprio che è ancora tutto lì dentro. Ascoltare Snowed In / Stormed Out dei DAGS! è come guardare quel mio amico negli occhi, fissare la realtà e la personalità separate ma entrambe possibili e necessarie, con una bellezza che è data proprio dal fatto che convivono così serenamente. È la stessa che ho trovato in questo testo dei DAGS! che prima dice “You poked my head with that finger, I know, I know you so well I could see right through your skin, to your fingertips, water erodes my heartwhy am I feeling so awkward towards anything” poi dice “anything means nothing to me“. Le due affermazioni hanno significati opposti ma vivono insieme: sentire un sacco le cose e non sentire niente, il segreto per vivere bene, mantenendo in vita le passioni che ti porti dietro da molto, quelle vere che hai sottopelle, tenerle lì per farle uscire appena puoi, e fare anche quello che devi fare.

Ma c’è un altro passo che Snowed In / Stormed Out riesce a fare: illustrare quei momenti in cui non tutto gira alla perfezione e si fa a botte con i “feelings” e/o li si lascia vincere (“The fear of being alone, the fear of being unknown, the fear of being loathed for all those fears“). In quei momenti siamo al di là della linea di confine, verso gli anni passati, più lontani da quelli presenti. Ma sono solo istanti di passaggio.

Ecco cos’è questo disco per me adesso che c’è il sole, poi magari domani piove e torno emo e vado di nuovo alla deriva.

bandcamp dei DAGS!

Disco week-end. Minnie’s, Lettere scambiate

2015-04-26 11.20.57

Sono passati tre anni da quando è uscito Ortografia. Nel frattempo sono partiti i progetti paralleli dei Minnie’s, come DAGS! e SMNTCS. Ed è andata avanti la Neat Is Murder, l’etichetta nonché distro della bassista, con Shit Kids Galore, Riviera e Frana. Quelli dei Minnie’s mettono giù una pietra che segna un chilometro ogni tot, ogni volta volta che ne fanno una, e costruiscono un percorso. Se poi a distanza di tempo guardi cos’è successo, vedi che le pietre formano un cerchio e il punto da cui è partita la grafite del compasso si chiama Minnie’s. Le cose che mi sono successe negli ultimi tre anni sono abbastanza, positive e negative. Tra quelle positive c’è aver visto dal vivo i Minnie’s, i Smntcs e i Dags!, tutti a Fusignano. A Fusignano ho comprato anche un poster dei Dags!, l’ho incorniciato e l’ho attaccato in casa, a Gatteo.
Lettere scambiate dei Mins arriva come l’inizio di un ciclo nuovo, cioè nel momento in cui è un po’ che è uscito il disco dei Smntcs, è un po’ che è uscito quello dei Dags! ed è il momento di fare il nuovo Mins e di partire per un tour. È ora di rivederli, per ripartire a disegnare il cerchio. L’altra sera sono venuti non lontano da Gatteo e io li ho mancati: l’ago del compasso è uscito dal foro e ha fatto scivolare la grafite. Quando succedeva nelle ore di educazione tecnica era un errore evidente, bisognava rimediare.
Lettere scambiate è in realtà un EP con 4 pezzi, molto diversi da Ortografia. Mentre le canzoni di Ortografia avevano il loro punto di forza nelle esplosioni da strofa a ritornello e negli incastri delle variazioni corali interne alle parti, Lettere scambiate fa lievitare di più i pezzi, come Voglio scordarmi di me e Lontano. La precisione negli stop-riparti rimane intatta, la struttura è strofa-ritornello-conclusione liberatoria e la scrittura è più complessa negli incastri dei singoli strumenti. Ascoltate il basso in Voglio scordarmi di me. Meno punk rock e più indie rock, ma con la stessa definizione del punk rock di Ortografia.
Ho un po’ di problemi con i testi dei Mins*. Dove c’è poesia, c’è poesia forte: “metodo e fantasia” sul finale di Lontano mi ha fatto pensare a “un giocatore si vede dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia” aggiornato a nuove necessità. Ma ci sono parti il cui significato non mi è chiaro (E ora?). Le parole sono a volte più dirette a volte meno e questo mi fa procedere a scatti sulla strada per la comprensione completa. Succede in Per andare via. Chitarre, basso e batteria fanno da traino di tutto e alla fine mentre pesavo le mele al supermercato mi sono trovato a cantare i testi abbastanza esaltato perché gli strumenti gli danno più forza. Fanno il lavoro migliore. Quando guido, faccio la spesa, cerco di pulire casa o di fare i crostini: l’ho chiamato disco week-end perché lo sto ascoltando ininterrottamente da venerdì pomeriggio quando sono uscito dall’ufficio.
* ho visto per la prima volta il diminutivo su Facebook e l’ho adottato come se l’avessi inventato io.

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