
Io nel sogno ne ho visti 6 però i coiboi nella foto sono 5
L’altra notte sognavo di essere in centro a Gatteo (no Gatteo A Mare), che era un piccolo paese nel Far West, molto diverso da come è in realtà e esattamente uguale a come ve lo immaginate voi che avete pregiudizi sui piccoli paesi nel quasi-culo della Romagna. Uno straniero arrivava in piazza, io mi stavo abbeverando alla fontana sotto al sombrero, lui si avvicinava a cavallo. Prima era solo lui, poi quando era abbastanza vicino da poter sentire il suo alito di Lambrusco, da dietro l’angolo del Conad Margherita, laggiù alla fine dello sterrato, ho visto sbucare altri 5 a cavallo. Ero ben disposto, qui in Romagna siamo bravi con i turisti. Lui si ferma e mi dice “This is the summer I was born”. All’improvviso i 6 coiboi erano sotto ai portici del Comune a suonare Wild Water. Lui mi aveva preso in giro. Non sono i primi, molti coyboy passano di qui e pretendono di fare quello che vogliono. M’incammino verso il fornaio, che è anche lo Sceriffo di Gatteo, per farglielo presente. Ma poi è arrivato a piedi nel vento il Cavaliere Metaforico, noto per i suoi versi evocativi della contemporaneità sempre attuale, e che aveva tutto l’aspetto di Ligabue con i capelli bianchi, e ha detto
“Grazie per la fantasia!”
A quel punto, dopo che uno dei 6 coiboy gli ha tirato una KORG in testa, il Cavaliere Metaforico è morto e io mi sono svegliato.
E mi sono svegliato che era giovedi. Mercoledi avevo ascoltato alla radio il nuovo singolo del Liga, Il sale della terra, e a casa il nuovo album di Threelakes and The Flatland Eagles, War Tales. Potrei dire molte cose sul piacere che si prova in macchina tra le 8 e le 8:20 della mattina a farsi un giro in radio a cercare canzoni invece di sentire il radiogiornale. Basti solo che questa cosa stimola molto l’immaginazione, per esempio ti immagini Vasco con la faccia di Ligabue, o Max Pezzali che scrive un libro.

Copertina di Makkinoso
La prima cosa che voglio dire di War Tales (Upupa produzioni) non c’entra niente con questo discorso molto profondo sulla radio, però mi sembra interessante lo stesso. La prima cosa che mi è piaciuta di War Tales è il suono. Il disco l’ha mixato Andrea Sologni all’Igloo Audio Factory e l’ha registrato Andrea Suriani all’Alpha Dept Studio. Qui dice che Andrea Sologni ha la giusta dose di tecnica e pazzia. Io non lo conosco ma è quello che ho visto suonare il basso con i Gazebo Penguins ed è lo stesso che ha lanciato la KORG in testa al Cavaliere Metaforico (nel mio sogno), e quindi posso dire che è vero. War Tales è così definito nei suoni da aprirti la testa in un numero di parti uguale agli strumenti che stanno suonando. Se senti in cuffia già solo dalla prima canzone (Wild Water) te ne rendi conto. E poi c’è un’attenzione al dettaglio che vorrei mettere in ogni cosa che faccio nella mia vita. A un certo punto c’è un rumore di acqua e io mi sono voltato di scatto perchè pensavo ci fosse qualcuno che si stava facendo il bagno nella vasca dietro di me, anche se col computer ero sul tavolo della cucina. Un pò come si vede nei western, dove c’è la donna che si fa il bagno nella tinozza in soggiorno o nell’unica stanza della casa. Insomma, sentitelo in cuffia questo disco. E’ utile dire che la definizione e la precisione bellissima con cui ogni strumento e ogni rumore è stato suonato, plasmato e calibrato sono una caratteristica di tutto l’album. In March c’è un tizio che cammina e io mi son fatto un bel salto sulla sedia. Poi c’è quel rumore che sembra proprio un tuono in D-Day, ma fuori non c’è una tempesta, anzi stamattina c’è il sole, che mi dà anche un pò fastidio.
La seconda cosa che voglio dire su War Tales c’entra molto con il discorso della radio a proposito dell’immaginazione. Una cosa bella di questo disco è che Luca Righi (Threelakes) ci ha spiegato perchè ha scritto certe canzoni o da dove certe altre vengono. Spiegare le canzoni è sempre poco simpatico. Ma c’è una sottile differenza tra lo spiegare quello che le canzoni dovrebbero evocare a tutti e lo spiegarne l’origine. “Con questa canzone descrivo la sensazione che si prova quando…” è quello che si legge nelle interviste a cantanti e cantautori mediocri. Il pensiero o l’esperienza che stà dietro a una canzone è quello che si legge nelle dichiarazioni di Luca Righi (sempre qui, dove ci è anche lo striming, che è anche qui), oppure la sequenza che vorrebbe creare nell’immaginazione di chi ascolta. Ma quella sequenza, o quell’immagine, non è un valore per tutti, è un valore suo, che ti può toccare o no. Questo quello che vale per me: dietro al significato che la canzone ha per Luca c’è un altro significato profondo con cui la musica e le parole mettono a fuoco l’episodio, si insinuano oltre e mi vengono incontro (The Day My Father Cried).
La terza cosa che voglio dire su questo disco è che dopo un pò che lo ascoltavo mi sono perso l’ordine delle canzoni, le sentivo random perchè volevo capire l’effetto che mi facevano, e ogni volta che un pezzo finiva stringevo le labbra e mi chiedevo e chissà quest’altro invece.
Ci sono delle volte in cui Threelakes and The Flatland Eagles ricordano i Giardini di Mirò, delle volte in ricordano Bob Dylan, ma, sempre, suonano benissimo. Eh, qui siamo a livelli altissimi, dico io, come diceva sempre mio zio a proposito di Sam Peckinpah.
threelakesmusic.com / su facebook
upupaproduzioni.com / su facebook
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