Marco Mengoni ha vinto il Sanremo 2013. Sacrosanto, la sua L’essenziale era la canzone più adatta di tutte al Festival. Ma a me poi non interessa la Sezione Big, mi interessa solo la Sezione Giovani, perchè quando uno entra a far parte della categoria Big prende subito un che di vecchio, anche se ha 25 anni. Infatti Sanremo Big quest’anno era pieno di giovani all’anagrafe, è un dato di fatto: il Mengoni ha 24 anni, Chiara 26, Annalisa 27, Rapahel Gualazzi 31, Simona Molinari 29 e così via. Che poi uno in Italia è giovanissimo anche a 30 anni. Ma i giovani-big di Sanremo sono già stantii, per osmosi.
Ormai immerdati nella certezza che la musica italiana dei giovani (la musica che passano alla televisione e i giovani-stantii) sia appiattita su uno stile cantautorale un pò stupido per forza, un pò nerd, un pò sensibilone e per niente aggressivo e propositivo, talvolta un pò tarantella (ed ecco perchè alla fine dei conti Caparezza e Cristicchi dettano legge – e ci metto anche Le Vibrazioni – e sono molto più potenti di un Biagio Antonacci qualsiasi, o di un Eros Ramazzotti uomo di marketing: perchè hanno più presa sulle anime dei giovani che ascoltano), dicevo visto che ormai sul teleschermo siamo sommersi di musiche di giovani alla naftalina, meno sinceri di un ladro, e che quando azzardano al massimo mischiano il sempre urlato dei Modà all’emo o al rock duro d’oltreoceano alla redivivi Skunk Anansie, per darci un pizzicotto, svegliarci dall’assuefazione sanremese e capire che non siamo fottuti, andiamo allora a ravanare nelle novità delle etichette indipendenti, dove c’è della bella pasturona, non sempre di volti nuovi, ma comunque non sotto naftalina.
Casco, come altre volte è successo, nel cestone dei regali di To Lose La Track/Fallo Dischi/Neat Is Murder e trovo Ortografia dei Minnie’s, fresco come il latte, disponibile in download gratuito ma anche per l’acquisto dal 14 febbraio. Mi giustifico: questo di To Lose La Track/Fallo Dischi/Neat Is Murder è un rifugio, dove sapevo già di trovare la cosa giusta, quindi non è, questo post, un articolo di confronto tra Sanremo Giovani e le etichette indipendenti italiane, perchè so che non è un confronto sensato e perchè i Minnie’s non sono nuovi nuovi, ma non sono stantii; solo che nella settimana appena conclusa, chiunque abbia (ogni giorno della vita, non solo questa settimana) un minimo di voglia vitale di tenere aperte le orecchie, non poteva non sentire Sanremo, e quindi Sanremo Giovani. Di conseguenza, uno che non crede alla solfa che in Italia i giovani (o giù di lì) sono morti, cerca qualcosa di fresco nel luogo in cui sa di trovare roba di qualità. E Ortografia dei Minnie’s arriva con un tempismo eccezionale.
Solo l’ultima parentesi su Sanremo Giovani 2013. Il povero Il Cile (30 anni), che giudico la cosa più adatta a Sanremo uscita dalle giovani proposte, ma non posso dirgli che è bravo perchè è amico di Pau dei Negrita, è stato escluso dalla finale. Forse perchè nel testo della sua canzone evoca immagini troppo forti, come la “barbie sfregiata”, o dice cose troppo toste, come “chissà se mantieni la testa al suo posto oppure la doni alla iena di turno”. Però Il Cile ha vinto il Premio Assomusica per la migliore esibizione live e il Sergio Bardotti per il miglior testo, tra i giovani. Ma i veri vincitori della Sezione Giovani sono stati Antonio Maggio (26) ex degli Aram Quartet di X Factor, che vinsero ADDIRITTURA la prima edizione italiana del talentshow, con Mi piacerebbe sapere, e Renzo Rubino (24), che ha vinto il premio della critica con Il postino (Amami Uomo), evidentemente una canzone sull’autoerotismo. E i Blastema che credevano di vincere con trucco e parrucco, come anche Elio e le Storie Tese.
Con Ortografia dei Minnie’s la conquista della meta superiore cui agognavo avviene sin dal primo pezzo. Non siamo fregati, non moriremo tutti di noia: c’è ancora gente, in questo caso con una certa esperienza alle spalle, che fà musica con gusto e col cuore, lo sapevamo, lo sappiamo. I Minnie’s sono una delle band indipendenti italiane che esistono da più tempo ma hanno registrato Ortografia con una nuova formazione: nuova bassista e nuovo batterista. Nel 2000 hanno aperto per gli Shelter a Milano, loro città d’origine, dei Minnie’s non degli Shelter, e nel 2002 per i Satanic Surfers a Roma. Hanno suonato in Germania, in Austria e in Svizzera. Possiamo associarli a gruppi come Descendents, Kina e Negazione.
Il territorio è quello del punk rock, del power pop, nella sua migliore declinazione, della musica veloce e melodica. Ortografia colpisce subito perchè è suonato in modo preciso, senza nessuna sbavatura, ed è registrato in un modo meraviglioso: il suono è puro e semplice. Prima di Ortografia i Minnie’s, nel 2011, hanno registrato La paura fa brillanti idee, fatto di due pezzi: Brillanti idee per pochi istanti e La paura fa (90+7). La brillante idea dei Minnie’s è avere le idee chiare. La loro discografia, prima di La paura fa brillanti idee e Ortografia, inizia nel 1995 con Ciccabboom!, demo autoprodotto, e prosegue così: The Hard Corazon (a.k.a THC, Outright, 1997); Happy Noise/Minnie’s (split CD con Happy Noise, Riot Records, 2001); Un’estate al freddo (Heartfelt Music, 2003); The Sing Along Experience (EP, Riot Records, 2004); Il pane e le rose (EP, Dmbmusic/Antstreet, 2006); L’esercizio delle distanze (Sangue Diskene, 2009, poi AC Europe Records, 2010).
Io amo questo gruppo: fornendo dati utili ma un pò freddini in questa parte della recensione, e soprattutto avendo iniziato la medesima con il nome Marco Mengoni, pensavo non fosse chiaro, quindi l’ho scritto.
Il primo pezzo di Ortografia è Quanto costa una domanda, arrangiamento classico, una bomba. Più veloce e potente è Fiumi, aggressiva nel testo e nella chitarra. Ci sono momenti in cui i Minnie’s vanno oltre e danno prova della loro grande abilità del suonare staccando e ripartendo di continuo, come in Tragedia (qui il video), in fuga meno veloce di Fiumi, ma comunque in fuga, con suoni pieni e rapidi passaggi dalla strofa, al bridge, al ritornello. Uno dei pezzi migliori dell’album.
La quotidianità ha un gustoso sapore che mischia emo, quello vero degli Shift di Pathos, punk, dei Bad Religion di Recipe For Hate, e una potenza geniale. Tutto invece è giocato sulle pause, sui crescendo e sulle ripartenze in Sei te, che a tratti ha giri di chitarra davvero preziosi – come quello in chiusura. Qui, in questa canzone, il basso e la batteria fanno un lavoro splendido, seguendo la chitarra ma anche anticipandola, creando un suono travolgente, trasparente, evidentemente brillante. E’ quell’unione di melodia e sonorità ruvidissime, di voci dolci e gutturali, che fa di questo disco una delle cose punk rock italiane più riuscite degli ultimi tempi, accostabili al VERME migliore, anche se un pò meno sempre disilluse e arrabbiate del VERME medesimo.
E Daccapo è fottutamente dritta. La varietà delle aperture della chitarra e l’amore con cui il basso e la batteria la picchiano sono i motivi principali per cui si ottiene un insieme così limpido e potente. Basta poi sentire l’incipit di Capodanno, seguìto al finale in esplosione e troncato di Daccapo, per capire che il groove gira e non si ferma, passa da una canzone all’altra senza perdere un colpo.
Poi c’è la title-track. Il pezzo diverso, che arriva quasi alla fine dell’album. Davvero non se ne sentiva l’esigenza, perchè l’album non ti dà tempo di pensare a cosa manca, perchè non manca nulla, ma Ortografia (la canzone) arriva ed è un altro bastardissimo valore aggiunto, perchè supera tutto quello che c’è stato fino a ora, con la sola forza degli strumenti, con poche parole, un basso tritatutto o tappeto ampio e morbido, le chitarre che riempiono ogni buco, la batteria che non si ferma un attimo nella ricerca di qualcosa di nuovo, con le melodie e i suoni apocalitticci e sporchi dei Sonic Youth filtrati dai Marlene Kuntz, solo rinfrescati da una forza incredibile, che i padri citati hanno perso.
I testi allo stesso tempo delicati e cattivi (realistici) la fanno da padroni in (quasi) tutto l’album: ritornano nei versi cinici di Ogni colpo è l’ultimo, ultimo proiettile di Ortografia, dopo averci lasciati un pò soli e spaesati nella title-track. I testi sono uno dei punti di forza dell’opera, le danno freschezza e movimento. Un pò come fanno la chitarra, il basso, la batteria. Cioè praticamente tutto quello che c’è nell’album.
I Minnie’s oggi sono quelli della foto, la prima in alto, o anche l’altra nella libreria: Luca, Yuri, Ale e Viole.
Io amo questo disco.