Intro
Il disco nuovo di Cosmo si chiama Cosmotronic (è quello qui sopra), dura un’ora e tredici ed è diviso in due parti: la prima di nove canzoni cantatissime, la seconda di sei, quasi solo strumentali e più simili a un lungo dj set. I testi della prima parte non sembrano parlare davvero del loro autore, e nemmeno fingere di farlo, ma sembrano desiderare fortissimo di essere di tutti. Dal punto di vista ritmico, le basi e le parole sono molto ben equilibrate: le prime mettono in risalto e “lanciano” le seconde e viceversa. In questo senso, la costruzione delle canzoni è calibratissima. Ne risulta una forte sensazione di pulizia e perfezione, che si sposa bene con i suoni, limpidissimi. Suoni che dal punto di vista estetico entrano in corto circuito con i testi, non tanto con quelli sul ballare e divertirsi, quanto con quelli sul malessere. Retto da suoni di calibro opposto, il messaggio di insoddisfazione non si rafforza ma vi si perde dentro. Quando si parla di divertirsi tutto sbomba, quando si tenta di andare un po’ più a fondo dei temi non funziona perché il suono va nella direzione opposta. Alla fine non c’è una corrispondenza tra le situazioni cantate (disagi, strappi, fastidi) e il suono che le accompagna. Una coerenza non necessaria, ma in questo caso l’incoerenza spara in direzioni opposte due elementi che, più amalgamati, avrebbero potuto dare di più.
In un’intervista al Corriere.it, Cosmo stesso ha soffiato sul fuoco del disco politico. “La mia ambizione è essere considerato pop e prendere il posto di chi fa pop adesso ma non parla di certi argomenti nei testi. (…) Sono politico ma non voglio parlare al circoletto” ha detto. L’aspetto propriamente politico non è del tutto afferrabile, non è mai completamente esplicito, è nascosto e intrecciato alle righe dedicate agli altri temi e alla fine è abbastanza insignificante. Per esempio, in Animali c’è un campione del “Coro delle lavandaie” della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Ok, però non è che per questo si possa definire Cosmotronic un disco politico in senso stretto. Per politico in senso di sociale, vedi più sotto.
Cosmodubbio 1
L’utilizzo di testi personali, sociali e/o politici su musiche dance gli ha fatto guadagnare il titolo di cantautore, pop-dance ma cantautore. Però, mi sembra che Cosmotronic abbia caratteristiche diverse rispetto ai dischi dei cantautori. Per dare più valore a un disco non bisogna ricondurlo per forza al cantautorato. “Cantautore” sembra un complimento, in realtà nel caso di Cosmo non lo è, perché è un termine che non descrive del tutto la sua musica. Non c’è un solo modo per scrivere canzoni, dice, ed è vero, però a me pare che le sue intenzioni non siano del tutto riuscite. Il meglio del disco si gioca sul divertimento che passa attraverso il ritmo, sul suo incalzare continuo, quasi senza pausa, per spingerti a ballare per sempre. È pop, appunto. Le basi e le voci sembrano messe insieme con una facilità estrema e questo giova di sicuro a Cosmotronic, ma le basi sono più curate rispetto ai testi, che a volte danno l’impressione di essere lì perché suonano bene e basta. Da una parte, la definizione “cantautore” manca di qualcosa: Cosmo è più che altro un dj che ha fatto delle basi e c’ha cantato su. Dall’altro, dalla sua dichiarazione al Corriere è chiaro che voglia raggiungere più persone possibili parlando di qualcosa di più, il che significa modellare in quella direzione le ritmiche e i concetti, semplificarli. Non so se sbaglio ma ho come l’idea che un cantautore debba riuscire nel difficile compito di scegliere non troppe, precise parole per andare a fondo dei concetti, il che non vuol dire per forza semplificare. Un dj, invece, non ha questo tipo di preoccupazione. Cosmo ha asciugato un botto forza ed efficacia delle parole rispetto ai temi che tratta, per privilegiare la parte ritmica, sulla quale è più forte. Infatti, nella seconda parte del disco non si sente la mancanza dei testi.
Cosmodubbio 1b
Questo Cosmodubbio ribalta quello precedente, nel senso che, se proprio vi piace l’idea che Cosmo sia un cantautore, direi che, facendo uno sforzo enorme, Cosmo è il Luca Carboni della dance. Oppure è il RAF (Tristan Zarra) degli anni ’10. E a me Carboni e RAF piacciono, non è una presa in giro. Di Carboni, ha la capacità di parlare di cose pese con parole che più leggere non si potrebbe. Di RAF ha preso Il battito animale e l’ha attualizzato: è così che ha fatto il disco, quella è l’idea alla base di tutto.
Cosmodubbio 2
Il volume rimane sempre quello, lato A e lato B. Nel lato B il suono cambia, si fa più oscuro, il ritmo meno melenso, più agitato, ma non è sufficiente perché non decolla mai con vero gusto. Anche quando alza il volume non è mai fino in fondo una scarica. L’inizio di Animali alza il battito (battito animale, nda) ma ha sempre quella patina di perfezione che lo frena. Ripetitività, compressione e perfezione dimostrano che Cosmotronic è ben confezionato ma lo privano di qualsiasi slancio che sfondi la barriera. E questo lo rende un po’ freddino.
Il Cosmodubbio più grande
Perché Cosmo si e Rovazzi no? Rovazzi è un tamarro, ma interpreta, forse incarna e sicuramente prende in giro il mondo di cui fa parte: giovani che si danno le arie per il macchinine che tirano a velocità inaudite in tangenziale, la spiga dei selfie, l’atteggiamento da spaccone, l’egocentrismo. Cosmo parla con piglio critico di quello che non va nella sua vita e in quella degli altri, è meno baraccone e più sottile nelle scelte che riguardano soprattutto i suoni. Ma il livello di approfondimento e analisi è lo stesso. Il motivo per cui Rovazzi viene considerato un idiota musicale è perché fa lo scemo e dice le cose in modo scemo. Ma Andiamo a comandare è un bel ritratto dei giovani più arroganti e l’idea di cantare con Morandi in Volare è geniale, anche il testo di quella canzone lo è. Tutto molto interessante è un po’ sotto tono ma ha fatto incazzare Salmo e Marracash, per questioni di plagio soffocate sul nascere, e quindi ha un senso. Solo se ci sei te feat. BigBabol non ha la botta di Andiamo a comandare e Volare, sicuro. Poi adesso si è messo a fare l’attore (distribuito Disney) – visto che nasce come youtuber avrà pensato: ci sta! – non credo che riuscirà, ma quello che m’interessa è la sua musica e quello che ci sta attorno. Rovazzi è del giro Fedez, J-Ax, XFactor e quindi Fabio Fazio, e per questo non lo vedo bene. Però i suoi testi e le sue basi mi danno più la sveglia rispetto a quelle di Cosmo. Cosmo è il classico autore scazzato, che scrive il male di vivere, con lo stesso atteggiamento di sempre nei confronti delle cose, distaccato ma anche un po’ partecipe in modo pessimista, quando è felice lo è in modo pacato. Sono caratteristiche che mi piacciono e in cui mi riconosco, ma non è riesco a giudicare sempre la musica in base a come mi si riveste addosso. A volte non la sento proprio mia. Allora considero anche quante idee ci sono, se mi fanno sbarellare o no. Cosmo ha poche frasi che bucano le cuffie, Rovazzi è fatto di ritmi e testi intelligenti e indirettamente critici, con un piglio più originale rispetto a Cosmo. Lo scopo di entrambi è quello di essere pop, quindi da questo punto di vista possono essere messi esattamente sullo stesso piano, perché tutti e due vogliono avere successo, solo che Rovazzi non ha remore e peli sulla lingua e la fa grossa, puntando anche a un pubblico diverso, tipo famiglie, bambini e cose così. Tra l’altro è odiato anche da chi non lo sa definire, da chi vede solo il lato caciarone, chi è infastidito dalla sua superficialità e dal suo modo di fare satira e lo critica perché lo destabilizza, da chi si spara tutto l’itpop ma Rovazzi non sta bene dire che ti piace, o da chi ascolta Daniele Silvestri e Niccolò Fabi. Cosmo non è riuscito a destabilizzare così tanta gente, ma solo ad assecondarne un po’ nelle paranoie e nell’atteggiamento passivo aggressivo. Rovazzi mi ricorda un po’ i Daft Punk.
Dubbio Cosmosonico
Per Cosmo, qualcuno resuscita i Subsonica come riferimento. Ma a me non li ricordano per niente. Boosta usava la drum machine, Ninja gli andava dietro con la batteria, le ritmiche erano influenzate da downbeat, jungle, Chemical Brothers e Domenico Modugno. Cosmo mette una dietro l’altra, come un flusso senza interruzioni, techno, abstract-house, post-dubstep e dreambeat. Nonostante questo, le basi risultano ripetitive. L’espressione più decisa del dubbio: boh! Nel senso che non so come ci riesca, a essere così piatto, nonostante tutte quelle derivazioni, che si sentono bene.
Cosmodubbio 5
Il Cosmo politico (cioè sociale). Non parla tanto di società, più che altro parla di se stesso e delle storie che si fa. Se facciamo un confronto tra i testi che parlano di lui e quelli che sconfinano nel sociale, escludendo quelli che in qualche modo riescono a fare entrambe le cose, vincono i primi. È vero che parlando di sé parla di noi e quindi di società (Ho vinto) ma il suo discorso è limitato. Nel senso che vale per ragazzi e ragazze più giovani, che si perdono a pensare perché hanno un nodo in gola, si bloccano su quanto è brutta la morte di una zia che ha lottato in una stanza di albergo e non ce l’ha fatta. La morte di una zia è bruttissima in generale, figuriamoci in una stanza d’albergo, non dico il contrario, ma quando passano gli anni sai da subito che lo devi accettare quando succede, fai anche fatica, ma lo accetti. È un esempio creepy me ne rendo conto, ma mi serviva per rendere il fatto che i testi di Cosmo dicono cose e si fermano lì, non prevedono né auspicano lo sviluppo della questione, l’evoluzione dell’atteggiamento (suo e di chi si immedesima) in qualcosa di diverso. Cosmo (classe 1982) è sociale perché molti ragazzi si riconoscono in ciò che scrive ma il suo pubblico di Cosmo è limitato. Non è obbligatorio, e quindi forse questo è un dubbio del cazzo, ma dove posso esprimere i miei dubbi del cazzo se non qui.
Cosmonclusioni
Non so, ma questo disco non mi convince. È chiaro che se cerchi una musica accondiscendente e che ti faccia ballare senza troppi problemi, va bene. Se però vuoi qualcosa di meno accomodante, che vada meno incontro al gusto del pubblico dell’itpop creandogli al tempo stesso un’alternativa ragionata, plausibile e zuccherosa e magari invece vuoi testi non per forza ironico-tragi-tenero-comici ma, non so, dritti al punto e più feroci, allora ascolti altro. E ascolti altro anche se non vuoi sentire un suono così chiuso e uguale a se stesso. Per esempio a radio Raheem l’altro giorno ho sentito per la prima volta gli Yombe, italiani, che non cantano in italiano ma mi sono piaciuti di più perché mi sono sembrati più curiosi di provare i ritmi, cambiare i suoni, allargare il respiro della produzione in un orizzonte internazionale. In realtà Cosmo inizia il suo tour oggi da Parigi, quindi all’estero ci va e penso e spero che abbia successo, ma la sua mi sembra una formula più vincolata all’Italia che non prende davvero in considerazione tutta l’ispirazione pop che viene dall’estero. Preoccupato di ampliare gli argomenti e di piacere di più, si chiude per assurdo in se stesso, in un suono (non un ritmo, un suono) statico e limitato.
Altri dubbi? Forse mi verranno, o forse no.
“Le canzoni non devono essere belle
Devono essere stelle
Illuminare la notte
Far ballare la gente”
(Jova)