Ozzy chiede “God Is Dead?”, Grillo risponde “Si, come il 25 aprile”, Letta chiosa “Però poi risorge”

Ovvero The Power of Rock III: David Bowie, Flaming Lips, EELS.

C’è stato un momento qualche giorno fa in cui tutti facevano riferimento alla morte e alla resurrezione di Cristo. Addirittura Nikki su Radio DeeJay. Grillo dice di esser stato ispirato da Guccini quando ha detto che il 25 aprile è morto, nel momento in cui Letta è stato incaricato di formare il Governo, proprio il 24 aprile. In realtà Grillo mente, e si è ispirato alla nuova canzone dei Black Sabbath, God Is Dead?, che ha iniziato a circolare il 20 aprile. Ma Grillo non ha capito il messaggio, perche God Is Dead? parla dell’11 settembre e alla fine è una canzone di speranza, che recita nelle sue battute finali “I Don’t Believe That God Is Dead”. Oh, quindi ha ragione Letta, che dice che Dio (e il 25 aprile) muore e poi risorge. Cosa ancor più sensazionale è che Guccini e i Black Sabbath sono d’accordo sul fatto che Dio risorge, Guccini alla fine di Dio è morto lo dà per certo, Ozzy (e Geezer Butler) no, ma lo dà 8 a 2.

Il dibattito tutto italo-inglese sulla morte di Dio si svolgeva mentre il Mondo iniziava a metabolizzare il nuovo album dei Flaming Lips The Terror, rivelatosi il vero Carmina Burana del XXI secolo. Perchè? Non so, forse è per il senso di maestosità racchiuso dentro a The Terror. Senza esagerare. The Terror forza molto la mano sulla psichedelia lisergica (azz!) dei Flaming Lips, ma spara anche quelle batterie che gli amanti del loro lato brillante aspettano sempre, in segreto, sussurrando mmm, quando arriva la batteria? Io, un pò, sono uno di quelli che gli piace farsi le storie con la dilatazione, ma quando arriva la batteria sono contenti. I Flaming Lips non sono nè inglesi nè tantomeno italiani, non hanno scommesso sulla resurrezione di Dio, ma mi servivano per dire che il loro album nuovo è una buonissima novità. Aggiungo questa postilla: ammetto di non sapere perchè, ai fini del mio discorso interessantissimo sugli album che hanno un senso, ho scritto queste cose sui Flaming Lips. The Terror ha un senso, ma non legato particolarmente al senso generale del discorso, non qui.

Il puro dibattito tra Italia e UK sul decesso di Cristo proseguiva in pieno nei giorni scorsi con la discesa in Italia di Tricky, per tre superdate (Trezzo sull’Adda, Bologna, Roma). Di certo Dio sul palco di Bologna l’ha visto solo Tricky, ma noi no. Dopo la recensione del live della settimana scorsa, dico che sono convinto che False Idols sarà un album che spacca. Per il resto, posso considerare chiuso il capitolo live di Tricky, visto che tutti sapevano che dal vivo son cinque anni che fa cacare, tranne me.
Tempo fa (eravam di marzo) in effetti Dio era arrivato, ma non stava tanto bene: David Bowie è uscito con un disco, The Next Day, che sarebbe stato bello 30 anni fa, forse. Non ho ben compreso la copertina. Leggo su Wikipedia “L’immagine di copertina dell’album è una versione riadattata della cover di Heroes, del 1977… L’oscuramento della fotografia vuole indicare una dimenticanza o cancellazione del passato”. Stupido io che prendo la Wikipedia come fonte realmente attendibile di informazioni, ma di fatto quell’interpretazione è quella più immediata, alla portata di tutti insomma. E allora mi chiedo perchè molte canzoni suonano, e non sono solo io povero stronzo a dirlo, come molte canzoni del periodo berlinese, della trilogia Low/Heroes/Lodger, della rinascita artistica, del post depressione, chiamiamola un pò come ci pare. Dimenticanza? No. Cancellazione? No. Rielaborazione? Bo. Non è una presa in giro, non possiamo pretenderla. Di problemi David Bowie ne ha avuti molti, e non possiamo fare finta di no. E The Next Day è solo un album sgonfio come un SuperTele forato, da una rosa però, non dal morso di un cane che vuol giocare. Un album sgonfio di un antico eroe che fa fatica ad andare in pensione: sarebbe come chiedere a uno dei nostri vecchi di prendere in considerazione con leggerezza la possibilità di smettere di lavorare. In fondo The Next Day non è peggio di Reality del 2003. Questo è stato detto e scritto già da altri e già da un pò, visto che Neuroni è sempre sul pezzo… Ma è stato detto anche che The Next Day è un buon disco.

Obama con la chitarra elettricaForse bisogna ricalibrare l’idea di dio, non cercare di farlo suonare come suonava in passato ma pensare a come suona davvero, e trovare per i fatti nostri e per altre vie nuove idee e nuove ispirazioni, considerando che i grandi luminari, musicali e non, sono sempre alle prese con domande e problematiche più pregnanti per loro e non toccano mai le nostre corde: David Bowie si rifà il trucco, Grillo dice che il 25 aprile è morto e Letta gli risponde pure, Ozzy Osbourne si chiede se Dio è morto, e cose così.
Che pure, un dio, anche se passeggero, dobbiamo averlo, altrimenti non ci passa. Non c’è bisogno di qualcuno che si proponga, o che ritorni, ma di musiche e testi che rispondano alla nostra realtà, tangibili, vicini, qui. Di dischi ovattati e protetti ne abbiamo sentiti e ne sentiremo molti, le star in terracotta nascono come i funghi. Naturalmente è un discorso assolutamente soggettivo, ma non ce ne frega un cazzo di chi scimmiotta un’idea del passato o tenta di mettere su disco un’idea che è prima estetica, nel senso più basso di apparenza, poi musica. Perchè poi si capisce che non c’è niente dentro. Fenomeni come Anna Calvi o Lana Del Rey, che canta dando voce alla sostanza di una caramella e di cui anche Panorama scrive che sul palco è legnosa, quanto possono durare non sappiamo. Probabilmente faranno altri 20 dischi tutti stupendi, e Neuronifanzine non avrà capito niente.

Che poi non c’è bisogno di fare un disco rivoluzionario per fare un bel lavoro. All’inizio dell’anno è uscito, per esempio, Wonderful, Glorious di EELS, che è il solito EELS ma un pò più ispirato rispetto alle ultime uscite, ispirato un pò come lo era in Soul Jacker e pure decisamente più in bolgia. In fondo l’importante è che, dalle band all’ennesimo album, ci venga dato un segno di vita, un colpo che sta a significare che non è tutto totalmente finito ma c’è ancora la voglia di fare senza arrotolarsi su se stessi. David Bowie ha fatto un album guardando solo a se stesso, con gli occhi chiusi, si capisce già dalla copertina. A quell’età, non si può. Wonderful, Glorious ha quello che è mancato a EELS negli ultimi anni in termini di parole e testi (Kinda Fuzzy) e di amore per il suono (Bombs Away). Sempre intimista, sempre giocoso, sempre lui. Ma forse grazie a un miracolo EELS è tornato a raccontarci i fatti suoi e a fare i giochini con gli strumenti senza infondere, alla fine, una gran tristezza (New Alphabet può dare un’idea di come è ben arrangiato e scritto tutto il disco). Gli ultimi album prima di questo li ascoltavi li ascoltavi ma arrivavi ad apprezzarli solo fino a un certo punto, senza trovare un vero motivo per cui ascoltarli altre 1000 volte. Non tutti i dischi che ti piacciono li vuoi ascoltare 1000 volte, ma Electro Shock Blues fu uno di quelli.
Poi, Wonderful, Glorious è un disco lunghissimo, anche se non come Blinking Lights: l’edizione deluxe contiene 26 pezzi, di cui 8 live. EELS scivola di brutto solo in You’re My Friend. Per il resto va, senza il bisogno di fare troppa filosofia sul torno indietro, vado avanti, cancello, rifaccio.

Un disco onesto.

E la crisi non c’entra niente eh. È solo una necessità, quella di ascoltare cose che abbiano un senso, che non si arrampichino su significati assurdi o non cerchino di addentrarsi in idee vuote facendocele passare come artisticamente grandi.

The Power of Rock 2, incontri ravvicinati del tipo dark glitter

Trovo piacere ultimamente nel sorseggiare il succhino di mela della Selex. Purtroppo la vita non può essere solo un piacere. Non fa piacere per esempio tagliarsi sotto a un piede con una cozza al mare; non fanno piacere l’incomprensione e l’incomunicabilità; non fa piacere rimanere scontenti dopo aver visto un film, così come non fa piacere la disillusione. Anni fa Dido ci deliziava con la sua dolce voce con canzoni ultrafamose in tutto il mondo ma altrettanto semplici e quasi banali, comunque piacevoli. Più o meno nello stesso periodo, Goldfrapp, uscita o quasi dal trip Tricky, dava alla luce il suo secondo album Black Cherry (2003). Non so perchè ma lo ricordo come un disco allora validissimo. Ma se dovessi riascoltarlo adesso, con il saggio senno di poi, non ne avrei voglia. Solo un anno prima era uscito il molto più apprezzabile (ancora oggi), molto più eroina We Are Science di Dot Allison: ecco cosa ci voleva in questi giorni, per farmi capire perchè ascoltavo certe cose. Senonché, preso dalla voglia matta di trovare qualcosa di simile ma più attuale, ho ascolato, fidandomi delle voci, One Second of Love di Nite Jewel. Mai cosa fu più sbagliata. Ecco allora che il secondo appuntamento con The Power of Rock diventa anche l’occasione per citare la pericolosissima deriva musicale dell’elettro pop verso un dark posticcio, rappresentata dagli Austra et similia, band seguite da nuovi strani intellettuali in pantacalze ghepardate che gridano al miracolo ogni volta che sentono un ritmo elettronico con uno sputo di anni ’80, mentre si trovano di fronte all’ennesima cacata in tuta dark con brillantini. Generalizziamo, si.
Scrolliamoci di dosso i brllantini e torniamo in noi, ho pensato poi in questi giorni. Di piacevole ascolto si parla quando si parla dell’ultimo dei Dirty Projectors, Swing Lo Magellan. Si tratta in effetti di una cosa che non c’entra nulla con ciò di cui si è parlato sopra, ma è uno di quegli album che fa allargare i bronchi e passare alcuni dolori, in grado sia di compiacerti un pò con passaggi che di più vecchi non ce n’è (la chitarra in Offspring Are Blank) sia di appoggiarti la mano sulla spalla con suoni d’altri tempi e ricordi solo un poco lontani (Swing Lo Magellan). Just From Chevron ha però un sapore nuovo, ed è in questi momenti che pensi che per fortuna ci sono dischi così: con un obiettivo, comporre e suonare in modo anche irregolare, ma melodico e personale. Maybe That was It è il pezzo più dondolante dell’album, un vero bjoux. Tra l’altro, i Dirty projectors hanno una discografia densissima (11 uscite dal 2003). Suona in modo assolutamente originale The socialites, un incrocio tra una canzone scema e una più che seria scrittura d’autore. Sentite come canta lei. Ultima canzone citata, che merita un applauso per la base bizzarra e i cori femminili molto ben piazzati: See What She Seeing.
Simili vaccate, ma sincere, potrebbero essere scritte anche per Huh? degli Spiritualized. Huh? è solo un pò più hard a tratti, ma ugualmente attaccato al passato con una spinta a un futuro decisamente impreciso. Jason Pierce un pò si è trasformato, un pò no. L’album è solo un pò forzato e quindi dopo l’entusiasmo iniziale per Hey Jane (forzatura cool e instopabili in stile Black Keys) o l’adorabile pinkfloideggiare di Mary e Get What You Deserve, subentra un pò di stufa. Non ditemi che non è una marchetta gigante Headin’ For The Top Now. Quella di Too Late rimane comunque una melodia ruffiana ma indimenticabile; e, per gli amanti di Sparklehorse e tiraggi folk anni ’90/’00 c’è la splendida Freedom.
Per chiudere in bellezza, e ritornare un pò ai suoni fake di cui agli Austra, ecco che arriva sulla nostra scrivania Red Night di The Hundred In The Hands, che pare eccitante e sopra le righe sin da Empty Station, canzone di apertura. A cosa vi fa pensare un pezzo come Come With Me? A niente in effetti… ma probabilmente loro (The Hundred In The Hands) sono contenti. La percezione è strana, perchè sembra di ascoltare del rumore sottovuoto. Ci sono passaggi più completi di quelli sentiti in passato e in quest’anno di esplosione elettro dark glitter (Keep It Low e Stay The Night), che rendono anche piacevole l’ascolto, ma poi scendiamo di nuovo nel baratro con i dududududu du du du di SF Summer. Sono un limitato, non è roba per me.
Ecco perchè The Power of Rock ha sbagliato. Scendendo a compromessi con simili realtà musicali non si ottiene che schifo. The Power of Rock ha deluso questa volta, e siamo solo all’episodio numero 2. Figuriamoci che futuro. Però sentitevi Swing Lo Magellan, che viaggia su livelli ben più alti.

The Power of Rock 2012 prima parte

Mission of Burma

Mission of Burma

Ah, il rock… È quella roba che se ti prende durante i teneri anni dell’adolescenza non ti molla mica più. È una cosa quella lì che ha una potenza inaudita. Una volta due miei amici uscivano con la stessa ragazza, si odiavano. Poi una sera ci fu un concerto rock e andammo tutti e tre, escludendo la ragazza. Hanno scambiato due parole (“Ciao”, “Ciao”) e non hanno fatto pace, ma si sono mossi insieme per vedere il rock, e non si sono presi a pugni. L’ho raccontato a un altro amico. “The power of rock!” ha commentato lui. Era Mario Macerone.
E proprio in onore del grande Mario Macerone scrivo questo articolo “The Power of Rock 2012 prima parte”, senza sapere se ce ne sarà una seconda. Si tratta di un’idea estremamente imprecisa, senza pretese: considero gli ultimi dischi rock che ho comprato e scrivo due righe su quelli che mi sono piaciuti di più, o di meno. Nessuna velleità enciclopedica, o di rubrica completa. Nessuna volontà di scrivere solo su roba nuova, o vecchia. Entrambe.
Here We Go.

Lee Ranaldo Between The Times and The Tides

Between The Times and The Tides Lee Ranaldo

Lee Ranaldo ha fatto uscire per Matador Beetween the Times and the Tides. Grazie al cielo è un disco in cui la sua chitarra si sente un bel pò, in cui Ranaldo non si vergogna di fare uscire la (sua) parte viva dei Sonic Youth. La fantasia non gli manca, Ranaldo lo dimostra nei casi in cui l’arrangiamento diventa intrigante e pure complesso. Non gli manca neanche un lato tenero. Ma quando parte, riesce a scheggiare quasi quanto in passato, quando era insieme al prode Thurston Moore (& Co.): nel 1992 in Wish Fulfillment di Dirty, o nel 1988 in Rain King di Daydream Nation… o in Skip Tracer di Washing Machine, 1995.

A+E Graham Coxon

A+E Graham Coxon

Anche Graham Coxon ha fatto uscire un disco negli ultimi mesi. Si chiama A+E. Coxon l’avevo abbandonato prima di Love Travels at Illegal Speeds, quindi dopo Happiness in Magazines. Mi sono pentito di averlo fatto. Questo tizio è in grado di tirare fuori una chitarra che ancora urla, e che a volte miagola. In fondo credo che sia questo uno dei segreti di Coxon. Se segui solo quello che fa la chitarra durante le canzoni, è come passare a fare un salto dal macellaio, dove la tenerezza della carne contrasta senza successo la violenza della mannaia. Le capacità chitarristiche di Coxon erano già chiare nei Blur, ma dovevano essere liberate ed esplodere per manifestarsi appieno. E se a riascoltare 13 (1999) o Think Tank (2003) dei Blur a distanza di anni l’età si sente, a riascoltare The Sky is Too High o The Golden D (il primo e il secondo del Coxon, 1998 e 2000) non si nota neanche un capello bianco. Tra l’altro, in The Golden D Graham Coxon rifaceva That’s When I Reach For My Revolver, pubblicata nell’EP del 1981 Signals, Calls, and Marches dai Mission of Burma. Negli album solisti, Coxon abbatte ogni limite e possibilità di confronto: è lui che crea il sound, che, nel caso di A+E, è estremamente differente da una traccia all’altra (passate da The Truth a Seven Naked Valleys, o da Running for Your Life alla strofa di Bah Singer… e tenete presente che poi arriva Knife in The Cast). Ed è la chitarra che fa la differenza, non il resto.

Vs. Mission of Burma

Vs. Mission of Burma

È un piacere ri-scoprire a 33 anni, dopo qualche anno di polvere, un disco come Vs. dei Mission of Burma (1982). Con gli Husker Du, un altro gruppo americano anni ’80 sconvolgente. Vs. è stato pubblicato su Ace of Hearts Records ed è il primo album della band. Dentro Vs. c’è tantissima carne al fuoco: c’è l’elettronica, c’è il punk-rock, il cantautorato, la melodia, la distorsione, la noia, la rabbia, la depressione. Secrets è il brano che apre l’album e lo porta in una dimensione molto vicina ai migliori Sonic Youth, che proprio nel 1982 esordivano nel mercato discografico, con il primo EP. Poi c’è Trem Two, una ballata spiazzante, con un giro di chitarra (by Roger Miller) dolce e sospeso tra cadenze lente e ammalianti. È la canzone di cui mi sono innamorato su YouTube e che mi ha spinto a ri-cercare il cd.

Vs. è una sorta di sinfonia punk-rock-noise, senza compromessi, perchè libera da un contesto, seppur legata alla “scena” (ma c’era poi la consapevolezza di una “scena”?) indie americana anni ’80, attaccata a un’idea di canzone che va ben al di là della semplice idea della strofa, del bridge e del ritornello. La sposa, questa idea, ma la sconvolge, rivelando i suoi anfratti più misteriosi, con suoni meravigliosi.
Chissà se pensate che scrivo un mucchio di stronzate. Rimane comunque il fatto che continuo a immaginarmi un mondo in cui gli stronzi si combattono facendogli sentire la chitarra di Roger Miller in Trem Two, o la chitarra di Lee Ranaldo che salta su e va alla carica, o quella di Graham Coxon che trasforma le note da stupidine a un insieme di grandi idee geniali. In questo modo, contro gli stronzi, abbiamo un’arma (la chitarra rock) e ben tre tipi (differenti) di proiettili.