Mission of Burma live, Bologna – A volte basta un pò di pomata

Mission of Burma live al Locomotive a BolognaC’è chi la chiama ruggine, c’è chi la chiama difficoltà. Qualunque cosa sia, i Mission of Burma ne hanno un pò. Io la chiamo artrite, ammetto che la paternità di tanto slancio linguistico non è mia, e che l’incipit di questa recensione è un pò ultras, ma va bene così, come diceva Vasco Rossi. Ammetto anche che in me vive una parte trash, che non vorrei, ma che si manifesta ogni tanto. Per esempio una settimana fa tornando a casa dopo il concerto dei Mission of Burma al Locomotiv di Bologna, nella tristezza più totale, mi è piaciuta molto la canzone di Rihanna e Chris Martin, dal titolo agghiacciante Princess of China. La trasmettevano alla radio.
Quindi, la notizia è: ho visto i Mission of Burma dal vivo, il 9 dicembre. La scaletta ha preso pezzi dal confusionario ultimo album Unsound e dai lavori realizzati nel XX secolo e in principio del XXI. Non è stato triste, come forse ho dato a intendere, ma c’è voluto tempo, c’è voluta pazienza per apprezzare le doti del trio dinosauro. Che poi, voglio dire, in giro ci sono ancora i Jethro Tull e Paul Maccartney a rantolare sui palcoscenici, di cosa mi lamento.
I Mission of Burma sono prossimi a Caronte. Del resto le luci sul palco avevano un che di aldilà piuttosto eloquente, un che di infermeria del Paradiso. Insomma questo concerto non decolla, pensavo, ci sono delle ossa da impomatare: i ragazzi (si fa per dire) erano molto irregolari nel produrre il suono che mi aspettavo. Vedevo in difficoltà il batterista Peter Prescott in particolare. Strano, perchè comunque è quello che fa sempre più movimento degli altri. Certo, nemmeno Roger Miller era un fuscello al vento. Se escludiamo qualche espressione di dolore, Clint Conley è quello che se la portava meglio.
Dopo un pò, la pomata per gli arti anchilosati ha incominciato a fare effetto e sul palco sembrava ci fossero gli One Direction. E Roger Miller era come il Neil Young più ciondolante e meno inchiodato. Alle sue spalle, una sezione ritmica che più sudava più si rigenerava. Al suono c’era chi spossava le manopoline del mixer per far uscire una valanga di propedeutiche distorsioni, elementari e più che efficaci: Bob Weston, il basso degli Shellac, non la chitarra dei Fleetwood Mac. Ecco il massimo che ho saputo fare per avvicinarlo.

Bob Weston (Shellac), ingegnere sul suono dei Mission of Burma

Martin Swope è andato in pensione nel 1983, alla separazione dei Mission of Burma, in seguito ai problemi di udito di Miller, Weston l’ha sostituito come tape manipulator e ingegnere del suono nel 2002, alla reunion, dopo aver contribuito a registrare gente come Rachel’s, Sebadoh, Polvo, Chavez e Nirvana, in compagnia dell’amico Steve Albini. Weston è sembrato l’unico lucido da subito, dall’inizio del concerto, anche senza pomata, e senza sudare.
Da Trem Two, la rivoluzione: quella canzone ha segnato la resurrezione e i Mission of Burma hanno incominciato a girare alla perfezione, come un diesel, come si diceva una volta, fino alla conclusiva That’s When I Reach For My Revolver, uno dei migliori pezzi punk rock mai scritti, coverizzato anche dalle band degli scout, e da Graham Coxon. Ed è con That’s When I Reach For My Revolver che i Mission of Burma hanno sputato il sangue, e l’hanno fatto alla grande, per presentarsi poi freschi e indossando magliette pulite al banco delle T-shirt e dei cd, per venderli. Per venderli.
Insomma, queste poche righe sono in effetti troppo poche per esprimere appieno quanto ho desiderato che il concerto decollasse il prima possibile e quanto alla fine, dopo la pomata, ho amato il loro live, anche perchè: 1) di album come VS. (XX secolo) ne ho sentiti pochi; 2) ho apprezzato tantissimo il gesto della maglietta pulita, quando l’hanno indossata per scendere in mezzo al pubblico.

The Power of Rock 2012 prima parte

Mission of Burma

Mission of Burma

Ah, il rock… È quella roba che se ti prende durante i teneri anni dell’adolescenza non ti molla mica più. È una cosa quella lì che ha una potenza inaudita. Una volta due miei amici uscivano con la stessa ragazza, si odiavano. Poi una sera ci fu un concerto rock e andammo tutti e tre, escludendo la ragazza. Hanno scambiato due parole (“Ciao”, “Ciao”) e non hanno fatto pace, ma si sono mossi insieme per vedere il rock, e non si sono presi a pugni. L’ho raccontato a un altro amico. “The power of rock!” ha commentato lui. Era Mario Macerone.
E proprio in onore del grande Mario Macerone scrivo questo articolo “The Power of Rock 2012 prima parte”, senza sapere se ce ne sarà una seconda. Si tratta di un’idea estremamente imprecisa, senza pretese: considero gli ultimi dischi rock che ho comprato e scrivo due righe su quelli che mi sono piaciuti di più, o di meno. Nessuna velleità enciclopedica, o di rubrica completa. Nessuna volontà di scrivere solo su roba nuova, o vecchia. Entrambe.
Here We Go.

Lee Ranaldo Between The Times and The Tides

Between The Times and The Tides Lee Ranaldo

Lee Ranaldo ha fatto uscire per Matador Beetween the Times and the Tides. Grazie al cielo è un disco in cui la sua chitarra si sente un bel pò, in cui Ranaldo non si vergogna di fare uscire la (sua) parte viva dei Sonic Youth. La fantasia non gli manca, Ranaldo lo dimostra nei casi in cui l’arrangiamento diventa intrigante e pure complesso. Non gli manca neanche un lato tenero. Ma quando parte, riesce a scheggiare quasi quanto in passato, quando era insieme al prode Thurston Moore (& Co.): nel 1992 in Wish Fulfillment di Dirty, o nel 1988 in Rain King di Daydream Nation… o in Skip Tracer di Washing Machine, 1995.

A+E Graham Coxon

A+E Graham Coxon

Anche Graham Coxon ha fatto uscire un disco negli ultimi mesi. Si chiama A+E. Coxon l’avevo abbandonato prima di Love Travels at Illegal Speeds, quindi dopo Happiness in Magazines. Mi sono pentito di averlo fatto. Questo tizio è in grado di tirare fuori una chitarra che ancora urla, e che a volte miagola. In fondo credo che sia questo uno dei segreti di Coxon. Se segui solo quello che fa la chitarra durante le canzoni, è come passare a fare un salto dal macellaio, dove la tenerezza della carne contrasta senza successo la violenza della mannaia. Le capacità chitarristiche di Coxon erano già chiare nei Blur, ma dovevano essere liberate ed esplodere per manifestarsi appieno. E se a riascoltare 13 (1999) o Think Tank (2003) dei Blur a distanza di anni l’età si sente, a riascoltare The Sky is Too High o The Golden D (il primo e il secondo del Coxon, 1998 e 2000) non si nota neanche un capello bianco. Tra l’altro, in The Golden D Graham Coxon rifaceva That’s When I Reach For My Revolver, pubblicata nell’EP del 1981 Signals, Calls, and Marches dai Mission of Burma. Negli album solisti, Coxon abbatte ogni limite e possibilità di confronto: è lui che crea il sound, che, nel caso di A+E, è estremamente differente da una traccia all’altra (passate da The Truth a Seven Naked Valleys, o da Running for Your Life alla strofa di Bah Singer… e tenete presente che poi arriva Knife in The Cast). Ed è la chitarra che fa la differenza, non il resto.

Vs. Mission of Burma

Vs. Mission of Burma

È un piacere ri-scoprire a 33 anni, dopo qualche anno di polvere, un disco come Vs. dei Mission of Burma (1982). Con gli Husker Du, un altro gruppo americano anni ’80 sconvolgente. Vs. è stato pubblicato su Ace of Hearts Records ed è il primo album della band. Dentro Vs. c’è tantissima carne al fuoco: c’è l’elettronica, c’è il punk-rock, il cantautorato, la melodia, la distorsione, la noia, la rabbia, la depressione. Secrets è il brano che apre l’album e lo porta in una dimensione molto vicina ai migliori Sonic Youth, che proprio nel 1982 esordivano nel mercato discografico, con il primo EP. Poi c’è Trem Two, una ballata spiazzante, con un giro di chitarra (by Roger Miller) dolce e sospeso tra cadenze lente e ammalianti. È la canzone di cui mi sono innamorato su YouTube e che mi ha spinto a ri-cercare il cd.

Vs. è una sorta di sinfonia punk-rock-noise, senza compromessi, perchè libera da un contesto, seppur legata alla “scena” (ma c’era poi la consapevolezza di una “scena”?) indie americana anni ’80, attaccata a un’idea di canzone che va ben al di là della semplice idea della strofa, del bridge e del ritornello. La sposa, questa idea, ma la sconvolge, rivelando i suoi anfratti più misteriosi, con suoni meravigliosi.
Chissà se pensate che scrivo un mucchio di stronzate. Rimane comunque il fatto che continuo a immaginarmi un mondo in cui gli stronzi si combattono facendogli sentire la chitarra di Roger Miller in Trem Two, o la chitarra di Lee Ranaldo che salta su e va alla carica, o quella di Graham Coxon che trasforma le note da stupidine a un insieme di grandi idee geniali. In questo modo, contro gli stronzi, abbiamo un’arma (la chitarra rock) e ben tre tipi (differenti) di proiettili.