Teoria per scrivere recensioni liquide, al passo con The Life of Pablo

Il disco liquido esiste già, The Life of Pablo di Kanye West. “Disco liquido” è un’espressione che ho visto per la prima volta (almeno, io) in un articolo su Prismomag (vedi sotto, tra quattro paragrafi). Definizione. È “liquido” l’album pubblicato solo in streaming, in più di una release, ogni volta aggiornato con versioni diverse delle stesse tracce e canzoni aggiuntive. Il supporto fisico diventa inutile e la musica si mette al passo con internet. Fare un disco liquido è infatti come scrivere un articolo su un sito e aggiornarlo con le novità sull’argomento quando ci sono. Cosa che succede già… tutto sta nel vedere come vengono fatte queste modifiche.

Quando sono entrato in casa editrice nel 2007 molti ritenevano che lavorare su internet fosse molto più facile, perché si può correggere quasi tutto in ogni momento. Sul cartaceo non è possibile. Da un certo punto in avanti non si può più fare niente, la stampa rende definitiva una rivista e l’unica salvezza (parziale) è rimediare nel numero successivo. È tutto vero, ma in quel modo si voleva rimarcare la superiorità della carta, proprio perché era una prova più difficile. Al contrario, internet era inferiore, non perché fosse meno autorevole, ma perché era più facile. La conseguenza fu una specie di senso di colpa, non del mezzo ma di chi ci lavorava. Quindi, se si trattava di un piccolo errore, potevi correggerlo, ma se per caso avevi in mente di riformulare una frase o approfondire un concetto, partivano le fisime e spesso si finiva per fare un nuovo articolo in cui si riprendeva quello vecchio. I motivi erano due: non bisognava ingannare chi avrebbe letto e, più semplicemente, non bisognava creare confusione. Due motivi sacrosanti, ma legati al fatto che non ci si era liberati di un modello vecchio, quello cartaceo, e non si riusciva a usare in pieno il modello nuovo, internet. Oltre ai passi in avanti fatti con il 2.0 e con lo sviluppo e l’ottimizzazione dei testi, caratteristiche che hanno reso definitivamente diverso un testo prodotto su internet da uno su carta, dal punto di vista della possibilità di cambiare i testi già pubblicati senza andare all’inferno, da allora abbiamo fatto fondamentalmente due passi in avanti. Il primo: si possono fare modifiche consistenti, a patto che siano visibili e che sia chiaro al lettore cos’è successo. Fino a qualche anno (o mese?) fa, la regola da rispettare sempre su internet era mettere una nota, una data, rendere evidente la parte cancellata con un barrato. Da un certo punto di vista era (o è, si usa ancora) correttezza, necessaria. Dall’altro era come un’errata corrige su una rivista. Il secondo: l’articolo si può aggiustare, aggiornare, ribaltare, senza segnalarlo. Succede nei siti di news, non in quelli di approfondimento, ma ha iniziato a succedere da un po’. Se una news è vecchia e non vale più, non vale più, punto, quello che è successo prima dell’ultimo aggiornamento si può integrare con l’ultimo aggiornamento. Nessuno viene ingannato, ma più aggiornato, perché riceve tutte le notizie più recenti inserite in un discorso continuo, organico. In più, non si crea confusione, se il testo è fatto bene.

Questo tipo di libertà rispetto al modello cartaceo non ha ancora conquistato i siti di critica musicale, forse perché una recensione è un discorso con una parte iniziale, uno sviluppo e una conclusione e non è sempre possibile cambiare l’ordine delle cose tenendo in piedi lo stesso discorso. Non sempre è possibile, ma potrebbe esserlo: si potrebbe aggiustare un concetto, che nella nostra testa ha preso un’altra direzione, cambiare alcune parole, aggiungerne altre e l’articolo corrisponde all’idea che abbiamo del disco adesso. Dovrebbe essere possibile senza incontrare nessuna opposizione della vecchia guardia sostenitrice del “segnalare tutte le modifiche”, perché solo in questo modo l’articolo è sincero e corrisponde davvero ancora alla verità. Una volta ho letto un’intervista a un critico musicale che diceva che aveva cambiato opinione su quello che aveva scritto anni prima ma quando l’ha scritto lo pensava davvero. La sincerità è fondamentale, anche se alcune volte ci sono direttive editoriali che non la tengono in considerazione. Con l’internet liquido, se chi scrive ha voglia di sbattersi, questo problema non esiste più. Alle critiche non sarà più possibile rispondere che l’articolo è stato scritto un anno fa e che sono cambiate tante cose, eccetera. Solo in questo modo si scrive sull’ueb* e non su una specie di carta, solo così si sfruttano fino in fondo le possibilità che ci danno le piattaforme su cui facciamo i siti, dove veramente l’idea su un disco può cambiare nel tempo, e l’articolo seguire la sua evoluzione. Sarebbe bello che i contenuti web sulla musica diventassero questo: quando il tempo e gli ascolti mi fanno cambiare idea su un disco, modifico quello che avevo scritto, quando esce l’album successivo e mi fa vedere sotto una luce diversa quello precedente, intervengo sulla recensione che avevo scritto, senza preoccuparmi di segnalare il cambiamento con date e barrati ma ricreando il discorso. Oppure, visto che internet ci dà la possibilità di usufruire di un numero infinito di pagine, ogni nuova versione potrebbe essere pubblicata in una nuova pagina, in un nuovo link, e la versione successiva essere collegata a quella precedente, e viceversa. È un lavoro potenzialmente infinito ma non è obbligatorio farlo con tutti i dischi, solo su quelli per cui lo riteniamo opportuno. Ed è potenzialmente infinito proprio come lo è il lavoro di Kanye West sul suo disco liquido.

Come per le notizie: a volte i redattori le aggiornano, altre volte, visto che la mole di modifiche e novità è molto impegnativa, scrivono un articolo nuovo. È ok, la libertà di scegliere non deve essere limitata dalla possibilità di aggiornare liberamente un articolo, le possibilità devono convivere. Non si tratta di mettere sullo stesso piano due tipologie di utilizzo diverse, ma di sfruttare la stessa tecnologia per entrambe, se serve, se vogliamo, se è possibile. La libertà di farlo oppure no è un’altra possibilità che ci dà il web. Nelle testate vere, sarà una decisione delle Direzioni. Nei blog, saranno affari dei blogger. Aggiornare le recensioni non è un metodo obbligatorio, è uno dei metodi, internet ce li mette a disposizione tutti e sfruttare tutte le opportunità che ci dà vuol dire anche scrivere usando tutti i metodi possibili. Si può continuare a scrivere solo segnalando gli aggiornamenti di volta in volta o non modificando in nulla quello che è stato scritto, ma così rimaniamo fermi lì, al libro di carta trasportato sul web. E per commentare, criticare o parlare di musica – una musica che non usa già più il supporto fisico ma lo streaming e tutti i vantaggi che dà – usiamo un sistema non al passo con la musica stessa. Ha senso? Quando la musica esisteva solo su supporto fisico, la critica esisteva solo su carta. Erano alla pari, immodificabili una volta stampati. Poi sono nati molti siti internet e la carta è stata giudicata superata. Da un punto di vista dei costi e della fruizione dei contenuti, è davvero superata. Da un punto di vista della creazione dei contenuti, non ha senso dire che è superata se non si usa un metodo veramente diverso per, appunto, creare i contenuti. Molti siti internet sono vecchi già appena nati, perché non usano davvero internet. E usare davvero internet non vuol dire (solamente) fare il bene ottimizzazione e cazzi e mazzi. In campo musicale, adesso, una scrittura al passo con la musica di cui tratta dovrebbe essere liquida. E allora bisognerebbe provarci prima di tutto con le recensioni sull’hip hop e l’rnb.

Da ora in avanti saccheggerò un articolo molto bello uscito l’anno scorso in agosto su Prismomag.com, Appunti per un pop consapevolmente liquido di Francesco Farabegoli. Tutti i virgolettati sono suoi.

“Il 14 febbraio 2016 esce in streaming esclusivo su Tidal il nuovo album di Kanye West, The Life of Pablo. Il rapper dichiara di non essere intenzionato a fare uscire il disco fuori da Tidal, e che con tutta probabilità non produrrà mai più dischi fisici. Kanye West non è nuovo a dichiarazioni del genere, e non ha molto senso mettersi lì a fare la tara. Il disco rimane comunque in streaming esclusivo su Tidal (una piattaforma di cui, ricordiamo, West è socio) per un mese e mezzo: dopo 400 milioni di ascolti, arriva anche su Apple Music, Spotify e Google Play. È il primo aprile del 2016. Il problema è che, in realtà, non è lo stesso disco”.

“Non esattamente, almeno. Kanye West ha effettuato la prima correzione al disco nel mese di marzo: la tracklist è cambiata, e in una decina di pezzi ci sono alcune modifiche – guest vocals inserite o eliminate, tracce separate in due, testi diversi, arrangiamenti diversi… Il 31 marzo, il giorno prima della release di Pablo sulle altre piattaforme, viene fatta ascoltare persino una nuova traccia al release party dell’ultimo disco di Yo Gotti. La traccia si intitola Saint Pablo e leakka su internet, finendo per un breve lasso di tempo su Apple Music. A questo punto il disco è uscito in tre versioni diverse”.

Non si tratta di un’idea innovativa. Come scrive Francesco a proposito del cofanetto di Zaireeka dei Flaming Lips, uscito nel 1997: “Il gruppo in effetti ha pensato i quattro CD in modo che l’ascolto stia in piedi anche ascoltandone uno singolo; in questo modo Zaireeka può essere ascoltato, virtualmente, in quindici versioni: quattro CD singoli, sei combinazioni di due CD, quattro combinazioni di tre CD e il play simultaneo di tutti e quattro. E poi bisogna considerare le microvariazioni, le piccolissime differenze di runtime da un player all’altro, la precisione nel riuscire a far partire tutte le tracce nello stesso momento; e poi ci sono il volume puro di ogni impianto da cui la musica esce, e le caratteristiche del suono che esce dagli amplificatori di ogni impianto. Il numero di variabili fondamentali coinvolte nel processo rende Zaireeka un disco radicalmente diverso ogni volta che lo si ascolta“. La vera novità del disco di Kanye West consiste nell’aver sfruttato a pieno le potenzialità dello streaming: il suo album non sarebbe stato modificabile allo stesso modo se fosse stato pubblicato sui formati tradizionali, mp3 compreso. Se Kanye West ha pubblicato un nuovo disco-aggiornamento del precedente, non ha senso vedere ancora in giro una recensione del disco che non esiste più e che non corrisponde più con l’idea che di quel disco vuole dare l’autore. O non ha senso non vedere l’aggiornamento di quella recensione.

Kanye West fa hip hop. Molte delle novità adesso passano per quel genere – anche se non solo, ma la maggior parte di quelle che sono più in vista e che hanno una maggiore diffusione. Di sicuro, di dischi rock (uso questa parola mettendoci dentro tutti i generi che possono entrarci) liquidi non se ne sono ancora visti. Anche Zaireeka era un’opera statica. Ma fino a quando resisterà il rock a fare solo dischi in modo tradizionale? Quando non resisterà più, chi avrà già iniziato a scrivere recensioni liquide, potrà dire di averlo fatto per primo.

Un disco rock fluido serve, e presto anche. Infatti… “The Life of Pablo, anche in questo un disco estremamente 2016, risponde con grandissimo intuito a uno dei più grandi bisogni dei dischi pop che escono oggigiorno: monetizzare su un hype istantaneo. Il clamore generato dal disco oggi batte il tempo del totale disinteresse che la gente manifesterà dopodomani: per allora tutti si saranno fatti un’idea della musica, l’avranno espressa sui social o avranno pubblicato una recensione da qualche parte. Non potendo contrastare la tendenza dell’hype a durare sempre meno giorni, l’artista pop si attiva per moltiplicarlo in più episodi temporalmente scansionati. Le continue ri-pubblicazioni di Pablo costringono il fan fedele a continui riascolti, quantomeno per il dovere di cronaca e/o nell’ottica di sgamare la prossima mattata di Kanye West”.

Ma ha senso la supremazia della tecnologia sulla musica e sulla scrittura? Le porta a migliorare se stesse? Per concludere in qualche modo, ritorno un attimo a cose che ho scritto sopra. Con la musica liquida, cambia il concetto di opera d’arte, che non rimane sempre la stessa una volta conclusa, ma si aggiorna. È migliorativa nella misura in cui è un cambiamento forte. E lo è. Nella scrittura, è migliorativa nella misura in cui la critica su internet non è più contestualizzabile, in nessun modo. Normalmente, bisogna sempre contestualizzare un disco, una recensione, porli in rapporto ai tempi in cui sono stati realizzati. Aggiornando l’articolo, o il disco, nascono ogni volta rinnovati, ricontestualizzati ad adesso. Non muore la contestualizzazione, che arricchisce il contenuto, muoiono solo i limiti che essa impone ai testi col passare del tempo. E quando non ci troviamo d’accordo con quello che leggiamo non avrà nessun senso dire “bisogna contestualizzare”, che attualmente è giustissimo. È un vantaggio o no? Quando si spoglia un’opinione della protezione del tempo, la si mostra nuda senza la possibilità di essere protetta da niente, in quel momento la si mette davvero davanti al confronto con gli altri, per quello che è e per quello che vale. Dal punto di vista di chi scrive, è una soddisfazione enorme non dover più temere la frustrazione (più probabile su internet – con le condivisioni – che non con la carta) di ritrovarsi di nuovo di fronte a una cosa che ha scritto tempo fa e che non pensa più, ripescata da qualcuno. Per ritrovare quello che si è scritto anni fa ci sono le riviste e i libri. Perché dobbiamo usare internet allo stesso scopo? Internet ci dà la possibilità di rimaneggiare, rivedere, sviluppare (su una stessa pagina o su pagine diverse) ripensare un’idea e l’impostazione che le abbiamo dato in un articolo. Usiamola. La musica si è messa al passo con internet generalista, adesso l’internet sulla musica deve mettersi al passo con la musica. Problema: negli articoli per cui scegliamo la modalità “aggiorna sullo stesso link”, rimangono i concetti che vogliamo far rimanere ma scompare lo storico. Soluzione: ogni scelta è perdita e ci porta a definire ancora meglio la strada che abbiamo preso, differenziarla in modo forte dalla carta, perché deve coincidere con noi, essere la nostra opinione, adesso. La carta è un mezzo diverso, non dobbiamo bruciarla tutta, ma usarla per i suoi scopi. Internet ci mette di fronte a una scelta: per scrivere una recensione, possiamo usarlo come se fosse più o meno carta o come se fosse internet. Dentro a uno stesso sito, possiamo usare entrambi i modi. Chi decide di aggiornare liberamente, sfrutta le possibilità che la tecnologia gli offre in modo coerente e con un occhio di riguardo allo sviluppo di un contenuto vero e corretto da un punto di vista critico. Chi decide di non farlo, no.

* questa splendida gag nasce dal fatto che, nelle mail che inviava ai clienti, un commerciale con cui ho lavorato fino a qualche mese fa scriveva sempre “offerte per l’ueb”.

Il pippone eccolo qua, il pippone del lunedì: il vinile che costa troppo e due esempi del contrario

pippa

Due venerdì fa sono andato al Brainstorm. Eh, un posto nuovo. Però c’è gusto a vedere molta gente sulle scale ad aspettare per entrare. Una delle cose importanti della serata è che hanno suonato tre gruppi in una volta. I Ricordi? credo che siano forti, ma aspetto di sentire l’ep che faranno per avere un’idea precisa, o più o meno, perché dal vivo devono rodarsi un po’, cioè a volte si sono persi, il bassista soprattutto. I SMNTCS sono lenti e inesorabili e a volte mi sembrava di stare dentro una palla di vetro con uno che mi urlava nelle orecchie, mi rendo conto che detta così può non apparire una sensazione piacevole ma è come una specie di oppressione unita a quattro calci in culo. Comunque stimolante. I Riviera dal vivo sono sopra ogni mia aspettativa (e ogni mia aspettativa era alta) e fanno un live set di venticinque minuti (circa) che potrebbe diventare la regola del live set. Venticinque minuti circa, palla lunga e pedalare.
Ma il pippone è per parlare del giro che ho fatto al banchetto. Ho comprato due dischi in vinile. Segue il cuore del pippone, in cui scriverò le caratteristiche delle parti che compongono i dischi che ho comprato senza sapere se sono corretti, per cui cartoncino, cartone, busta, centrino, ma soprattutto foglio e grammatura, saranno parole abusate molto in poche righe. Quello dei SMNTCS ha la copertina in cartoncino rigido robusto e una foto molto bella, geometrica ma disordinata, continua, davanti e dietro. La busta di carta nera fuori bianca dentro che contiene il disco al tatto sembra quella velina che usavo alle scuole medie per scarabocchiare con la matita bianca, solo un po’ più robusta, in uno spessore compreso tra un fabriano 4 nero e quella velina. Buona la grammatura (forse 100), il centrino ha un disegno geometrico e per niente disordinato. Dentro c’è il foglio con i testi.
Quello dei Riviera viene con la busta di plastica, e già è un punto a suo favore. In copertina c’è uno in moto che fa una piega e il pubblico (dietro) in visibilio, la busta bianca e nera è uguale a quella dei SMNTCS e il centrino ha due puntini sul lato B e uno sul lato A, che sarebbero stati benissimo anche sul centrino dei SMNTCS, le linee orizzontali, verticali e oblique della copertina invece sarebbero state bene con uno/due puntini sul centrino. La grammatura è la stessa dei SMNTCS, il vinile dei Riviera però è trasparente. Dentro c’è un foglio con i testi.
La maglietta dei Ricordi? è molto bella, e per ora che non hanno fatto dischi hanno solo quella. Forse la comprerò.
SMNTCS escono per Neat Is MurderFallo Dischi, Oceano Records, Salad Days Records, Blessedhands records, Indelirium e Raining Records. I Riviera escono per Black With Sap, Cause Care, Fallo Dischi, Fight or Fight!, Neat Is Murder, No Routine Records, Strigide Records, To Lose La Track, Trivel Records, Upwind Records. Dietro a questi nomi ci stanno delle persone, quelle che hanno mandato in stampa questi due (e altri) dischi, insieme, unendo le forze. Sabato ore 16e13: la missione è fare i link ai rispettivi siti su tutti i nomi delle etichette. Sabato ore 16e25: fatto. I dischi sono belli, dentro e fuori. Il fatto che siano belli dentro ha importanza. Il fatto che siano belli fuori ha importanza ma soprattutto vuol dire che c’è gente che si mette lì e pensa ai dettagli perché non ti vuole vendere una roba pur che sia, un disco così, ma un disco curato a un prezzo molto accettabile, 10 euro. Sono contrario alle edizioni in vinile che contengono i peli pubici dei musicisti e costano per colpa di quel pelo pubico 35 euro (l’ultimo disco di Jack White è l’esempio migliore di un insieme enorme di cagate messe dentro a un disco per aumentarne l’appeal perché evidentemente la musica non è abbastanza). Quello è proprio il metodo migliore per non far comprare vinile alla gente: imbottisci l’edizione di cose extra musica per far credere che valga la pena spendere quei soldi per un disco e ottieni l’effetto contrario. Se sei convinto che per convincere le persone a comprare un disco devi metterci dentro altre cento cose che non sono il disco vuol dire che non credi nel disco. Per cercare di venderne di più e sfruttare questa moda di merda di avere le edizioni deluxe, sbottano, si fanno tutti dei gran calcoli, credono che l’amore per il vinile venga dalla confezione esterna, quando viene dal suono che il vinile dà alla musica, quindi non c’entra niente con il gadget che ci attacchi fuori, i capi perdono il controllo della situazione e i prodotti raggiungono un prezzo di vendita troppo elevato. È un boomerang. Il modo migliore per fare il vinile è quello di SMNTCS e Riviera (ce ne sono altri che seguono gli stessi principi, ma venerdì ho comprato quei due e la pippa mi è partita in quel momento): un disco che non sia sottile come un’ostia, una buona grafica, un buon cartoncino. E una buona produzione dal punto di vista del suono. Il prezzo in questo modo può rimanere accessibile. Se lo fanno loro, lo possono fare tutti, certo ci sono etichette che ci vogliono tirare su di più di quanto non tirino su quelle che ho elencato sopra, ma comunque il prezzo, a essere ragionevoli, in generale, per le etichette indipendenti e non, non potrà mai salire sopra ai 18/20 euro, avendo un negoziante (se lo compri in negozio) che non ci ricarica sopra un eccesso. Ma non ho mai visto uno che ha un negozio di dischi salire sul mercedes ultimo grido. Io un disco a 18/20 euro lo comprerei.
Non bisogna per forza essere amanti del vinile per apprezzare il metodo di lavoro delle etichette che hanno stampato SMNTCS e Riviera. Non ti prendono per il culo e ti danno una bella edizione. Questo è il motivo per cui ho comprato questi dischi, oltre alla musica che c’è dentro. Credo sia indice di un’etica professionale molto alta: dò alle stampe un disco, per me è già una soddisfazione, però oltre a metterci dentro della musica che suono perché mi piace o che piace a chi la suona, e a registrarla con cura, ti faccio anche un bel vinile, perché così diventa più appetibile e perché voglio che quello che compri sia una bella cosa, ma non esagero mettendoci dentro il cartonato a dimensione 1:1 della band che mi costa più della stampa del vinile. Quello che vendono è il risultato di onestà intellettuale ed è fatto bene dal punto di vista produttivo. Erano mesi che volevo scrivere onestà intellettuale. Quindi io lo compro perché: mi piace la musica, mi piace la confezione, mi piace l’idea di dare una mano. E poi mi hanno regalato due toppe, una per ogni disco. Quel gesto lì secondo me dà la sensazione di essere tra amici, magari con quello che ti dà la toppa non c’hai parlato mai parlato ma se ti dà la toppa il rapporto classico tra cliente e venditore viene superato, perché non si deve creare, deve essere una cosa tipo io ti vendo il disco e tu me lo compri, ma potrebbe benissimo succedere anche il contrario, si crea una specie di amicizia alla pari (in negozio c’è sempre questa gara a chi ce l’ha più lungo). Magari la volta dopo che vi incontrate non ci si ricorda a vicenda le facce, ma quello che si crea è proprio quello. Non ditemi che ci si comporta in questo modo perché chi stampa dischi e li vende in questo modo non lo fa per lavoro, magari ha già un altro lavoro, ma lo fa perché gli piace. È vero, spesso, ma ho cercato di spostare la mia attenzione a un altro livello del discorso.
E le distro, venerdì c’erano due distro bellissime, quella di Neat is Murder e un’altra, credo Cause Care, c’era anche un bel logo grande, ma non ne sono sicuro. Qualcuno me lo dica quale distro era perché vorrei saperlo. Non credo che si dimentichino solo le cose poco importanti, si dimenticano anche le cose importanti, o comunque quelle che ti piacciono. Di chi era la seconda distro me l’hanno detto ma non mi ricordo.

Che poi alla fine, dai, era un pippino, non un pippone.