ASINO: MUFFA (e CRUDO)

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CRUDO era folle. Cito il giusto Pomini che su Rumore dice a proposito di MUFFA che “La matrice resta un punk-noise nervoso e incalzante che alterna accelerazioni e pesantezza” e aggiunge il suo però, e il mio però è simile al suo. Muffa è meno folle perché è quadrato ma incontrollabile: dà una sensazione di imprevedibilità, non sai cosa aspettarti al giro successivo – cosa che potrebbe valere per tutti i dischi del mondo ma di fatto non è così, alcune volte quella sensazione scema via via che ascolti -, è un album controllatissimo.

Quindi: Muffa
Chitarra e batteria si rincorrono quasi sempre molto velocemente, i loro movimenti sono gemellari, nessuna delle due abbandona mai l’altra e tirano fuori le cose all’improvviso, noi non lo sappiamo ma loro ovviamente si (Casa mia è tranquilla). Il gioco non stanca, resiste anche negli ascolti successivi ai primi.
Le voci con cui viene risvegliato l’immaginario ironico-popolare-politico (Chaplin nel finale di Il grande dittatore e Galeazzi che commenta l’oro olimpico in canoa) le ricordi subito facilmente. Ma quei due discorsi registrati, sentiti mille altre volte prima di questa, sono solo una parte del tutto e la loro funzione si triplica proprio per questo: Galeazzi diventa ancora più grosso, Chaplin ancora più giusto, perché gli ASINO li hanno incisi sul loro ep c’hanno messo una batteria e una chitarra sotto, solo grazie a questo, per dare respiro alle parole, a quelle sempre giuste di Chaplin e a quelle della bestia Galeazzi. Non servono per forza giri folli, ma solo un perfetto accompagnamento, sempre uguale, proprio come nell’ultimo pezzo (che si chiama … e che mi ricorda i Billie Mahonie). Basta sapere dove e quando attaccare e dove mettere gli accenti. Il discorso di Chaplin è di per sé esaltante, perché è Chaplin, un uomo di un’altra era. Ma la scelta di calmare chitarra e batteria per accompagnarlo mi sembra più importante: è la base musicale che fa il discorso principale e che attira l’attenzione appena entra la chitarra, perché entra più dolcemente che in altri momenti, e ti colpisce. Togliete a Galeazzi la base musicale e torna ad essere solo Galeazzi, già sentito molte volte. E invece no, La grande nave gonfia ancora di più il suo doppio mento e contribuisce a farlo diventare ancora di più una cosa unica, con la panza ancora più grossa. Chiudete gli occhi, fa davvero quell’effetto. Galeazzi senza gli ASINO non avrebbe quella spinta.
Tre anni fa ho visto dal vivo i Topsy The Great, due volte in un giorno, non capita sempre, anzi mai. Prima in un set breve in piazza, poi nel concerto vero e proprio nel paese alto, a Santarcangelo di Romagna. Al primo concerto ero disattento. Al secondo mi hanno fulminato. Poi ho conosciuto su internet la loro etichetta, la Fromscratch, che letteralmente vuol dire dall’immondizia, un concetto che musicalmente mi piace. Fromscratch è anche l’etichetta degli ASINO, e sul sito si può ascoltare MUFFA.

Crudo
Di cosa parlano i testi di Crudo? In realtà anche qui parlano molto di più gli strumenti, perché i testi passano da una cosa all’altra e si disperdono in mezzo ai percorsi di chitarra e batteria. Perdo il significato delle parole ma non quello degli arrangiamenti che non smarriscono mai il fuoco della situazione e il proprio scopo: dare corpo e braccia – in generale dare una forma a tentacoli, ma non troppi – a un ritmo che sia zoppicante ma anche stabile. Poi gli argomenti delle parole vengono fuori, Cristo è il primo tra tutti, ma sono funzionali al momento dell’esplosione o a quello dell’attesa musicale (Pre 67 DC). Alla fine dell’ascolto ti rimane in mano un pugno di parole e un sacco di linee composte da un rullante, una cassa e dalle corde distorte, un sacco di salite e discese e conseguenti variazioni continue delle battute, su un ritmo sempre uguale oppure no.
Dal vivo di parole degli Asino ne ho capite la metà. Ma non importa, perché c’è il momento del live e quello dell’ascolto del cd: poi, a casa, dal disco arrivo a capire l’ironia e la profondità, oserei dire biblica, dei testi, e vado oltre la bestemmia, che mi becca impreparato subito anche se non sono credente o praticante. Non è poi così frequente sentire una bestemmia su un cd e per forma mentis plasmata dal Paese in cui sono nato, nello stupore ci sono cascato anch’io, anche nolente. Bestemmia o no, chitarra e batteria vincono sempre la mia attenzione.
Chinaski ha un testo bellissimo, sulla vita. Dice una cosa molto semplice (vivi la vita) ma lo fa con una scelta di suoni e ritmi pieni e vuoti alternati che servono a dimostrarti che gli Asino hanno ragione, in un insieme velocissimo che sta tra One Dimensionale Man e screamo. Il ricordo degli ZEUS è dietro l’angolo, ma la velocità è inferiore, e così anche quello dei Lighting Bolt, ma la scia dei movimenti è meno pulita, più attenta a sporcare i passaggi, oltre a farli di precisione.

Mi sono bruciato con i coriandoli invece parla di carnevale.

Tornando a Muffa
Il primo argomento di Muffa è la storia, anzi la Storia, la Preistoria, con un incipit che ripercorre il pensiero dell’uomo su se stesso. “E pensare che una volta eravamo scimmie” dice. Riporta al mito del buon selvaggio, alle origini buone dell’uomo, denuncia la malvagità dell’uomo e prosegue anche il discorso di Scorsese e delle ganga di New York, attraverso le quali il noto regista ci spiega che siamo nati nella violenza, lui si riferisce alla società americana, noi possiamo prenderlo come opera cinematografica di riferimento sull’argomento sangue-potere-territorio. E prima ancora Preistoria ci ricorda il discorso di quelli che già nel XV secolo consideravano gli indios delle bestie (come Galeazzi, bestie) perché privi di capacità speculative e di qualità morali. Montaigne diceva invece che il selvaggio è tale perché così lo intendiamo noi, e noi lo intendiamo così perché è diverso da noi. All’origine di tutto c’è la scimmia, buona e ingenua, ma siamo sicuri che lo fosse? Eravamo scimmie, poi esseri selvaggi, e adesso siamo cattivi. Preistoria tradisce la possibilità che lo siamo sempre stati, che ne siamo sempre stati consapevoli, quindi non selvaggi, ma in qualche modo evoluti.
Ma cosa sto scrivendo?
Comunque, gli altri temi sono molti (la telefonia in Schiaphpho) e sono tutti importanti, idee create dentro alla scatola della chitarra e della batteria, come in Crudo. Belle tematiche e arrangiamenti a scheggia, ad assecondare una follia che ha un confine, perché in Muffa non ci sono derive strumentali infinite ma si rimane sempre dentro a un recinto di due-tre strofe, due-tre ritornelli a canzone. La scatola non sembra esistere quando ascolti, perché i giri ti rapiscono. E questa è una delle cose più belle di Muffa: è l’insieme di precisione, velocità e invenzione, e passa da un approccio art rock sporcato com l’emo core senza mai rovesciarlo come un calzino in grind ma piuttosto rallentandolo in attimi spoken word, poi slow core e un po’ jazzando, come sotto alla voce di Galeazzi in La grande nave.

Muffa è in giro da poco. Non cambia molto rispetto a Crudo, ma è meno dispersivo. La mia storia con gli Asino è più o meno la mia storia con cento altri gruppi, niente di rilevante: ho conosciuto Fromscratch, ho ascoltato Crudo in streaming, l’ho comprato on line, l’ho ascoltato a lungo, ho smesso di ascoltarlo, ho visto gli Asino dal vivo, ho riascoltato Crudo, è uscito Muffa, l’ho ascoltato. Alcune volte, se ho la possibilità di valutare un gruppo sia dal vivo sia su disco, se sulla bilancia ci sono due pesi uguali e se proprio voglio prendere una decisione in merito (meglio live o su disco?), passo da preferire uno a preferire l’altro per presa di posizione. Gli Asino suonano con una precisione invidiabile sia live sia su disco, ma è stato necessario scegliere una cosa o un’altra per poter capire il valore di entrambe, prima di una, poi dell’altra, poi dell’insieme delle cose, e alla fine arriverò in quel momento di stasi in cui aspetterò che esca qualcosa di nuovo degli Asino, oppure no. Dopo aver sentito Crudo e il concerto, avevo scelto il concerto. Adesso mi sembra di capire che non ci sia una grossa differenza tra Muffa e Crudo ma Muffa mi è piaciuto subito, perché ultimamente ho avuto la possibilità di conoscere di più il suono degli Asino. Muffa è una specie di esito finale di un percorso di scoperta, mi ha dato più spunti di riflessione, anche se alcune sono considerazioni superficiali sul buon selvaggio e giù di lì. Le parole su Muffa sono il risultato di ascolti degli Asino pre-Muffa. Per tutto questo, mi piace di più Muffa di Crudo, perché è un punto di arrivo, che sarà seguito da qualcosa che lo cambierà un po’, molto, oppure no.

ignoranza QUASI senza filtro (rubrica: a new era)

Qualche mese fa mi sono bullato del fatto che iniziavano ad arrivarmi sulla mail un po’ di richieste di recensioni. Adesso mi arriva di tutto, dalla merda fresca alle cose belle. E questa volta ho recensito di tutto, da gennaio a marzo. Ho messo dentro anche gli album che dopo la prima traccia tutti non li avrei ascoltati neanche morto (quindi apprezzate lo sforzo). Ho escluso quelli a cui penso sia forse il caso di dedicare non solo qualche riga, perché conosco i precedenti. Questo “metodo” è molto attaccabile perché magari un album di un baluba qualsiasi finisce per piacermi di più di uno da cui mi aspetto qualcosa e allora scrivo di più sul primo che sul secondo. Che poi in realtà è quello che spero. Questa volta però non è successo. Poi magari sugli album che ho lasciato da parte non ho cose intelligenti da dire e non scriverò mai più niente. Ma per questo vedrò. Comunque resta figo secondo me ricevere una richiesta di recensione di un disco ascoltato in streaming su Rockit, di cui Rockit parla poco ma bene, e parlarne poco e male, non per fare il bastian contrario ma perché secondo me è una cosa orrenda (I Robot) e le cose orrende che ti arrivano in posta vanno segnalate.

civetta

L’inverno della civetta. Progetto molto collettivo nato a Genova al Greenfog Recording Studio in collaborazione con DreaminGorilla Records (Savona) e Taxi Driver Records (Genova). Non so se valeva la pena di far fare della strada a tanta gente per arrivare a questo tipo risultato. Mi sembra tutto molto fatto con la carta copiativa e non sono bastati cotanti musicisti per tirare fuori un’idea. Senza cuore, mi pare. Una cosa indefinita tra grunge, metal, screamo, musica da monastero, city ramblers, orchestre fuzz e post rock e tutto questo contaminare potrebbe anche essere una caratteristica positiva ma non lo è. La Liguria suona così, o magari no, ma questo è quello che è saltato fuori questa volta.

sjesau exploding views

SJ Esau, Exploding Views (Fromscratch Records). Un disco superscritto e la capacità di essere il punto di incontro tra Mika, Doseone dei cLOUDDEAD (che collabora) e l’Anticon: sono due motivi per dire che Exploding Views è da ascoltare, come più o meno tutte le cose che escono da Fromscratch Rec. Superscritto è un complimento perché vuol dire che vengono fuori SJ Esau e la sua abilità nello scrivere – appunto – e che è scritto superbene e con supergusto, anche troppo. Ogni tanto mi piacerebbe che si sporcasse con qualche distorsione un po’ meno calcolata. Non mi piace tutto, ma è tutto molto al di sopra del livello.

low standards high five

Low Standards, High FivesRevolushhhh EP (Flying Kids Records). A parte che è la copertina più bella del 2014. Revolushhhh è un disco emo. Emo come i Crash Of Rhinos. Ecco. Chitarra circolare, batteria sfonda con un sacco di cassa, basso splettrato a scheggia, cori e ritornelli con la botta. Tornando alla copertina, non so in generale che ruolo debba avere in un disco, ma di sicuro uno importante. Questa un po’ mi fa intuire vagamente come suona l’EP, così come il nome Low Standards, High Fives. Le braccia al cielo non sono solo quelle di Lucio Battisti ma anche quelle a occhi chiusi, piedi che scalciano e bocca aperta a gridare un coro di Revolushhhh che ti piace. Consiglio quello di Flying High, Looking Down che è un po’ come tendere dal basso le braccia verso l’alto.

kairo

Kairo, 13 (Fallodischi, La Fine, Upwind). Il giro di copertine fighe prosegue, questa è la seconda di questa pagina, non la quarta. Dai quella di Exploding Views non è male ma non è il massimo, un po’ i Flaming Lips ospiti a Linea Verde, e quella con la civetta io in casa non la voglio. Di solito amo i dischi come 13, sinceri. Di solito e anche questa volta. 13 suona sfondo e basta, il cantante mette in piedi melodie che dire che sono tra il classico leggero italiano (Vestiti) e quello emo non è un’offesa ma una cosa possibile. Il resto è punk rock neanche troppo sgangherato, che può ricordare sia Minnie’s sia Altro. Se devo dire una canzone dico …una promessa, romanticona e con una batteria, un basso e una chitarra suonati benissimo. L’Amo è di Napoli, Kairo è di Napoli e Napoli suona così, credo.

gouton rouge carne

Gouton Rouge, Carne (V4V Records). Non è male ma è già sentito, power pop che copia abbastanza i Male Bonding addolcendone le distorsioni, con testi profondi e voci dilatate, o falsetti. Odio il falsetto. Un po’ New York un po’ italiano che fa l’americano che va benissimo ma lo fa male, poi vengono fuori i Jesus And Mary Chain che francamente come influencer hanno rotto r cazzo. Per il resto ci sono le cose più banali di Verdena, Tiger!Shit! e anche altro. Non credo che lo riascolterò.

I Robot, Australia (West Link Recorders). Praticamente Biagio Antonacci distorto e quello che avrebbero potuto diventare i Negrita se non fossero ingrassati. C’è un altro gruppo che si chiama Australia e ha fatto un disco che si chiama Robot. Se è uno scherzo, carino.

Ecole Du CielHeartbeat War Drum (V4V con Fallo DIschi, Hysm? e Qsdr). Post hc, post rock, non è che poi se ne sentisse la necessità, come di tante altre cose però. In più, credo che sia molto carente in termini di scrittura. Il che equivale a dire in questo caso: NOIA. Peggio rispetto al primo EP.

johnny fishborn

Se non fosse che Johnny Fishborn mi ricorda Brian Molko non sarebbe male. Ma solo il fatto che mi ricordi Brian Molko fa cadere ogni speranza che possa piacermi di qui fino alla mia morte. Quando ascolto musica contano anche le suggestioni, voglio dire, sono un metro di giudizio, mi entrano nel cervello e mi influenzano. Windmill Girl ha una bruttissima copertina, un basso con un suono pessimo e una pessima abitudine di entrare nelle canzoni con la delicatezza di un elefante, ma la cosa peggiore è il missaggio, forse causa del basso maleducato. C’è un non so che di glam che rovina il già difficile ascolto, dovuto al fatto che c’è qualcosa che non va tra gli strumenti, tutti suonati come se non fossero parte di canzoni ma pezzi incollati tra loro. Mi risulta tutto un po’ rigido insomma, nella volontà chiara di incidere il disco d’autore che gioca un po’ con la voce, con le sonorità, con le ritmiche e i titoli improponibili come Sun Salva Doors, così, come se la musica fosse un gioco ma in realtà no perché di base c’è qualcosa di insopportabilmente serioso in questo album. E magari Johnny Fisborn a scrivere canzoni non è neanche male, ma dovrebbe liberarsi dei pessimi musicisti di cui si è circondato e provare a scrivere solo per se stesso. E lavorare sulla voce, perché con questa voce qui Brian Molko mi incombe un po’ troppo. Ma poi no, anche nei pezzi più scarni di Midnight Rain e The Man Without the Bread c’è qualcosa di incredibilmente pesante e poco sincero. Mi sa che è irrecuperabile.

amanita phalloides

Con Amanita Phalloides (DreaminGorilla Records) sembra di tornare a quando andavano di moda pesantemente i piccoli suoni alla Commodore con le tastierine e i riverberini. Ma noi ci siamo rotti il cazzo e ascoltiamo solo elettronica tamarra. Quella non è una copertina. Proseguendo sulla strada della circa-elettronica, questa volta epica e sofferta, ecco qua Some Evil EP di Sequen_ce. Proprio non ce la facevi a chiamarti solo Sequence? L’underscore è una malattia. In effetti non c’è un genere sotto il quale si possa classificare questo EP, se non il non ti riascolterò mai più finché non deciderai di dare una cazzo di idea alla tua musica che così non mi rimbalza solo perché non è una palla. I tubatubatubatu cià in As I Don’t non ci volevano. Poi sono arrivato a Onironauta (Dischi Bervisti, Woodworm e DreaminGorilla Records) dei Kaleidoscopic, non oltre il quarto pezzo comunque, quello che si chiama come loro. Ho letto la presentazione del disco nella pagina privata, non bisognerebbe scrivere certe cose, si creano troppe aspettative oppure ti fai odiare, e poi l’album è screamo-metal-rockitaliano-filosofico-caciarone, cattivo gusto in tutto. Roba fatta molto peggio di quella che ascoltavamo 12 anni fa che già 11 anni fa non aveva troppo senso ascoltare. Non si può dire che sia roba vecchia perché c’è il revival e però insomma c’è modo e modo di revivalare. Acid Muffin non è un granché come nome, e anche l’EP chiamarlo Nameless non mi sembra il caso. Cazzo, cercate qualcosa di più originale, ho capito che fate musica Grunge, però gattini miei. Un EP Grunge più alla Bush che altro, con una chitarra solista che rovina il poco di buono che c’è anche perché in alcuni momenti il basso e la batteria sembrano ispirarsi a lei e allora basta subito. E il campanaccio, il campanaccio. Il missaggio è pessimo ma non direi che sta lì il problema. I gruppi che ho sentito in giro di recente e che fanno questa musica sembrano tutti della parrocchia. Svecchiatevi.

Inizio a pensare che il mio sia un metodo sbagliato. Alla fine infatti il problema è un altro: devo filtrare di più, forse, selezionare meglio quello su cui scrivo. Basta che respiri, praticamente, questa volta è andata così, ma non so se ripeterò l’esperienza. O magari lo farò sempre, non filtrare quasi per niente dico. Adesso vediamo.

Topsy the Great, FAMPOR (Fromscratch e Santa Valvola Records)

caltiki fampor

Il 10 marzo non stavo troppo bene. Niente di serio, influenza, però sono andato a dormire prima del solito. Qualche anno fa sono stato costretto per un esame (ma non ho fatto il DAMS) a vedere Caltiki, il mostro immortale di Freda, uno di quei film che piacciono molto gli appassionati del genere e agli americani. Contestualizzandolo (1959) non si può negare che sia una figata, soprattutto per gli effetti speciali artigianali, ma è difficile apprezzare fino in fondo un film così vecchio quando poi il cinema di mostri negli anni ha offerto ovviamente cose migliori, ed è difficile preferire sinceramente quegli effetti speciali a quelli di oggi. Caltiki è la Dea della morte. Uomini in cerca di avventura nella foresta messicana ne disturbano la pace e risvegliano un mostro delle acque, costruito con la trippa, che inizia a combatterli e ad ammazzare qualcuno di loro, rinnovando un’antica maledizione. Ogni tanto questo film mi torna in mente. Il 5 marzo i Topsy the Great mi hanno passato il loro nuovo album, Fampor, e ho iniziato subito ad ascoltarlo. La notte tra il 10 e l’11 marzo non ho dormito bene e ho fatto un incubo. Ho sognato di lottare con il mostro di trippa di Caltiki. Sotto, suonava Fampor, modalità random e senza interruzione tra una canzone e l’altra. Non è difficile pensare che io stia raccontando una cosa inventata, ma è così che è andata, in fondo era solo un sogno. Ricordo in particolare l’inizio dello scontro, con Croty e Scrozya; e poi Varryel, perché è quella che mi piace meno e in quel momento stavo per essere ucciso. Musica e immagini erano montate nel più classico dei modi: gli attimi più violenti corrispondevano ai momenti più veloci e distorti, quelli di studio dell’avversario ai ritmi d’attesa della seguente esplosione. Gyannesta, che inizia con un giro di chitarra quasi divertente e poi si distorce, non è stata divertente per niente, perché all’inizio il mostro si è preso gioco di me e poi me le ha date di santa ragione. Alla fine sono morto, su Lyndia.
Fampor è un album che m’ispira violenza, molto più di Steffald. Credo di poter dire che il secondo album è il continuo del primo: Fampor ha lo stesso modo di essere violento di Steffald, e questo è un bene perché vuol dire che i Topsy the Great non hanno smesso di pensare alla propria musica come a un modo di aggredire, non per far male a qualcuno, ma per dare un motivo per amare ancora il noise, facendolo lento, veloce, disturbante. Il noise qui è molto aggressivo, ed è fatto con una chitarra, un basso e una batteria, alcune volte è più facile, altre meno. Esattamente come è sempre stato. Ma i Topsy the Great hanno una carta in più da giocarsi, quella del suono live. Se mettete su Fampor, sembra che vi suonino di fianco, e la batteria sembra sempre al limite del tempo su cui deve essere, sta sempre per crollare. Ora, non voglio dire che sia più importante degli altri strumenti, ma dalla batteria in questo album si capiscono un sacco di cose. La principale è che questo modo di reggere il tempo permette ai Topsy the Great di darci ogni volta, in ogni canzone, passaggi vivi, come se fossero liberi di ripensare se stessi mentre vengono suonati, non del tutto improvvisati, ma che non ti aspetti mai. Prendete come si evolve Varryel, non sai mai quello che succederà e, nel momento in cui succede, a questa cosa ci pensi. Come in Steffald, ci sono le chitarre con la fregola e i cambi di tempo, ma quello che mi piace di più di Fampor è il suo essere instabile, fantastico e melmoso allo stesso tempo. Già la copertina assomiglia al mostro di Caltiki a colori, e forse da lì viene tutto. Però c’è anche il fatto che le canzoni non perdono neanche un attimo il mordente per farsi seguire, e alla fine mi sono accorto che ogni cambio di tempo e intensità, ogni variazione del tono della narrazione, ero sempre lì a pensare che mi avevano portato da un’altra parte rispetto a qualche secondo prima (Poggy Polyni, indiscusso leader musicale italiano di scuola ligabuiana). Il magma mosso dai Topsy the Great fa fatica a partire all’inizio di Croty e Scrozya, è volontariamente una specie di bradipo, ma poi ti porta a impantanarti in un album composto da un misto di fantasia compositiva, attacchi velocissimi, stop improvvisi, suoni cazzutissimi e controllo (quasi) totale della struttura e del ritmo, e altro che mi verrà in mente appena pubblico questo post. Ecco perché fare cose strumentali ha senso: solo se sono fatte in questo modo.

fampor

topsythegreat.com
fromscratch.it
Santa Valvola Records