Topsy the Great, FAMPOR (Fromscratch e Santa Valvola Records)

caltiki fampor

Il 10 marzo non stavo troppo bene. Niente di serio, influenza, però sono andato a dormire prima del solito. Qualche anno fa sono stato costretto per un esame (ma non ho fatto il DAMS) a vedere Caltiki, il mostro immortale di Freda, uno di quei film che piacciono molto gli appassionati del genere e agli americani. Contestualizzandolo (1959) non si può negare che sia una figata, soprattutto per gli effetti speciali artigianali, ma è difficile apprezzare fino in fondo un film così vecchio quando poi il cinema di mostri negli anni ha offerto ovviamente cose migliori, ed è difficile preferire sinceramente quegli effetti speciali a quelli di oggi. Caltiki è la Dea della morte. Uomini in cerca di avventura nella foresta messicana ne disturbano la pace e risvegliano un mostro delle acque, costruito con la trippa, che inizia a combatterli e ad ammazzare qualcuno di loro, rinnovando un’antica maledizione. Ogni tanto questo film mi torna in mente. Il 5 marzo i Topsy the Great mi hanno passato il loro nuovo album, Fampor, e ho iniziato subito ad ascoltarlo. La notte tra il 10 e l’11 marzo non ho dormito bene e ho fatto un incubo. Ho sognato di lottare con il mostro di trippa di Caltiki. Sotto, suonava Fampor, modalità random e senza interruzione tra una canzone e l’altra. Non è difficile pensare che io stia raccontando una cosa inventata, ma è così che è andata, in fondo era solo un sogno. Ricordo in particolare l’inizio dello scontro, con Croty e Scrozya; e poi Varryel, perché è quella che mi piace meno e in quel momento stavo per essere ucciso. Musica e immagini erano montate nel più classico dei modi: gli attimi più violenti corrispondevano ai momenti più veloci e distorti, quelli di studio dell’avversario ai ritmi d’attesa della seguente esplosione. Gyannesta, che inizia con un giro di chitarra quasi divertente e poi si distorce, non è stata divertente per niente, perché all’inizio il mostro si è preso gioco di me e poi me le ha date di santa ragione. Alla fine sono morto, su Lyndia.
Fampor è un album che m’ispira violenza, molto più di Steffald. Credo di poter dire che il secondo album è il continuo del primo: Fampor ha lo stesso modo di essere violento di Steffald, e questo è un bene perché vuol dire che i Topsy the Great non hanno smesso di pensare alla propria musica come a un modo di aggredire, non per far male a qualcuno, ma per dare un motivo per amare ancora il noise, facendolo lento, veloce, disturbante. Il noise qui è molto aggressivo, ed è fatto con una chitarra, un basso e una batteria, alcune volte è più facile, altre meno. Esattamente come è sempre stato. Ma i Topsy the Great hanno una carta in più da giocarsi, quella del suono live. Se mettete su Fampor, sembra che vi suonino di fianco, e la batteria sembra sempre al limite del tempo su cui deve essere, sta sempre per crollare. Ora, non voglio dire che sia più importante degli altri strumenti, ma dalla batteria in questo album si capiscono un sacco di cose. La principale è che questo modo di reggere il tempo permette ai Topsy the Great di darci ogni volta, in ogni canzone, passaggi vivi, come se fossero liberi di ripensare se stessi mentre vengono suonati, non del tutto improvvisati, ma che non ti aspetti mai. Prendete come si evolve Varryel, non sai mai quello che succederà e, nel momento in cui succede, a questa cosa ci pensi. Come in Steffald, ci sono le chitarre con la fregola e i cambi di tempo, ma quello che mi piace di più di Fampor è il suo essere instabile, fantastico e melmoso allo stesso tempo. Già la copertina assomiglia al mostro di Caltiki a colori, e forse da lì viene tutto. Però c’è anche il fatto che le canzoni non perdono neanche un attimo il mordente per farsi seguire, e alla fine mi sono accorto che ogni cambio di tempo e intensità, ogni variazione del tono della narrazione, ero sempre lì a pensare che mi avevano portato da un’altra parte rispetto a qualche secondo prima (Poggy Polyni, indiscusso leader musicale italiano di scuola ligabuiana). Il magma mosso dai Topsy the Great fa fatica a partire all’inizio di Croty e Scrozya, è volontariamente una specie di bradipo, ma poi ti porta a impantanarti in un album composto da un misto di fantasia compositiva, attacchi velocissimi, stop improvvisi, suoni cazzutissimi e controllo (quasi) totale della struttura e del ritmo, e altro che mi verrà in mente appena pubblico questo post. Ecco perché fare cose strumentali ha senso: solo se sono fatte in questo modo.

fampor

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