Miranda, il passato e Asylum: Brain Check After Dinner

Miranda, Asylum: Brain Check After Dinner

Neuroni è giovane e quindi una recensione di Asylum: Brain Check After Dinner di Miranda richiede un bel pippone sul passato, in apertura. Nel 2003 escono con il primo album, Inside the Whale, che è anche il titolo 1 della FromScratch Records. Prima di quello, il demo Miranda’s Warn del 2001 (autoprodotto; per il resto, tutti i Miranda saranno di casa FromScratch). Inside the Whale può essere definito (circa) math rock con sovrapposizioni post rock e credo che la sua qualità più spiccata sia dare la sensazione di non definire la canzone come un momento concluso sull’album ma lasciare lo spazio a chi ascolta per pensare che se il pezzo fosse stato registrato il giorno dopo sarebbe stato molto diverso, che è poi una caratteristica del math-rock, o almeno credo. “La musica di Miranda è in continuo movimento e punta molto sull’immediatezza dell’esecuzione, per cui i pezzi cambiano spesso e prendono a volte direzioni diverse rispetto a quella originaria” (www.fromscratch.it). Il disco è come a una fotografia di una strada trafficata, che se la scatti tra dieci minuti è diversa da quella che hai scattato adesso. La sensazione è la stessa all’ascolto dei Polvo.

Rectal Exploration è il secondo album, ed è un 2006, anno della reunion di Don Caballero con una formazione nuova e World Class Listening Problem. Il modo di scrivere i pezzi può essere ricondotto a uno stesso ambiente internazionale, ma Rectal Exploration, rispetto al Don, sembra più drogato e più volenteroso di contaminare il genere predefinito con altro, forse anche con il Tricky di Angels With Dirty Faces.
L’anno dopo arriva lo split con i canadesi The Creeping Nobodies, dove Miranda sprizza la migliore gioia degli Oneida più grevi e prestanti. Quei Liars lì oggi sono lontani, ma in quel momento erano assolutamente presenti, con i primi quattro album ma soprattutto con quella cosa bella che fu They Were Wrong, So We Drowned. Miranda aggiunge un pò di simpatia, anche con la chitarra. Quattro pezzi per lei, tre per The Creeping Nobodies.
2011, Growing Heads Above the Roof. Il titolo disegna un’immagine che è già di per sé sufficiente a guadagnarsi amore e fiducia. Blow Up vergò la novità più evidente di questo album con poche semplici parole, che fissavano l’ingresso dei campionamenti dentro ai groove di batteria punk-funk post-punk. Non è che io abbia fatto questa gran ricerca per riscoprire questa cosa, quella di Blow Up è la prima recensione riportata su Fromscratch.it alla pagina del disco. Torna di nuovo Tricky e tornano anche le chitarre incastrate tra loro in I’m Your Guido, che dipinge a fosche e fastidiose tinte il presente, il passato e il futuro dell’immagine italiana all’estero, in un Mondo conquistato dai Guido di Jersey Shore.

Niente di tutto quello che è stato fatto in passato è stato perso. Tanto di guadagnato per l’ultimo album di Miranda, Asylum: Brain Check After Dinner (2013). La concretizzazione della voglia di allungare i pezzi giocandoci dentro come bambini c’è ancora, più virata agli Hella o Q And Not U. Al massimo della sua espressività, espressionismo, Miranda fa uscire un album che mi va di definire il loro migliore e una delle migliori cose uscite fin’ora nel 2013. Quando si unisce il gusto della sperimentazione al gusto della creazione di melodie trascinate e trascinanti viene fuori, non dico per forza, ma in questo caso sì, un bel lavoro. Il Lee Ranaldo meno steso su se stesso e più paranoico ed Experimental Jet Set Trash And No Star dei Sonic Youth fanno breccia spesso (Being Ed Bunker, Tecnocratic Chinese Flu), sempre mediati e soffocati al punto e al momento giusto. Odysseia è una specie di cuore di Asylum: parte da un ritmo scarno per acquistare poi gradualmente un verme pop all’ingresso del ritornello (primo step) e alla variazione della strofa (secondo) con chitarra, synth, piatti, charleston e rullante che un po’ si incastrano alla Shellac un pò possono crollare da un momento all’altro.

Credo che sia un bel modo di costruire e scrivere canzoni: guardare a se stessi ma anche agli altri, dare sfogo alla propria voglia e capacità di dare delle cinghiate alla melodia e allo stesso tempo sentirsi liberi di creare quel ritmo che fa scuotere la testa. La visione della musica qui si allarga, le voci insistono sui synth, i synth insistono sulle chitarre, le chitarre ripetono le voci, le voci insieme alle chitarre lanciano anche giri meno spigolosi. Come Suicide Watch, che inizia antipatica e si conclude corposa, dopo un ingresso fulminante del basso. H-Arcore: First Times Always Hurts, But I Don’t mi porta dritto a Johnny Mox.
Si può pensare di fare un disco noise, kraut, post, e quindi dalle intenzioni poco ironiche, ma si può anche scherzarci dentro e portarlo fuori dalla cerchia degli album che si fermano alle apparenze e alle definizioni. In generale, non sono io che scrivo a decidere che questo o quell’album ripugna l’essere classificato in un cassetto per determinati motivi, ma è chi lo suona che deve deciderlo, anche senza volerlo, anzi forse è meglio se non lo vuole, se il risultato non lo cerca, ma gli viene. Culture o visioni della musica differenti (o per lo meno distanti o al massimo parallele) producono risultati differenti e risultati differenti innescano novità nelle culture differenti, che poi producono merda o cose buone, discorsi univoci o contaminazioni. Quando la contaminazione è fatta come Asylum è una cosa buona.
La mia canzone preferita è Arabs On The Run, Psycomelette.

Topsy the Great, l’intervista: arriva la bestia rumorosa

Bando alle ciance tutte nostre che di solito sbrodoliamo su queste paginacce e spazio a chi si sbatte per fare un po’ di musica. È arrivata l’ora dell’intervista. Questa è la nostra prima e l’abbiamo fatta con Topsy the Great, un power trio che porta nelle casse dello stereo il suono della bestia rumorosa che risiede in noi. Il primo ep omonimo con sette tracce l’hanno fatto uscire nel 2009, il secondo, Vol. II (5 tracce), nel 2010. Il loro primo disco è uscito nell’ottobre 2012, si chiama Steffald ed è realizzato da FromScratch Records e Santa Valvola. FromScratch è viva dal 2002 ed è l’etichetta con il sito dalla grafica più simpatica e indiavolata del web. Produce cose decisamente fighe, curiosate nel sito. Ringraziamo Peppe di FromScratch per avere fatto da ponte con i Topsy. E grazie anche e proprio a loro, ai Topsy, per aver simpaticamente dialogato con noi. Si va.

Domanda della genesi: quando e come sono nati i Topsy the Great?
Abbiamo cominciato a suonare insieme alla fine del 2008, senza tanti progetti o premeditazioni. L’intenzione era quella di suonare senza avere un cantante e fare cose che ci divertissero. Ci siamo conosciuti prima di questo “inizio”, condividendo alcuni palchi locali con le nostre esperienze in gruppi precedenti. C’era un’affinità di fondo identificabile nel rumore.

Lalboom è la canzone che apre il vostro primo album, Steffald. È un inizio fulminante, i suoni metallici e la ripetitività sono l’esempio perfetto di come si possano coniugare la ricerca e la tradizione del punk rock. Alcune volte, in Steffald, pare ci sia equilibrio tra le due cose, altre volte o una o l’altra vince alla grande. Rispetto al disco, secondo voi è un’impressione giusta o sbagliata? Ah, e complimenti per il video di Lalboom, veramente liberatorio, alla fine.
Grazie per aver apprezzato il video, da molte delle persone alle quali lo avevamo fatto vedere prima di farlo uscire veniva obiettata una carenza di cose tipo “non vi si vede suonare” e “potrebbe essere più a tempo”; sentirci dire che invece può essere un lavoro valido ci rinfranca e rinfranca la fatica di chi lo ha fatto. Per quello che riguarda l’equilibrio tra punk (intesa come attitudine) e ricerca, non sappiamo dirti in che modo riusciamo ad amalgamare il tutto; facciamo che il punk rappresenta per noi  una via per poter liberare con sincerità e franchezza quello che sentiamo. La ricerca, o meglio il fatto che quello che facciamo venga percepito anche come ricercato, non è una cosa che ci imponiamo, è un risultato instabile in cui anche la melodia dialoga con la scompostezza e il rumore.

Alcune canzoni hanno una freschezza incredibile, mi viene in mente Slurp. È perché sono immediate. Cioè: ci vuole un poco per sentire le diverse sonorità e soluzioni, ma tutto è molto vero, e anche un po’ truce. Come si fa a ottenere un risultato così, profondo e spontaneo allo stesso tempo? Come si articola, in fase di registrazione, la realizzazione dei pezzi?
Molto probabilmente andremo fuori tema ma ti raccontiamo (male) come facciamo a fare una canzone di solito. Ci troviamo, parliamo un po’ di cose normali ed extramusicali, montiamo le cose per suonare e iniziamo. Può succedere (ma non è sempre così) che qualcuno abbia pensato qualcosa, un riff o un tempo di batteria, ce lo raccontiamo come meglio ci riesce e cominciamo a suonare quella cosa. Dopo un po’ che suoni, senza jammare, succede che quello che suoni cambia (per i motivi più svariati che non sappiamo dire). Prendiamo un cambiamento che ci piace, se ce lo ricordiamo, e lo mescoliamo a tutto. (Questo racconto si esaurisce qui: ci rendiamo ora conto che è molto ovvio quello che stiamo dicendo, ma è davvero quello che succede: è tutto naturale). Per quello che riguarda la registrazione, arriviamo in studio con i pezzi già pronti; il lavoro di “pre-produzione” viene fatto su un registratore a cassette.

Torno un attimo sul video. Si vede un signore, con i capelli ricci, seduto sugli scalini di un monumento, che scuote le mani al ritmo delle rullate della batteria… Sicuramente mi sbaglio ma mi pare di averlo già visto. Ora, non sapevo se farvi questa domanda perché un po’ mi dico avrai sognato, ma alla fine la faccio. Mi potete dire chi è quel signore così mi tolgo definitivamente il tarlo? Ho letto alla fine del video i ringraziamenti a due persone ma non le conosco. È possibile che io abbia già visto quell’uomo da qualche parte e non ne conosca il nome o ci sono definitivamente rimasto?
Quel signore si chiama Francesco Massei (“un ciccio tosto” cit.) ed è un amico della persona che ha fatto il video. Forse lo hai già visto, chi lo sa… ci speriamo.

Chi ha montato il video?
Il video l’ha montato la stessa persona che l’ha girato, ossia Fabio Lombardi, che ringraziamo per la passione e tutte le idee: quando gli abbiamo chiesto di farlo l’unica cosa che avevamo in mente era una persona a cui vibra la mano perché in realtà è un cellulare e Fabio ha fatto tutto quello che hai visto (Francesco Massei compreso).

Il fatto che i vostri pezzi siano strumentali può far venire alla mente diversi gruppi. Trovo però che il vostro modo di suonare (e questo viene fuori moltissimo in Steffald) sia diverso da ogni altra cosa. Per esempio, vi hanno accostato spesso ai Lightning Bolt, ma il vostro suono è nuovo rispetto al loro. Cosa ascoltate ultimamente? Quali sono i vostri gruppi totem?
Prima di rispondere ti dobbiamo dire: grazye. Adesso possiamo rispondere. Cominciamo con cosa ascoltiamo ultimamente. Ascoltiamo, secondo una breve indagine del momento, i Ronin, i Black Moth Super Rainboiw e Zedd. I nostri gruppi “totem” potrebbero essere: i Fugazi, i Black Sabbath, i Sonic Youth, i Big Black e i Black Flag.

Dal vivo rendete benissimo, siete diversi rispetto all’album, quando vi ho sentito ho apprezzato tantissimo la botta. Steffald ha molto del suono live, ma nel nuovo album avete catturato meglio, rispetto ai concerti e a Vol.II, la dimensione artigianale e la ricerca sul suono, per tutti gli strumenti. Come e quanto avete lavorato in sede di produzione?
Come ti dicevamo prima, la nostra pre-produzione è merito di un registratore a cassette. Vol. II lo abbiamo registrato da soli, con una scheda audio a otto canali, è venuta fuori una cosa. Quella cosa ci è piaciuta, tanto che ci abbiamo fatto un ep e abbiamo cercato di farla quasi uguale anche dal vivo. Steffald lo abbiamo registrato e mixato in quattro giorni, in presa diretta analogica: il fatto che suoni diverso è merito dei nastri e di una strumentazione reale a livello di prese, c’erano più di otto canali.

Siete in tre. Vorrei che ognuno di voi mi desse una risposta. Quali sono i pezzi che non vedete l’ora di suonare dal vivo? Io personalmente non vedo l’ora di sentire Ciro Pasticche, ha cambi di tempo spettacolari.
Quando suoniamo la voglia è un po’ in tutti i pezzi, ci sono brividi un po’ diversi per noi quando suoniamo Lyndia o Usduk, che sono pezzi nuovi, non inseriti in quella che è la scaletta del disco. Cose verso Fampor insomma.

La scena musicale indipendente italiana è piuttosto viva, grazie a band e a etichette che fanno un lavoro che se nessuno lo facesse bisognerebbe farlo fare a qualcuno. La vostra etichetta è FromScratch, ed è una di queste. Per voi che ci siete dentro, qual è lo stato di salute della musica indipendente italiana?
Noi, se ci siamo dentro, speriamo che stia almeno bene; se invece proviamo a immaginarci di esserne fuori ti possiamo dire che la salute della musica indipendente italiana è un mistero. Un mistero vasto. Tralasciando il significato della parola indipendente, misterioso come la questione della salute, succede che in Italia, accanto alla virtù del semplice suonare ci sono un sacco di necessità manovrate da terzi. I gruppi e le etichette che vivono l’indipendenza italiana sono costretti a scontrarsi con tali necessità; di chi sia la colpa della creazione di questo sistema, non lo sappiamo. Per noi è importante capire, e riuscire a discernere, tra chi cerca di sollevarsi da questo disagio e chi invece lo cavalca abilmente.

Grazie ragazzi e… domanda classica di chiusura: dov’è che possiamo vedervi prossimamente dal vivo?
Dipende da quando questa intervista uscirà: a oggi, potreste vederci a Frosinone, alla Cantina Mediterraneo il 30/11; a Latina, al Sottoscala09 l’1/12; a Roma, al SinisterNoise il 2/12; a Macerata, all’OnlyfuckingLabels #2 Festival il 23/12; a Prato, al Cinema Terminale 28/12. Ne stiamo confermando altre su dicembre, se volete aggiornamenti contattateci pure. Grazie a te, a voi, a tutti per quest’intervista; ci siamo divertiti parecchio. Grazie per il sostegno che ci date, è stato un piacere incontrarvi (inconsapevolmente) a Santarcangelo. Grazie, a presto.
Abbracci,
Topsy the Great

Go! Visit
Il facebook dei Topsy the Great
fromscratch.it
santavalvola.it

Topsy the Great, Lalboom e il nuovo album Steffald

Topsy the Great hanno dato alla luce l’album nuovo, Steffald. Su fromscratch.it c’è il video di Lalboom, il singolo. Che è poco rassicurante, nel senso positivo del termine. Si tratta di una sorta di proiettile appuntito, parte in metallo, parte in fuoco, sparato dritto dritto sull’obiettivo: le nostre orecchie, che alla fine hanno un ruolo centrale, per noi, nell’ascolto della musica.

La chitarra insiste su un tema, che si ripete, come da più apprezzabile tradizione rock’n’roll. Ma non credete che sia come il r’n’r delle origini perchè non lo è. Non suona così definito, suona del tutto sbrindellato. Prende l’ossessione per un ritmo da alcune amabili frange punk, anzi dal suo corpo d’origine (ancora), ma non è punk. Quel suono metallico che emerge quasi gradualmente e fa rallentare tutto, per imporgli poi ancora velocità, è l’elemento che porta la canzone a un livello più alto: ha le dinamiche di archi e violini, ma le sembianze apparenti di una lastra di metallo vibrante. A un certo punto tocca la canzone quasi come un pianoforte e la conduce, veloce e lenta, veloce e lenta, alla fine.
Steffald esce per Fromscratch Records/Santa Valvola. Il nuovo album di Topsy the Great suona diverso dai lavori precedenti; la tracklist è:
1. Lalboom
2. Minuto
3. Vol. II
4. Tere Effe
5. V. D’Adda
6. Micizzo
7. Slurp
8. M’Ery
9. Bastoni
10. Mela Fuji
11. Ciro Pasticche
12. Giangol

12 pezzi, 34 minuti. Sono minuti in cui ogni genere di riferimento viene azzannato, masticato, in parte ingoiato, in parte sputato fuori, di base da tre strumenti: chitarra, basso, batteria, senza un secondo di cantato. I ritmi spezzano l’ascolto, a volte il basso (Tere Effe), a volte la batteria (Vol. II), a volte la chitarra (Slurp), in momenti distinti, si rendono protagonisti del rumore agitato che porta in sè il noise, mai sublimato, i già citati punk e r’n’r, mai mitizzati e il doom, mai preso troppo sul serio, per fortuna. Poi arriva Giangol, un gioiello assurdo e particolare, a chiudere i conti con un ascoltatore con le orecchie tese e malmenate, illuse poi subito disilluse della possibilità dell’esistenza di una melodia a un certo punto (Micizzo), ma davvero soddisfatte, pronte a riposarsi.