Mudhoney e Non! live al Bronson

Gli anni ’90 sono il decennio giusto. Altroché. Siamo definitivamente un prodotto degli anni ’90 e continuiamo felicemente ad averli in testa. Il 23 maggio, al Bronson di Ravenna, è successo il miracolo: i Mudhoney live. Mai visti dal vivo prima, sempre amati come la band con un tiro micidiale, la più r’n’r tra quelle uscite dallo sciame di gruppi che Seattle sputò fuori tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei già citati ’90. Ecco la scaletta del concerto:

Mi posiziono, molto presto, appoggiato con i gomiti alle spie che delimitano il confine tra palco e platea. Accanto a me si accumulano, con il passare dei minuti, e con l’avanzare del concerto dei Non! (spalla simpatica e caratteristica), ragazzi con una scaja addosso da far tremare i muri. Headbangers! Ho pensato, grande pericolo, ma sono rimasto fisso con i gomiti sulle casse.

Non!

I Non! sono in due: una magrissima cantante e un magrissimo chitarrista, tirato con tanto di stivaletto lucido. Basi elettro elementari, chitarra garage punk rock’n’roll, testi in francese, urletti sensuali e voce mono-tòno. Una bella batteria li avrebbe aiutati molto perché mancava uno che ci pestasse sopra a quei giri r’n’r, mai troppo originali.
Poi arrivano i Mudhoney e iniziano a fare canzoni pescando spesso dal passato remoto. Occhi puntati su Mark Arm e compagnia. Gli headbangers si scaldano, e anch’io. Ma loro pogano com’è giusto fare, io rimango incollato come un adesivo impaurito alla mia cassa-spia preferita. E scatto le fantastiche foto che potete ammirare in queste pagine.
Non ci manca niente a questi Mudhoney. Hanno suonato potenti, con due chitarre sporche come le origini della band, un basso pastoso ma elegantissimo, una batteria con una pacca lucida e impeccabile. Tutto di una precisione fottuta.
I miei momenti preferiti sono stati: primo, When Tomorrow Hits + In ‘n’ Out of Grace (da March to Fuzz e Superfuzz Bigmuff plus Early Singles) , che possiamo ammirare nel video, Nokia N78 Quality.

Secondo, Judgement, Rage, Retribution And Thyme, estratta da My Brother the Cow. Terzo, This Gift (Mudhoney). Quarto e quinto insieme, Touch Me I’m Sick (Superfuzz Bigmuff) e il bis Suck You Dry (velocissima, da Piece of Cake…). Sesto, ma non ultimo, Let It Slide, dall’album Every Good Boy Deserves Fudge.
Riflessione finale, la più profonda: i pezzi più vecchi, a distanza di anni, hanno guadagnato in fluidità (??!?). Suonano più amalgamati e meno scattossi. Quando sono usciti sui rispettivi album, erano belli così. Oggi, hanno quel tocco di esperienza e rotondità in più che non li fa invecchiare per niente. Sarà merito dei piedi magici di Steve Turner.

I’m Now, dall’ultimo album The Lucky Ones (2008):

E poi, ecco altre foto.

Mark Arm (Mudhoney)

Dan Peters e Steve Turner (Mudhoney)

Steve Turner (Mudhoney)

Guy Maddison e Mark Arm (Mudhoney)

Come avremmo fatto senza Husker Du?

American Indie 1981-1991 di M. Azerrad

American Indie 1981-1991

Nacqui nel 1978. Crebbi negli anni ’80. Alla fine delle elementari e per un po’ di medie ero un bambino stronzo che ascoltava solo i Guns n’ Roses. Nel 1990 avevo 12 anni e fu proprio l’anno in cui mi capitò per le mani il disco dei Green River Dry As a Bone/Rehab Doll uscito per Sub Pop. Arrivare ai Mother Love Bone, grazie a tutti i maschioni che mi circondavano e mi prendevano a calci, fu un attimo. A quel punto, qualche resistenza dei Guns si verificò ancora, ma presto li misi a prendere la polvere. Nel ’93 ero già bello impastato nei vari Ten, Nevermind, Badmotorfinger, Piece of Cake e forse anche Facelift, e pestavo già di brutto la batteria in un gruppo rock, quando incontrai un mio amico più grande di Macerone (FC), un giro diverso rispetto al mio, e gli chiesi: “Mario, qual è il tuo gruppo preferito?”, “Gli Husker Du” disse lui, “Aaaahh! Smells like teen spirit!” risposi io e voltai il sedere con la spocchia del pivello che ha da poco scoperto un mondo e gli piace solo quello. Di nuovo. Non lo vedevo, ma Mario dietro di me scuoteva saggio la testa. Era il grande Mario Macerone.
Gli Husker Du li ho dimenticati, per un po’ di tempo. Ma avevo un fratello più grande che a un certo punto mi disse basta sei un capellone, sparati i Black Flag. Non cambiai idea sui gruppi di capelloni però, pensai, come sono veloci questi, ascoltando i Minor Threat, che roba è? E, un giorno, arriva alle mie dolci orecchie New Day Rising, degli Husker Du. Fortissimo.
Non molto tempo fa (nel 2010) è uscito per Arcana “American Indie. 1981-1991, dieci anni di rock underground” di Michael Azerrad. Questo libro racconta la storia di Black Flag, Minutemen, Mission of Burma, Minor Threat, Husker Du, Replacements, Sonic Youth, Butthole Surfers, Big Black, Dinosaur Jr, Fugazi, Mudhoney e Beat Happening nei loro periodi musicali indipendendenti, cioè quando hanno suonato e inciso dischi o qualsiasi cosa di simile non per una major. Ci sono aneddoti, critiche, storie vere o presunte tali, c’è l’arrivo esplosivo di Henry Garfield, come il gattone, che poi diventerà Henry Rollins (Black Flag/Rollins band/attore e doppiatore in vari film) e la personalità catalizzante di Ian MacKaye (Minor Threat/Embrace/Fugazi), ci sono J. Mascis, Thurston Moore, Mark Arm. E altre cose di questo tipo. È un libro spassoso, che racconta le cose in modo semplice, senza mitizzare, anzi mettendo in mostra anche il lato più bestiale, più superficiale, più antipatico di tutti quei personaggi lì. C’è passione, si, ma l’autore non s’incensa. Lodevoli i capitoli su Minutemen e Mission of Burma. Leggetelo.
E mi chiedo: come avremmo fatto senza Husker Du?

Le Dinoscarpe

Dinoscarpe

Dinoscarpe

Ecco, queste scarpe mi mancavano. Perchè produrre solo quelle dei Pink Floyd, dei Ramones o di Kurt Cobain? Non era corretto. Infatti, ecco le scarpe dei Dinosaur jr. Ma se i Floyd, i Ramones o Kurt erano stati scarpati dalla Converse, i Dino li calza la Ethletic. Il mio paio preferito è quello con il mostro di “Farm”, l’ultimo album. Solo perchè la bambina con la paglia di “Green Mind” è venuta un pò schiacciata. Sappiamo che quel modello di scarpa (simil-all-star) tutt’a un tratto, al decimo mese che lo indossiamo nonstop, prende a puzzare di plastica fottuta e i nostri piedi iniziano a emanare gas al petrolio, senza la possibilità per noi di ridurlo allo stato liquido e utilizzarlo come benzina, e questa è una grande sfiga. Però, adesso, i nostri piedi potranno puzzare di Dinosaur, e questo è un grande vantaggio: potremo andare a un concerto o in disco, farci calpestare il pollicione e il mignolo senza paura. Perchè poi potremo tornare a casa, toglierci le scarpette e non solo svenire, ma svenire felici. La nostra felicità sarà la felicità di chi abita con noi, non più perseguitato da un semplice cattivo odore, ma dal fetore prodotto dalle nostre Dinoscarpe.

Due colori, blanco y negro, ma tanti disegni.

Io non le compro, benché le desideri ardentemente, solo perchè non ho più vent’anni. Secondo me però spaccano, e tutti voi dovreste averne almeno un paio.