I grandi della mia famiglia non hanno mai avuto una passione fulminante per la musica italiana. Ci sono canzoni che, per l’età che hanno, non possono non amare, di Celentano, della Caselli o dell’Equipe 84. Gino Paoli non lo includo perché mi sta sul cazzo, ma nella lista c’è anche lui. Ma non c’è mai stato nessuno in fissa, che mi abbia passato dischi con i cuori negli occhi, per dire. Mio zio era il più interessato, molto interessato per esempio alla trasgressione di Zucchero, alla voce di Gaetano Curreri degli Stadio o alla carriera e alla vicenda personale di Luigi Tenco. Però, interessato, niente di più. Il primo appassionato di musica in famiglia è stato mio fratello, che non includo tra i “grandi” e che ha iniziato credo coi Bad Brains, nel ’90 circa. Di strada da fare per arrivare a quella musica italiana ce n’era. La prima tacca l’ha segnata con Ivan Graziani. Poi un po’ di De Gregori. De André gli sembrava politica vecchia in cui già non c’era più da credere, Lucio Dalla era un figo, su quello zingaro di Rino Gaetano eravamo d’accordo: non ci hai mai avuto. La musica italiana, quella della tradizione e dei cantautori, non è mai stata comunque una sua priorità. Mai visto un Sanremo per più di dieci minuti. Io invece, vi dirò, la sfangavo e a un certo punto ci sono andato sotto. Degli autori che conoscevano anche i miei genitori mi piaceva che raccontassero un’epoca finita, un periodo fatto di semplicità e di estati in cui il refrigerio dalla calura lo cercavi in un ghiacciolo alla menta e non nel condizionatore, un periodo in cui nelle campagne ti stupivi ancora quando arrivava il cemento. Degli altri invece mi piaceva che raccontassero un mondo più vicino nel tempo, anche se già lontano, in modo più ironico, come in Banana Republic. O che raccontassero le cose attraverso la poesia, che pensavo avrebbe avuto un valore per sempre. Ma più di tutto mi piaceva il fatto che quella musica fosse lontana da quella che ascoltavano gli altri ragazzi che avevo intorno, dal metal, dal punk o dall’hard core. Mi piacevano da matti gli Shelter ma mi piaceva anche Luigi Tenco e non la trovavo una contraddizione.
Su IO e la Tigre, con il tempo, si sono scoperte un sacco di cose interessanti, ma la più interessante è che IO ascolta un certo tipo di musica, la Tigre un’altra. Generalizzo al massimo: IO ascolta i cantautori, la Tigre ascolta il punk. I ruoli all’interno del gruppo sono divisi anche in base ai loro gusti musicali, lo dicono anche loro da sempre: la carezza e lo schiaffo. Le canzoni sono spesso a metà tra una e l’altro, a volte prevale una, a volte l’altro – perché IO e la Tigre sono due vasi comunicanti non due monoliti – ma spesso ci sono tutti e due: prendi per esempio Il lago dei ciliegi e Cuore nel primo EP, Lei sa e Io e il mio cane in 10 e 9. Su quest’idea forte hanno costruito un ep e un disco.
Poi è arrivato Non finirà e qualcosa è cambiato. La cosa nuova è il rap di Slat, che s’inserisce su una melodia che ha quell’abbandono alla Luigi Tenco e una progressione che ti tira via. Poi, in Tu per me e Bianconiglio ritornano IO e la Tigre. Ma una cosa nuova c’è anche in L’indifferenza. Chiude l’ep e per la prima volta azzera tutto, come neanche Buonanotte o Lentamente (di 10 e 9) avevano fatto, e mantiene solo Cristina Donà e tutti gli autori italiani che piacciono ai grandi di casa mia in un colpo solo. Non finirà è il segno della curiosità di fare le cose partendo sempre, ok, dall’idea iniziale, ma anche volendo provare a vedere come viene e come va, sottraendo e anche aggiungendo. Non so, ma c’è qualcosa di così costruttivo..
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CAPRA / Sopra la panca
La vita della rock star era bellissima. Donne, sesso, droga, musica. O anche solo musica. Comunque, ogni minuto era alla grande. Il musicista famoso non era umano, e conduceva una vita sempre al massimo. Non come quella degli uomini normali, fatta di problemi, noia, abitudini e la domenica riposo.
Poi nel 1984 i Minutemen hanno fatto uscire Double Nickels on the Dime. Dentro c’è History Lesson Part II che parla della loro vita normale, delle origini nella classe lavoratrice e dei loro sentimenti e modi di pensare, che sono quelli delle persone che ascoltano la loro musica. La prima frase della canzone è “Our band could be your life”, cioè noi siamo uguali a voi. Non hanno azzerato il modo di vivere sopra le righe di tutti i musicisti del mondo, ma hanno dato una diversa visione della cosa.
Facebook è il Male, lo sappiamo. Però in alcuni casi Facebook permette di conoscere un musicista come se ci scrivesse una lettera al giorno. Se sei suo amico su fb e se condivide status in cui parla anche di sé e della propria vita (stare in casa, portare a scuola la figlia, andare a mangiare dalla mamma, parlare con la moglie, fare la pizza, mangiare un panino, pulire il pavimento, non fare niente di particolare) quello è il suo modo per dire che la sua vita è uguale alla tua. Gianni Morandi lo fa.
I momenti de noia, normali, di riposo, li abbiamo tutti. Anche i musicisti. Basta avere il coraggio e la voglia di dirlo. Non tutti lo fanno. Capra lo fa. Usa Facebook parlando di sé, della musica, della famiglia, delle sue giornate. Nel suo disco solista Sopra la panca (To Lose La Track, Garrincha Dischi) dice una cosa molto sincera: delle sue canzoni e del suo lavoro, che per un po’ di tempo è stato portare intensamente in giro Raudo, l’album del suo gruppo, i Gazebo Penguins, a un certo punto ne avrebbe fatto anche a meno. Poi la voglia ritorna, ma può succedere di stancarsi di andare in tour come può succedere di stancarsi di fare dei timbri in un ufficio. La canzone si chiama Il lunedì è la domenica del rock e dice che a Capra il lunedì piace tantissimo perché è il giorno in cui fa altro rispetto a quello che fa durante la settimana. Il testo si muove sul filo dell’ambiguità, perché mentre un impiegato al lunedì mattina si alza dal letto per riprendere a lavorare dopo il week end, Capra se la dorme. Quindi Capra vive diversamente rispetto a un impiegato. Ma è anche vero che mentre l’impiegato si gratta la pancia durante il week end, Capra sposta degli ampli su e giù da un furgone. Ed è vero che se io avessi un negozio, sarei a casa durante la settimana, un pomeriggio, mentre gli altri lavorano. La differenza non è tra la professione del musicista e tutti gli altri lavori, ma tra tutti i lavori tra loro, compreso quello del musicista. Non è una cosa scontata da dire in un disco. E non è discorso solo bianco o solo nero, ha una sfumatura non definita che non permette di scegliere una cosa sola da fare. Se Capra dice che al lunedì è contento di cazzeggiare non vuol dire che si è stancato di suonare. E magari a volte è difficile conciliare l’attività che ami con la vita di tutti i giorni, ma si fa. Lo dice Scaletta.
Il disco contiene un’analisi personale, semplice ma definita, dell’assenza, proprio a partire da Il lunedì è la domenica del rock, dove l’assenza è il risultato del rigetto momentaneo di cose che hai fatto tante volte e che adesso stai meglio senza. Poi c’è un ritorno, un ripristino, una soluzione, che ti porta su strade diverse, che ti fanno respirare ancora di più, come un disco da solo, e poi magari ti riconducono ancora sulla strada da cui sei partito. Potrebbe essere così, oppure no, per Capra in parte sembra essere così.
Legata all’assenza c’è la fine. Santa Massenza ne parlava già. Là la fine era la morte, qui è la morte insieme ad altre cose, come la fine dell’amore (La fine non è la fine). All’inizio volevo che il mio articolo su Sopra la panca fosse solo su Mio padre faceva il fabbro. Poi ho capito che quella canzone non è solo sulla fine e che Capra descrive un passo più avanti rispetto a Santa Massenza, dove faceva fatica a dire la parola fine di fronte alla morte di una persona vicinissima. Nei due dischi parla di due persone diverse, qui è a uno stadio successivo di rielaborazione. E mi sono ricordato che una volta io e un mio amico ci siamo detti che più avanti guardando la foto dei nostri padri ci sarebbe venuta una gran forza. Capra dice che:
“la prima volta che sei svenuto ero a suonare e anziché smettere per sempre eccomi qua / ma poi col tempo ho imparato a fare a meno di te”.
(Tra l’altro, anche qui, come in Non morirò dei Gazebo Penguins, innesca questo corto circuito direttissimo tra il testo della canzone e la propria vita, dove il testo che sta cantando dimostra che quello che sta cantando è vero).
Così non ho più scritto un pezzo triste sulla fine ma ho spostato la mia attenzione su tutte le cose che ci sono nel disco e ho cercato di metterle insieme. Per esempio, ho pensato robe sul futuro, quello di cui parla Capra, che chiude il disco con Reset, dove non solo guarda in avanti e passa sopra alle paure, ma rende esplicito anche il motivo per cui riesce a cancellarle, cioè sua figlia. La frase è: “Non voglio illudermi ma guardarti addormentare cancella un po’ di paure”. E la cosa enorme è che ad accompagnare Capra a cantare questo verso, che chiude il disco, c’è sua moglie. Our band could be your life.
Non è facile scrivere testi sulla famiglia e sulle proprie ferite, e non testi vaghi o pipposi, da interpretare, ma che parlano chiaro e diretto (con parole dritte a raccontare cos’è successo e come stanno adesso le cose) e confrontano il presente col passato. A questo proposito e sempre a proposito di paura, dopo aver sentito Margherita di Savoia ho pensato lucidamente a quanto sono stupide la paura di affrontare le cose e la difficoltà di trovare il coraggio per affrontare le persone. Le parole, scritte da un amico di Capra, sono: “Mia nonna dice che non bisogna aver paura di niente che non sia fare del male. Oggi mi sento coraggioso e farò molti più chilometri” e mi hanno fatto venire in mente Parete Nord di Caso, che di sicuro è un testo più metaforico ma ha la stessa voglia di attaccare le cose difficili.
Sulle chitarre di Sopra la panca è stato fatto un lavoro pauroso. Ci sono quelle pese che riempiono tutto, poi ci sono quelle sotto, precise come le gocce d’acqua che cadono dove devono. La canzone è Pierre Menard, o anche Reset: le altre chitarre scalano dietro quella solista e intraprendono una strada diversa, su gradini diversi. Sono piccoli passi che si sentono come se fossero amplificati da un’eco. Quante metafore ho messo in un paragrafo. Oppure ci sono le chitarre tutte insieme come in MLVGRL, che è la canzone più garage di tutte, non un garage alla Ty Segall/Fuzz ma più alla Go!Zilla, cioè meno dispersivo o psych e più diretto, anche se l’uso della chitarra di Capra ricorda quello del garage, cioè l’accostamento spinto della chitarra solista che se ne va per la sua strada con quella ritmica è QUASI lo stesso della prima canzone di Fuzz dei Fuzz. La differenza sta nel fatto che Capra inverte la coppia, cioè la chitarra solista è sotto quella ritmica. Alcuni suoni della chitarra sono lontanissimi dai Gazebo ma altri sono proprio quelli (Il lunedì è la domenica del rock con Casa dei miei, Galline con Difetto). Le batterie sono diverse, qui sono asciuttissime, nei Gazebo Penguins sono più sporche, il basso non c’è ma ci sono le tastiere. La scrittura è quella libera di Capra che anche con due strofe e un ritornello fatto una sola volta ti butta giù una canzone che alla fine ti fa venire voglia di riascoltarla perché ti dà la sensazione di non finito ma che è una canzone fatta e finita perché dà voce a un testo dal significato enorme.
Sopra la panca è l’insieme di tutte queste cose e non so dire quale prevalga sulle altre. Accosta attimi seri a attimi divertenti (Diciottenni e Galline) e forse anche in questo è simile alla vita di tutti. A proposito di galline volevo dire anche che il mio interesse di ragazzo di città per loro e in generale per gli animali da cortile, anche se lui ha più spazio per tenerli, è affine all’interesse di Capra. Our band could be your life.
COSTA, Sabotatori e Sfumature (Garrincha Dischi)
Non ho mai scritto niente su Garrincha Dischi di Bologna. Stamattina ascolto COSTA, che ha fatto un ep con due canzoni, Sabotatori e Sfumature. Sfumature è una cover dei 99 Posse e quello che mi rimarrà più in mente sarà di sicuro la strofa in levare, il cuore caldo del pezzo. Sabotatori è un rock’n’roll blues dalla simpatia bolognese che normalmente non mi piacerebbe e non mi piace neanche stamattina, credo principalmente per colpa di quello spirito da brigante gitano anarchico. Sfumature dei 99 Posse non l’avevo mai sentita prima di oggi, il rnr o il reggae mai sopportati prima di oggi, ma ho sempre condiviso il territorio con rockabilly romagnoli e con amici periodicamente in fotta per queste cose. Sfumature di COSTA migliora la versione originale e di Sabotatori di solito mi verrebbe da dire malissimo ma questa mattina non ce la faccio, del resto sto bevendo il caffè in una tazza finto stropicciata con la bandiera americana stampata sopra e anch’io ho le mie colpe.