
I Pavement possono ridurti così
Qualche anno fa, a due chilometri da casa mia, hanno suonato i Pavement. I miei genitori non mi hanno permesso di andarci perché ero un cinno e il giorno dopo dovevo andare a scuola. Avevo 14 anni, giudicate voi se a quell’età uno è troppo piccolo per andare a un concerto oppure no (aka: a che età mandereste al primo concerto vostro figlio?). Pure Stephen Malkmus non era proprio vecchio: aveva 26 anni nel 1992 (quindi adesso.. 52, angolo TV Sorrisi e Canzoni) quando uscì Slanted Enchanted e con il resto della cumpa lo suonò nella mia città.
Negli anni successivi i Pavement hanno pubblicato dischi bellissimi, aggiustando il tiro uno dopo l’altro. Avevo talmente voglia di rifarmi dalla volta precedente che quando sono venuti in Italia per il tour di Terror Twilight ho fatto la doppietta, al Vox e al Velvet. Al Velvet erano coi dEUS e siccome l’impianto dei dEUS saltava di continuo, hanno suonato i Pavement, tutta la sera. Poi si sono sciolti, mai più visti, la reunion l’ho snobbata perché ero contro le reunion. Adesso penso mah, che coglione. Quando ha suonato Stephen Malkmus & The Jicks al Covo tre anni fa per Wig Out at Jagbags, mi sono fiondato. A un certo punto hanno suonato Summer Babe, la prima canzone di Slanted Enchanted, mio fratello ballava e cantava e io volevo essere andato al Carisport e aver visto almeno una data del tour della reunion. Ho pensato che a volte la vita ti rida’ le occasioni che hai perso.
Quando ho sentito per la prima volta i Pavement non mi sono preoccupato di niente. Di cose tipo da dove viene questo suono? Chi gliel’ha data questa idea? Ascoltavo, me lo godevo e basta. Poi ho scoperto che dietro tutto quello c’erano Mark E. Smith e The Fall. Mark E. Smith è morto il 24 gennaio di quest’anno e non ci sono più occasioni per vederlo suonare dal vivo. Mai visto. È andata così e basta. Bisogna essere cinici, altrimenti non ce la si fa. Essere cinici per le cose del passato è abbastanza facile. Per quelle che avrebbe potuto succedere è più difficile anche perché, di sicuro, la vita non potrà più darmi questa occasione.
L’altro ieri è uscita la canzone nuova di Stephen Malkmus & The Jicks, Middle America, a quattro anni da Wig Out at Jagbags e a due settimane dalla morte di Mark Smith. Non c’è nessunissima relazione tra la prima e la terza cosa, MA. L’inizio di Middle America mi ricorda Homebody dei The New Year, che a sua volta ricorda l’inizio di Tigers, la prima di Mirror Traffic, il disco di Malkmus and The Jicks del 2011, o anche Water and A Seat di Pig Lib. Hanno lo stesso modo di usare le corde della chitarra, come se fossero da pizzicare e come se fossero il divertimento di uno scemo. Ma invece. Tigers e Water and A Seat hanno quel modo di divertirsi di Mark Smith, sui dischi ma anche in una delle sue foto sdentato. Poi Tigers dice:
We need separate rooms
We are so divided
Let us in
Change is all we need to improve
Call me petty, I mean every word
The “and’s”, the “if’s”, the “but’s”, and the “the’s”
Trust me because I’m worth hating
È cattivo, ma vi pesa che lo sia? Cioè, Malkmus scrive testi pesanti? No. Riesce a essere terribile serenamente, e di fianco ci mette una chitarra quasi dolce. Forse con dolce esagero, si può dire sempre morbida. Quella chitarra mi piace dal 1992, questo significa che sono un po’ in fissa e che ha qualcosa che proprio mi attira. È distorta senza essere troppo disturbante, è come se ti desse uno schiaffo e poi se la ridesse e facesse ridere anche te. È come dire: Malkmus, sei un ragazzo magnifico e per questo ti odio. Poi ci sono le ballate, che escono un po’ da questo tracciato e sfiorano i confini tollerabili del languore ma è giusto così: la forza che fa partire le scosse telluriche c’è perchè assaggi gli opposti. Le canzoni di Mark Smith sono impietose, ambigue, dritte al punto ma ironiche. In tutto, testi e musica, anche quando è diventato più pop. Mi mancherà un sacco quella sua capacità di tagliare il mondo con crudeltà e realismo, ma anche di dirgli vai a cagare. Ecco, c’è sta roba in comune tra lui e l’altro, Malkmus. Ti guardano in faccia, si comportano in un modo e allo stesso tempo stanno facendo altro, suonano una cosa, ne cantano un’altra e un attimo dopo distorcono, ma non ti dà fastidio.
Mark Smith, Stephen Malkmus, Matt e Bubba Kadane sono quattro nomi che creano un mondo. Solo l’inizio di una canzone unisce Malkmus ai The New Year, per il resto si tratta di due mondi non diversi, ma comunque almeno un po’ distanti. Il suono dei Bedhead era differente, tutto pieno. Non hanno idea di come si faccia a scrivere una canzone con la stessa fregola di Malkmus, non sono così attivi, agitati, protagonisti e sono sicuro che schiferebbero, se dovessero suonarle loro, quelle supercode hardrock. Sono più rilassati, piano piano poco poco (4 album in 17 anni, con gli Overseas in mezzo) che alla fine diventa tanto tanto. Aggiungi il carico da 10 di Chris Brokaw alla batteria in stile Come e Codeine e siamo a posto. Poco ma tanto. Neanche Stephen Malkmus è così come loro, la cosa è reciproca. Il suo mondo è fatto di rime baciate, che ti prendono per il culo ma pur sempre baciate sono. Il loro di baciato non ha niente, al massimo le parole e la musica ti suggerisce uno sguardo inquieto, che è più chiaro, più immediato, univoco, non interpretabile, senza doppi significati. Un significato solo. Questi sono The New Year.
Ma le loro (The New Year/Malkmus) carriere partono insieme, entrambe dopo esperienze grandi (Bedhead e Pavement) negli stessi anni. Hanno plasmato il mondo di tanti di noi, costruendo due correnti che negli anni ‘90 si sono sviluppate in parallelo, emo core e slow core da una parte, rock più classico e post punk nella sua versione più assurdamente melodica dall’altra (come definireste i Pavement? non è facile). E hanno attraversato da protagonisti quel decennio, pieno di casino e di cose che poi di colpo sono finite. The New Year e Malkmus ne hanno raccolto l’eredità nel modo più sincero possibile, non allontanandosi dalle esperienze precedenti ma rendendole incredibilmente longeve, fino a oggi. Di fronte a tutte le novità che vengono da altri orizzonti (pop e rap), l’ultimo disco di The New Year (dell’anno scorso) e Middle America tengono alla grande.
E The New Year e The Fall, cosa possono avere in comune. Certi momenti super sazi e saturi di Grotesque scrollano come Newness End. Scrollano? Scavano.. portano con sé una specie di inerzia della distorsione e del malessere all’infinito, come un cane che si morde la coda, che i fratelli Kadane riprendono e non solo: hanno pure il coraggio di piazzarci dentro anche dello slowcore, in una dose pesante.
Malkmus > The New Year > Malkmus > Mark Smith. Quanto ha senso? Secondo me tantissimo, ma è ovvio che si tratta di un ragionamento personale. Uno potrebbe anche non trovare nessun legame tra The New Year e The Fall ma secondo me, se dei secondi fai finta che non esista la parte più noise acida e dei primi tieni quella più sfasata e sommersa nelle distorsioni intese come trip, il discorso torna.
Tutto mi si è incrociato nel cervello da quando sono partite le prima note di Middle America e sono rimasto un po’ inchiodato. Una volta ascoltata a rullo Middle America, che lo ricordiamo è uscita tre anni dopo Wig Out at Jagbags – che era molto bello, visto dal vivo ancora di più, in particolare Chartjunk, Indipendence Street, Lariat e Houston Hades (le ha fatte tutte o ho edulcorato sognando?) – posso dire che Stephen Malkmus si è riconfermato una bestia e ha sostituito Michael Stipe sul podio del più grande scrittore di canzoni pop rock. Visto che Stipe è in pensione. Due parole: Surreal teenager. Questa canzone mi porta via come The Great Beyond mi portava via nel 1999.
Qual è il ruolo di Stephen Malkmus in tutto questo? Con i Pavement ha cresciuto un sacco di ragazzi e ragazze alla fine dell’adolescenza e verso i 20. Con i Jicks ci ha dato sicurezza, non ci ha mai lasciato, fino a oggi che abbiamo ormai 40 anni o anche di più. Dal punto di vista musicale, prima ha definito l’estetica del non sapere suonare, l’ha cristallizzata, poi l’ha fatta evolvere in una personalità che potrebbe suonare qualsiasi cosa, l’ha provato al concerto al Covo facendo cover hard rock. C’ha fatto credere per un po’ di non saper suonare poi c’ha smentito. In questo non ci ha dato sicurezza. Che mattacchione, ve lo dicevo che ha fatto tutto sotto l’ala di mr. Bolgia ma anche Strippo Mark E. Smith. I due non hanno mai ammesso di amarsi ma questo non importa, che si odino (ormai la cosa non può neanche più essere reciproca purtroppo), l’importante è che ci abbiano lasciato le canzoni che ci hanno lasciato o (uno dei due può) che continuino a lasciarcele.