La scuola che diventava la sala prove

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Ogni anno, pochi giorni prima di Natale, c’era il concerto, quel giorno all’anno, fino a poco più di 10 anni fa, in cui dal pomeriggio alle 3 fino a sera tardi molti dei gruppi locali suonavano uno dopo l’altro. Prima succedeva al Carisport, dopo al Vidia di Cesena. A un certo punto il festival, che si chiamava come l’Associazione che lo organizzava, e cioè Il Suono degli Spazi, non si fece più e qualcosa è morto. Se andate al Vidia domani sera, sulla parete di destra del corridoio d’ingresso ci sono ancora tutti i nomi dei gruppi che hanno suonato nel locale e nell’elenco ci sono anche quelli del SDS.

Non era solo il concerto, ma anche tutto il resto. C’era la sala prove e lo studio di registrazione, in una ex scuola a Bagnile di Cesena, e il fatto che quando ti infilavi in quella ex scuola una cosa che facevi di sicuro era stare bene. Io ero tra i più piccoli, tra i più grandi c’era qualcuno che non mi stava simpatico, ma era inevitabile. Il Suono degli Spazi svolgeva il lavoro che oggi svolgono, per le realtà musicali indipendenti, i gruppi, le etichette, insieme a quello che svolge il promoter, insieme a quello che svolge l’agenzia di booking, insieme a quello che fa il service. Non ci si faceva caso, ma il SDS era una specie di cazzutissimo miracolo in cui le competenze di ognuno venivano valorizzate al massimo perché ci si sbatteva affinché le cose riuscissero molto belle con poco denaro. La tessera annuale del SDS costava 10.000 lire, o giù di lì, il SDS viveva di questo finanziamento, dell’affitto della sala prove e di alcuni soldi provenienti dal Comune. Con quella tessera e usando la sala prove contribuivi in parte a tenere in piedi l’organizzazione. Io ero solo iscritto e frequentavo la sala, poi mi sarà anche capitato di trasportare da qui a lì un asta microfonica, ma c’era gente più grande di me che frullava per fare le cose, per il proprio gruppo e per gli altri gruppi.

Fare il demo era l’aspirazione di tutti, fare il cd era quella di alcuni, i più grossi. E a fare il demo o il cd, a suonarli o ad assisterli tecnicamenenete, c’erano le stesse persone che scaricavano il pulmino, che rispondevano al telefono per prenotare gli orari e che suonavano la chitarra, il basso o i cimbali in un gruppo o nell’altro. Una situazione che si verifica ancora, si; per questo significa che è una formula valida, mi verrebbe da dire esplosiva, nel senso di un tot di persone che si conoscono e che un po’ si vogliono bene, si mettono insieme e realizzano qualcosa in cui credono tutte.

Non so se sto per dire una cazzatta, però essere anche una piccola parte di un’esperienza musicale di questo tipo ti forma, ti dà un’impronta che ti rimane, o almeno a me è rimasta. Ma è rimasta anche ad altri, perché alcuni li vedo in giro per concerti a fare lo stesso lavoro nonostante la vita gli sia cambiata e anche molto. Non so se era lo standard, ma ricordo altre realtà simili ma più grandi in città più grandi e in particolare ricordo Torino.
Adesso le situazioni che possono essere simili all’SDS sono anche altro, ma sono anche sempre la stesse, forse i compiti sono più divisi, ci si è specializzati (chi fa booking, chi fa service, che produce), ma l’idea del fare tutto, tutte le cose, tutto il possibile, per se stessi e per gli altri, mi pare (ho amici che si sono più dentro, io ascolto) ci sia ancora. E’ una cosa più complessa di così, qui mi limito ai ricordi, come impone il sottotitolo di Neuroni di questa settimana, ma magari più avanti ci torno sopra, con l’aiuto di qualcun’altro.

Un po’ di storia del Suono degli Spazi l’ho scritta per VisitCesena forse 1 o 2 anni fa.

1992-93

L7 Bricks Are Heavy

La settimana scorsa mi sono piombati in testa una serie di ricordi e ho deciso di fare questa cosa che ho chiamato Neuroni alle scuole superiori. A un certo punto un’epifania, già avuta altre volte in riferimento a cose diverse: il 1992-93 è stato un biennio decisivo. Ero in seconda superiore, ho fatto i conti e questa informazione dovrebbe essere corretta. Poi due giorni fa ho assistito a un dialogo tra Tuono Pettinato e Francesco Farabegoli e l’ho collegato a questi ricordi, al modo che ho scelto per scriverli qui. A un certo punto Tuono ha detto che una delle cose belle del passato (se non sbaglio si riferiva a SUPERAMICI) era avere poco pubblico, quindi essere libero di fare quello che voleva. Naturalmente avere più pubblico vuol dire avere più fama, ma anche e forse sentirsi costretto ad ascoltare gli altri, oltre che te stesso. Io voglio avere un sacco di pubblico, e averne meno è deprimente, ma ti permette di essere libero di fare le cazzate che vuoi. Questo blog ha meno pubblico, quindi ecco che Tuono Pettinato mi ha dato un motivo in più per credere che alle scuole superiori fosse un’idea tollerabile, anche solo per il fatto che avevo una gran voglia di farla, senza pensare che non avrei scritto niente di nuovo rispetto al periodo in cui mi trovo, cioè nel bel mezzo del (finalmente) revival anni 90, che mi piace molto ma che mi ha spinto a non scrivere alle scuole superiori 1992 – 97, ma solo la prima parte, per evitare l’inflazionamento. Altro motivo valido per farlo era avere i ricordi fissati in qualche modo da qualche parte. Quindi va bene, ecco.

Il 24 novembre 1992 i Pavement e i Sonic Youth hanno suonato al Carisport di Cesena, i miei non mi mandarono ma mi spedirono, anche zitto, in piscina, il cui ingresso era di fronte all’ingresso del Carisport. Il 18 dicembre 1992, neanche un mese dopo, i Faith No More suonano, sempre lì, con le L7 di spalla. Devo aver preso mia mamma per sfinimento, perché mi ci mandò. Che significato abbia ricordare il primo concerto della mia vita è chiaro: è bello, è bello trovarne traccia su internet, è bello scoprire che il 29 giugno 1993 sono andato a vedere i Guns a Modena e che quindi ho definitivamente visto, prima di loro, L7 e Faith No More. Ascoltare Faith No More e Guns insieme ci poteva stare, ma nel breve periodo. Proprio come Diego, non ho mai più ascoltato i Gunners dopo il 29 giugno 1993 perché avevo scoperto che c’era altro e la passione totalizzante per Axl Rose svanì. Posso quindi dire che il mio primo concerto in assoluto è stato quello delle L7, quando bisognava vedere le L7, poi a ruota di qualche minuto i Faith No More.
Mio fratello in camera aveva un poster che mi piaceva molto, dei 108, e i 108 mi piacevano così tanto che quando sia io che lui (è più grande di me di 3 anni) ci siamo laureati con 108 ho pensato che fosse destino. Bello il 1992. Nel 92 dei 108 è uscito Holy Name, nel 93 Songs of Separation. Nel 92 è uscito anche Quest For Certainty degli Shelter. Cavolo che biennio il 92-93. Non ricordo bene la sensazione, però nello stesso periodo sono arrivati anche i Nirvana, e quindi credo di essermi ritrovato in mezzo a una specie di confusione costruttiva, dovuta al fatto che tutta quella musica era così diversa e così spaventosa e potente. Non riesco a ricordare l’istante preciso in cui sono passato dal correre a casa per mettere su Use Your Illusion uno o due dopo l’esame di terza media al pensare che i Faith No More fossero la miglior live band del mondo.
Mi arrivava tutto da mio fratello, al quale arrivava roba da amici ancora più grandi di lui, i quali compravano cose da Righi Music. Da qualcuno di questi amici mi deve essere arrivato anche il biglietto del concerto del 18 dicembre 1992, di cui ricordo qualcosa, Midlife Crisis, un Carisport con poca gente e un palco visto dall’alto degli spalti, perché ero andato in mezzo al pogo, avevo provato a registrare col walkman in tasca, era venuta una successione di TUMTUM TUMTUTUM TUTUM, mi ero spaventato e me ne ero andato sui gradoni. Il batterista dei Faith No More suonava coi tom paralleli alla pedana e Mike Patton era uno sbruffone. La paura del pogo mi rimase addosso per un po’, più o meno fino a quando non mi addormentai nel mio letto, e il giorno dopo a scuola ero tutto carico.
Le L7 erano il mio primo concerto punk, il giro di chitarra di Pretend We’re Dead diventò il mio tormento, lo è tuttora, e io ero follemente innamorato di Jennifer Finch.

GREEN RIVER

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Da una loro metà si formarono i Mudhoney, dall’altra i Mother Love Bone, e poi boh il mondo è diventato un posto chiamato Seattle, si è chiamato così per qualche anno, poi vaffanculo, e oggi si parla soprattutto di alcune cose di quel posto, di altre meno, ma la verità è che tutte insieme erano diverse ma davano come l’impressione di una scena e che il tempo le ha un po’ divise ribadendo quella stessa verità, cioè che tutti gruppi erano parti musicalmente isolate, a sé stanti, e il risultato di tutto questo è che oggi i sopravvissuti costituiscono ciascuno una cosa a sè. Erano un insieme sfocato, fatto di elementi diversi, ciascuno con un proprio grado di appartenenza all’insieme stesso, e io cercavo di capire perché quegli elementi si trovavano in quell‘insieme, e quindi li separavo uno dall’altro, pur sapendo che il principio matematico mi avrebbe costretto a rimetterli dentro al cerchio. Il principio matematico era il Grunge e in quanto tale era rigido, non in grado di rispondere alle vere caratteristiche della musica. Si può dire invece che il post-Grunge sarebbe stato un insieme vero e proprio, perché il suono sarebbe stato codificato e i gruppi anche. Dopodiché l’originario insieme sfocato si è sfaldato, prima i gruppi venivano fatti rientrare nel cerchio, adesso non è più possibile.
I Green River sono il gruppo letteralmente seminale di molto di quello che è successo dopo di loro. Hanno cessato di esistere quando due volevano firmare con una major e due no. Erano gente coi capelli ruffi e occhiali da sole enormi. Gli occhiali da sole così grandi non mi sono mai piaciuti ma col tempo sono diventati parte della musica, direttamente associabile a essa, e oggi non è più possibile liberarsi di alcune delle immagini che definiscono quegli anni. Quando questo processo ha iniziato a succedere, quella musica è diventata un fenomeno di costume. Il risultato è che per i vent’anni di In Utero alcuni hanno deciso di vestirsi Grunge, per tutto l’anno.
I Green River hanno fatto un album (Rehab Doll, Sub Pop, 1988), due ep e un singolo. Unendo punk, blues e metal poteva venire fuori un disastro ma rimangono, riascoltati oggi, tanto meglio di gruppi invecchiati molto male, come i Soundgarden. A Seattle alla fine degli anni 80 c’erano mille band che ruotavano attorno alla Sub Pop, che con le sue miracolose compilation ha congelato per sempre piccole porzioni della storia della musica indipendente americana. Riascoltando i Green River mi sono ricordato che non mi piacevano tantissimo e ho scoperto che mi piacciono più adesso. Il bello di riascoltare dischi dopo anni è che si scoprono cose mai sentite prima. Oggi dentro ai Green River sono saltati fuori i Boys Next Door e/o i Birthday Party, geograficamente lontani e già sepolti all’epoca, e Rehab Doll ha preso di colpo un suono dark e post punk e così. Che sia uno dei migliori gruppi di Seattle si sa, perché hanno goduto delle energie giovanili di manici che poi hanno fatto strada in modi diversi, e si sente dal giro di chitarra di Porkfist, che mi è rimasto impresso finché ero liceale in cerca di chitarre solo distorte poi l’ho dimenticato, adesso è il giro definitivo.

Non ho la minima idea di quando tutto questo sia successo, nella mia vita intendo, di sicuro dopo il 1992, e di sicuro prima della fine del liceo.