Il Pavone Reale dei 64 Slices Of American Cheese

 

tempo

Sicuro, sulle riviste e sui siti veri (a parte qualche rubrica illuminata) è richiesta professionalità per scrivere di musica, cioè competenza ma soprattutto un giudizio personale che non sia ego- ma musico-centrico. Ok, dal punto di vista della competenza niente da dire. Ma è una cosa buona che esistano anche i posti in cui si parla di sé in rapporto alla musica, perché c’è la possibilità di leggere cose diverse. Alcune volte trovi persone che uniscono competenza e racconto e secondo me lì è il massimo. Mi vengono in mente tre nomi, Maurizio Blatto, Matteo Cortesi e Francesco Farabegoli. Al di là di questo, scrivere di un disco raccontando qualcosa della propria vita lo mette in una prospettiva unica e secondo me dice qualcosa della musica. Si riesce a capire questa cosa se si è d’accordo col fatto che scrivere di musica non significa solo mettere nero su bianco quello che la musica fa alla persona ma anche quello che la persona fa alla musica. Cioè la persona inserisce la musica in un contesto perché la vuole in quel contesto, e crea il ricordo. Significa, non lo nego, anche il contrario, perché alcune volte ti trovi ad ascoltare cose che non vorresti mai ma, anni dopo, quei momenti diventano sacri, e la musica è parte indispensabile di essi.

Mi rendo conto che spiegare così le cose sia limitante. Ma forse con un esempio riesco a dare più respiro alla questione. Sono quattro mesi che ogni tanto ascolto Il Pavone Reale dei 64 Slices Of American Cheese. Non sapevo cosa pensare, c’ho messo un po’ di tempo, ma forse ora ho capito. Non è la mia musica preferita, troppi riferimenti, troppe variazioni di stile, troppi passaggi forse demenziali, o forse no perché tecnicamente eseguiti alla perfezione. Però ci suonano persone che conosco da una vita, con le quali ho in buona parte condiviso un periodo molto bello, quello della sala prove a Bagnile. Quindi, conoscere quelle persone, parte di quello che hanno suonato, il fatto che comunque abbiano fatto musica sempre facendo quello che volevano fare, attenua il mio giudizio sulla musica, non so se è giusto o sbagliato ma è così. Il Pavone Reale non è un disco che fai se non lo vuoi fare, talmente è fuori dagli schemi della maggior parte delle cose che si sentono, anche tra i gruppi emergenti e o indipendenti, è un disco costruito molto sui gusti e gli interessi diversi delle persone che lo suonano, che sono molti diversi dai gusti che vanno per la maggiore. E questa è una cosa che mi piace molto.

Ma quello che mi piace di più è che mi ha messo ancora in contatto con la musica di quegli amici, che forse adesso sono persone completamente diverse da come erano 20 anni fa e che adesso non sono praticamente più amici, ma lo erano. A queste conclusioni illuminanti ci sono arrivato oggi pomeriggio. Stavo parlando con la mia ragazza di come passa il tempo e lei ha detto una frase come “questi mesi volano e non ce ne accorgiamo neanche, basta, voglio smettere di lavorare” (spesso lavora anche di sera e nei week end, ndr). Mi è venuta in mente un’altra persona che ha scritto su Facebook di aver affrontato con la moglie, proprio l’altro giorno, l’argomento dell’inesorabile passare degli anni. Il tempo che passa è una delle cose che mi ha spinto ad ascoltare molte volte Il Pavone Reale ed è anche una delle cose che mi ha fatto piacere alcuni passaggi, perché c’ho rivisto e risentito alcuni momenti di anni fa. È sbagliato dal punto di vista della critica musicale, ma non sono un critico e sono contento di non esserlo perché così posso scrivere quello che davvero un disco come questo mi ha fatto sentire, e perché.

STREAMING.

Una cosa sul concerto di Caso a Bagnile – per evitare il gioco di parole potevo usare ROBA ma qui non mi sembrava bello.

image

Venerdi sera Jarred the Caveman, Girless and The Orphan e Caso hanno suonato a Bagnile, di cui non dirò niente perché altrimenti dicono che attacco le pezze su Bagnile (a Bagnile c’era la sala prove, il Suono degli Spazi). Non dico niente neanche su Jarred the Caveman e Girless and The Orphan perché devo dire una cosa sul concerto di Caso. Caso è un poeta perché uno che scrive un disco come La linea che sta al centro è uno che ha un sacco di cose da dire, belle o brutte, comunque potenti. Tutte le volte che lo vedo dal vivo mi vengono gli occhi a cuore pieni di lacrime, non nascondo la mia debolezza, che mi porta a piangere anche davanti ai film, tristi o esaltanti al punto da piazzarti il magone nella gola, come Caso. Parete nord è esaltante, Un anno terribile è anche triste. Venerdi sera al bar Bagnile di Bagnile c’era la festa della birra ed è normalissimo che la maggior parte della gente fosse interessata alla birra più che al concerto. A una festa della birra le persone si sbronzano e in questo non c’è niente di male anzi, lo faccio anch’io, non ultimamente perchè devo sempre tornare a casa in macchina e la mia patente o la vita mia o quella di altri valgono di più, comunque, se posso farlo, bevo qualcosa. A un certo punto i Girless hanno detto che Caso è di Bergamo bassa, così, per fare la battuta che visto che non è Bergamo alta non viene tanto da lontano, tutto in amicizia. Venti minuti dopo, durante il concerto di Caso, dietro di me un tipo ha iniziato a urlare BASTA! e poi O O ODIO BERGAMO ODIO BERGAMOO! Non sono sicuro che Caso abbia sentito ma mi pare di si perché ha abbassato lo sguardo per un secondo, e ha riniziato a suonare. Forse non ha sentito, ma secondo me Caso è un gran signore e per questo non ha detto niente, forse l’ha fatto perché sa che non vale la pena o perché non vuole mettersi a fare la scenata e preferisce suonare. Capita spesso ai concerti che la gente disinteressata, scontenta o che vuole fare altro in quel momento urli addosso al cantante, e quindi forse a Caso è già successo, e uno può urlare. Quando mi è successo di sentirlo, a volte mi è dispiaciuto, oppure no. Questa volta mi ha dato fastidio, perchè le canzoni di Caso si meritano più di tutta l’attenzione, primo per le parole, che ti portano via, poi (motivo contingente ma da prendere in considerazione perché sarebbe come non prendere in considerazione la vita) perché lui è venuto lì da Bergamo bassa e se ne torna a casa quella notte stessa perché la mattina dopo deve andare a lavorare. Voglio dire, a Caso piace fare concerti in giro ma non è facile in certe situazioni, però lo fa, altri lo fanno ok, tra questi altri c’è anche lui. Ci sta che al tipo non piaccia la sua musica ma a me piace molto quindi il fatto che l’abbia scherzato mi fa incazzare molto. C’entra moltissimo che sono vittima della #casomania, se non fosse così non avrei scritto. Quindi non sto facendo un discorso generale ma mirato, che può diventare generale nel momento in cui riguarda qualcuno la cui musica mi piace molto. Penso anche che le canzoni di Caso quella sera non venivano trasmesse in filodiffusione in tutta la Romagna e se al tipo non piacevano poteva pure andare a fare la fila al capanno delle birre. Il mio sentimento però è contrastante perchè so che nessuno può dire al tizio di starsene zitto o cacciarlo perché ha urlato una roba due volte. Ma conosco anche il valore di quello che Caso fa, artisticamente e non solo. Caso ha scritto Parete nord e Fino agli alberi sottili e il fatto che io pensi che sia il migliore cantautore italiano in circolazione adesso mi fa venir voglia di uccidere quello che gli hanno urlato addosso, anche se in fondo non gliene frega niente di Caso, anche se era sbronzo e non si ricorderà neanche di averlo fatto. Io personalmente avrei sotterrato l’ultrà nel frigorifero delle Moretti. Forse non avrei dovuto pubblicare questo articolo, è molto ingenuo, ma chi se ne frega. Parete Nord è una sorta di manifesto, almeno per me: dice che le cose che ci piace fare non le facciamo per avere consensi e che possiamo contare solo su quello che abbiamo, che è poco ma ci piace, è quello che siamo, e possiamo raccontarci solo per quello. Avevo pensato anche di mandare tutto in vacca dicendo cose come che mi sarebbe piaciuto che Caso fosse sceso dal palco e avesse urlato Cesena merda, oppure TAGLIATI i CAPELLI, o avrei potuto farlo io, ma poi ho pensato di no. La tipologia ultras di pubblico è difficile da affrontare, anche se tutti i posti del mondo possono generare una tipologia di pubblico sempre peggiore in base anche alla quantità di alcol che ha erogato e al di là degli odi calcistici trasferiti su gusti musicali dettati a partire dalla birra n.6 che ti pulsa nel cervello e ti dice che non vuoi fare altro che ballare della dance anni 90 e non ascoltare un cantautore che dice cose intelligenti. L’occasione di urlare contro Bergamo il nostro amico l’ha avuta e l’ha colta al volo, non ci può essere tentazione più difficile da scacciare, soprattutto quando il campionato è iniziato da poco e la fotta è grossa. E non è una presa di posizione contro gli ultras, è una presa di posizione contro lui che ha urlato rispettando il modello del tifo da stadio ricalcato sulla vita. Magari non è neanche un ultras, ma qualche amicizia deve averla. Non so quanto importi a Caso di Bergamo, ma un po’ gl’importerà, visto che ci vive e credo ci sia nato. Personalmente, quell’urlo lo riterrei offensivo, perché sono permaloso, ma anche perché dimostra che da nord a sud, da centro a nord o che ne so, sollecitato da un po’ di birra, l’uomo italiano è infame. Poniamo che il tipo che ha urlato avesse disegnato una bandiera della sua squadra del cuore e poniamo che io gli andassi a dire che il suo disegno è una merda, probabilmente mi prenderebbe a testate. Per il resto, ognuno è libero di dire la propria opinione di fronte a un cantante che ha il coraggio di esporsi, ognuno può collegare l’odio calcistico a una cosa che non c’entra niente, non esporsi, non avere coraggio, nascondersi dietro a un coro per esprimersi e trattare a pane e arroganza chi fa il contrario. Ah dì, te puoi urlare quello che vuoi, però il concerto è stato molto bello e mi sei stato un sacco sul cazzo. Dove vivo io, in Romagna, le espressioni Ah dì e Ah cio significano la fine dei giochi di fronte a una cosa che è così e non può essere diversamente anche se si vorrebbe che lo fosse, non risolvono nessun problema ma da un certo punto di vista esprimono, quando non anche una comoda rassegnazione, un certo disagio di chi le usa.

La scuola che diventava la sala prove

riga_rossa01

Ogni anno, pochi giorni prima di Natale, c’era il concerto, quel giorno all’anno, fino a poco più di 10 anni fa, in cui dal pomeriggio alle 3 fino a sera tardi molti dei gruppi locali suonavano uno dopo l’altro. Prima succedeva al Carisport, dopo al Vidia di Cesena. A un certo punto il festival, che si chiamava come l’Associazione che lo organizzava, e cioè Il Suono degli Spazi, non si fece più e qualcosa è morto. Se andate al Vidia domani sera, sulla parete di destra del corridoio d’ingresso ci sono ancora tutti i nomi dei gruppi che hanno suonato nel locale e nell’elenco ci sono anche quelli del SDS.

Non era solo il concerto, ma anche tutto il resto. C’era la sala prove e lo studio di registrazione, in una ex scuola a Bagnile di Cesena, e il fatto che quando ti infilavi in quella ex scuola una cosa che facevi di sicuro era stare bene. Io ero tra i più piccoli, tra i più grandi c’era qualcuno che non mi stava simpatico, ma era inevitabile. Il Suono degli Spazi svolgeva il lavoro che oggi svolgono, per le realtà musicali indipendenti, i gruppi, le etichette, insieme a quello che svolge il promoter, insieme a quello che svolge l’agenzia di booking, insieme a quello che fa il service. Non ci si faceva caso, ma il SDS era una specie di cazzutissimo miracolo in cui le competenze di ognuno venivano valorizzate al massimo perché ci si sbatteva affinché le cose riuscissero molto belle con poco denaro. La tessera annuale del SDS costava 10.000 lire, o giù di lì, il SDS viveva di questo finanziamento, dell’affitto della sala prove e di alcuni soldi provenienti dal Comune. Con quella tessera e usando la sala prove contribuivi in parte a tenere in piedi l’organizzazione. Io ero solo iscritto e frequentavo la sala, poi mi sarà anche capitato di trasportare da qui a lì un asta microfonica, ma c’era gente più grande di me che frullava per fare le cose, per il proprio gruppo e per gli altri gruppi.

Fare il demo era l’aspirazione di tutti, fare il cd era quella di alcuni, i più grossi. E a fare il demo o il cd, a suonarli o ad assisterli tecnicamenenete, c’erano le stesse persone che scaricavano il pulmino, che rispondevano al telefono per prenotare gli orari e che suonavano la chitarra, il basso o i cimbali in un gruppo o nell’altro. Una situazione che si verifica ancora, si; per questo significa che è una formula valida, mi verrebbe da dire esplosiva, nel senso di un tot di persone che si conoscono e che un po’ si vogliono bene, si mettono insieme e realizzano qualcosa in cui credono tutte.

Non so se sto per dire una cazzatta, però essere anche una piccola parte di un’esperienza musicale di questo tipo ti forma, ti dà un’impronta che ti rimane, o almeno a me è rimasta. Ma è rimasta anche ad altri, perché alcuni li vedo in giro per concerti a fare lo stesso lavoro nonostante la vita gli sia cambiata e anche molto. Non so se era lo standard, ma ricordo altre realtà simili ma più grandi in città più grandi e in particolare ricordo Torino.
Adesso le situazioni che possono essere simili all’SDS sono anche altro, ma sono anche sempre la stesse, forse i compiti sono più divisi, ci si è specializzati (chi fa booking, chi fa service, che produce), ma l’idea del fare tutto, tutte le cose, tutto il possibile, per se stessi e per gli altri, mi pare (ho amici che si sono più dentro, io ascolto) ci sia ancora. E’ una cosa più complessa di così, qui mi limito ai ricordi, come impone il sottotitolo di Neuroni di questa settimana, ma magari più avanti ci torno sopra, con l’aiuto di qualcun’altro.

Un po’ di storia del Suono degli Spazi l’ho scritta per VisitCesena forse 1 o 2 anni fa.