Tre dischi grossi

Una nuova rubrica. Con tre recensioni che avevo scritto tempo fa separatamente e che pubblico adesso insieme perché i gruppi hanno in comune questa cosa di essere grossi. Grosso non ha proprio un significato positivo. Da noi si dice diobo sei grosso a uno che non ha per forza i muscoli ma che di sicuro fa una cosa ben fatta, però poi si pensa ma anche meno.

Bruuno, Belva (V4V e Coypu Records)

Alcuni gruppi usciti da poco (Lags, Bennett, A VOLTE Giønson) fanno del post hard core post tipo Disquieted By. Belva è un po’ diverso dagli altri, perchè spinge di più sul noise: scuola Putiferio, oltre che One Dimensional Man, soprattutto per il piglio ecumenico del cantante.
Il rischio del post hc è quello di suonare sempre forte, senza dare alle canzoni sfumature diverse. I Bruuno ci cascano in pieno. Hanno sempre un suono grosso, da lì non si schiodano. Nei momenti in cui la chitarra si riposa un attimo (non si ferma, arpeggia, come Ruggire come le porte e Seppuku), lo fa fortissimo e non c’è differenza.
La caratteristica più evidente di questa monotonia è la mancanza di dinamicità. Le canzoni procedono per blocchi, uno dopo l’altro, e a volte i blocchi sembrano in loop. Ci sono troppi accenti e le canzoni vanno avanti come se fossero preimpostate.
Il disco perde di potenza, perché la ripetitività sempre urlata dopo un po’ indebolisce il tiro, anche se è voluta. E anche se è la via scelta per cacciare fuori la rabbia: lo è solo per chi la suona, che spinge sempre forte e si sfoga, e non per chi ascolta, perché dopo un po’ a sentire canzoni che hanno sempre lo stesso livello di incazzatura non si trova più la via d’uscita per tutte le sfumature di quel che uno vorrebbe scrollarsi di dosso.
Le canzoni perdono tutto in termini di sviluppo di una progressione. Quando c’è un tentativo di fare un crescendo (Seppuku e Troppo spesso lento) il risultato è come zoppo.
Questo secondo me. Poi, visto che di questo disco se n’è parlato benissimo, di sicuro se vado a un concerto dei Bruuno c’è la gente che si ammazza senza mai fermarsi, e trova piacevole farlo con questa musica. E io me ne vado pensando che non è roba per me perché se ci sono io là nel mezzo mi spaccano tutte le ossa. Free download.

Lags, Pilot (To Lose La Track)

I Lags fanno del post core lirico incrociato al math core. Per questo alcune volte si differenziano dal post hc, mettendo giù un po’ di Delta Sleep e Valerian Swing, sempre To Lose La Track.
Coi Lags il mio rapporto d’amore è in fase calante. Appena ho iniziato ad ascoltare il disco mi gasava. Una sera la mia ragazza è entrata in cucina, io li stavo sparando a palla e mi ha chiesto “da quant’è che ascolti musica così dura, topolino?”. Io ho risposto a braccia conserte e gambe larghe “sempre fatto”, senza verbi, un po’ risentito.
Circa un mese dopo, un’ora prima del live che avrei visto, ho comprato il cd al banchetto. Convintissimo. È col live che ha incominciato a passarmi, è lì che la monotonia delle canzoni mi è stata pesante per la prima volta.
I Lags sono sempre sempre grossi, portano avanti sempre la stessa massa, la stessa quantità di suono. Hanno una batteria potentissima, un cantante che è un tenore, una chitarra potentissima e larghissima e fanno uscire un suono enorme. Ma non c’è una sfumatura diversa dalla gigantezza, come nei Bruuno. Di fronte al palco questa cosa mi si è presentata con una chiarezza irreversibile.
Ho ascolato altre volte il cd in macchina, non allo stesso modo ma notando solo quello che non mi piaceva. Non lo ascolto da qualche mese. Non fare come me, ascoltalo adesso.

Majakovich, Elefante (V4V)

Il grosso dei Majakovich è un grosso diverso. Il loro problema, che è ancora più problema in Elefante rispetto a Il primo disco era meglio, è che sono epici. Non è l’epicità dei testi, ma della musica, della scrittura e delle melodie. Ok, certi versi sono pieni di enfasi, un incrocio tra una roba fuck the world, il piangersi addosso e l’aggressività. Però non sono le parole il problema, in fondo ho sentito mille gruppi emo con quel tipo di testi.
Il fatto è che tutte le musiche hanno qualcosa di sensazionale, cioè sono sopra le righe. Le canzoni dei Majakovich sono il risultato dell’unione tra esaltazione dell’emozione emo e Afterhours, dei quali sono stati orgogliosi compagni di viaggio in tour. La musica è impeccabile, potente e minuziosa allo stesso tempo, passaggi precisi in ogni momento. Ma è sempre molto carica, anche nei momenti più melodici (era così anche in Ufo o all’inizio di Colei che ti ingoia – titolo e canzone very very Afterhours – di Il primo disco era meglio) e questo crea un unico flusso di sensazioni, tutte uguali. La voce ha lo stesso problema, molto teatrale, sempre urlata.
L’eccesso rende Elefante un disco sovraesposto, che comunica sempre allo stesso livello, ridondante di vibrazioni che vogliono essere efficaci a tutti i costi.

Ho un problema con questo tipo di musica. Non mi appartiene quel modo di gridare le cose per farsi sentire per forza, perché mi sembra che lo si faccia perché, in fondo, si ha poco altro da dire.

To Lose La Track ha 10 anni

gazebo al covo per la festa dei dieci anni di to lose la track

Questo articolo lo scrivo per festeggiare. Ma prima volevo raccontare una storia triste, che mi ha fatto scoprire una cosa bella, che è proprio quella che festeggio oggi: To Lose La Track. Una volta mi è successo di avere dubbi sui motivi per cui ascolto musica, cioè principalmente che è una necessità, mia come di altri, di quelli che non hanno altro da fare. Ascoltavo ma non trovavo niente, e alla fine ascoltavo poco o niente, una storia vecchia, quella dello zio annoiato. A un certo punto pensavo che quello che stava succedendo fosse normale perché così vuole l’evoluzione della specie. Un giorno ho letto su internet che c’era quest’etichetta dal nome che suonava benissimo e ho incominciato a cercare le sue cose. To Lose La Track è stata importante, perché ha ridefinito il mio interesse, anzi lo ha proprio ricreato. Nello specifico, mi ha fatto scoprire canzoni nuove in cui ho trovavo qualcosa di me, e da lì ho capito che la china che avevo preso era sbagliatissima. Non c’era solo qualcosa di me, c’erano tante altre cose. Era il 2011, e avevo appena scoperto anche che TLLT produce solo la musica di amici, una cosa molto bella, perché permette di conoscersi prima di tutto e prima di arrivare in studio. Poi col tempo ho notato la laboriosità: quella di Luca Benni è da prendere a esempio per la vita, fare uscire una marea di dischi, i festival e i concerti, senza fermarsi mai. Così in 10 anni ha fatto 80 dischi, alcuni dei quali sono diventati i miei preferiti, altri no. Mi piace moltissimo ascoltarli quando escono. E quando ho qualcosa che mi sembra vagamente intelligente da dire lo scrivo. Una delle cose che mi piace di più fare con i gruppi To Lose La Track è vederli dal vivo, perchè sono tutti bravissimi, e questa cosa che hanno in comune è incredibile.

Quel Luca Benni di prima è il ragazzo che ha inventato To Lose La Track. Nell’ultima busta che mi ha spedito poco più di una settimana fa c’era la compilation dei dieci anni dell’etichetta. L’ho aperta e mi sono sentito un po’ parte di qualcosa, è stata una bella sensazione, che mi ha fatto fare un sospiro di sollievo grande così per quella volta che ho conosciuto TLLT e mi ha tirato fuori dalla picchiata verso quella sottospecie di apatìa. Una volta in chat ho detto a Luca che quello che fa me la fa passare molto meglio. Ecco perché gliel’ho detto. Non sono un disperato, sono in buona salute, ho un lavoro, una famiglia che mi vuole bene, una macchina che tiene la botta, ma questo non vuol dire non avere bisogno di quella cosa che mi fa stare meglio, come solo lei sa fare. Non meglio come può fare una droga o la ragazza che ami. C’è un legame tra quella cosa dell’amicizia e la musica di TLLT, quando l’ascolto si sente, è una specie di simpatia che suona coi dischi, di cosa grande che contiene tutto, dentro la quale si scrivono le canzoni, si registrano, si stampa il disco, si fa uscire, lo ordini, ti arriva a casa e lo apri. Dopodiché ho questo desiderio di farlo sentire a più gente possibile, di far conoscere da dove viene. A più gente possibile. Prima di me tante persone hanno scoperto TLLT, altrettante dopo di me. È chiaro che fare tutto con quello spirito funziona. Stagione 2011-2012, La mano sinistraLegna e Lords of Tagadà li ho ascoltati tantissimo e sono state le mie tre punte d’attacco, o le mie rocce in difesa. E allora ecco, preso bene dalla metafora calcistica, che ho messo in piedi il mio 11 leoni tirandoli fuori dalla compilation più uno dal roster. (Leggila come leggeresti quella dei Mondiali dell’82): Chambers, Havah, Valeriani, Riviera, Donasci, Disquieted, Girless, Verme, Gazebo, L’Amo, Caso. Allena Johnny Mox, grande Maestro di Cerimonie. Stare bene.

to lose la track in campo

So che in futuro continueranno a uscire su TLLT altri dischi importanti. Lo so perché lo so. Oltre tutto, Luca Benni ha inventato anche un Memory per fare giocare chi va sul sito. Giocare è un modo per festeggiare insieme, sul web. Sabato sera invece c’è stata una festa molto fisica al Covo a Bologna, una delle 10 che TLLT ha organizzato in giro per l’Italia per il suo decimo compleanno, dove tutti possono andare a vedere i concerti e a comprare le magliette e i dischi, a fare queste cose insieme perché conoscono TLLT, che è il motivo per cui prendi su la macchina e vai. Vendere i dischi gli serve, a Luca Benni, per farne altri, farne altri gli serve per TLLT e TLLT serve tantissimo a migliorare la vita a me e a tutti quelli che erano là sabato. Ho riportato a casa tutte le ossa intere solo perché mi sono dovuto dare una calmata, ma c’era anche gente che si ammazzava sotto al palco e in faccia gli vedevi il sabato sera, la domenica di festa e la bellezza di essere lì. Per la prima volta nella mia vita ho visto una ragazza fare stage diving. Suonavano Gazebo Penguins, Valerian Swing, Delta Sleep e Majakovich. Capra ha raccontato di quando i Gazebo Penguins hanno spedito il demo a Luca Benni e ha reso in poche parole tutto il senso della festa. Che è stata molto bella, ed era indispensabile per me andare a vedere com’è. A un certo punto, proprio mentre Capra era in piedi sulla sedia, ho pensato: guarda che storia, nel 2010 non l’avrei mai detto che adesso sarei stato qui, auguri To Lose La Track.