Non sono gli anni e neanche i chilometri, Ate Ate Ate (e Lov Lov Lov) dei Putiferio

Tutti quelli che adesso hanno circa 33 anni hanno desiderato una volta nella vita di farsi la T-Shirt degli 883, con davanti stampata la copertina di Hanno ucciso l’uomo ragno e dietro il logo del gruppo in piccolo, subito sotto il bordino del girocollo. Io c’ho pensato insieme a un mio amico che una volta era simpatico e ragionava anche, adesso c’è rimasto perchè si è mangiato cose che non avrebbe dovuto ed è in procinto di rilevare l’attività di famiglia, un attività della madonna. E c’è anche chi dice che ce la farà. Non so davvero come abbiamo fatto a ridurci a pensare certe cose, a ridurci così. Come abbiamo fatto per esempio a tollerare il passaggio dalle sensazioni forti di S’inkazza, dallo spaesamento di Nord Sud Ovest Est, passando per La dura legge del gol, a Sempre noi, fulminante stupidaggine da ventunesimo secolo italiano dell’ultimo Pezzali? Ora che lo stanno pure rivalutando quel Pezzali lì… Basta, accendo You Tube.

Ecco cosa dovrebbe fare la musica rrrock, dovrebbe suonare il casino che abbiamo intorno, non parlarne direttamente, non sproloquiare nel testo, ma trovare il modo di infilarlo nella musica. Non è che non ci sia niente in giro, anzi c’è anche troppo. Non è che noi giovani non abbiamo più valori, ma molti di noi hanno troppi e sono quelli sbagliati. Naturalmente questo è il mio punto di vista. Per esempio un tronista di Maria De Filippi e un essere di Geordie Shore hanno un sacco di cose a cui pensare: le sopracciglia, i pettorali (che sono due cose a cui pensare), le natiche (che valgono, anche queste, doppio), il pisello, i giusti pantaloni, il taglio di capelli… Sono troppe cose in una volta, ogni maledetta mattina. Ecco perchè c’è confusione, ecco perchè ci siamo ridotti a gioire di Sempre noi.
Leggete e ascoltate bene il testo di Aristocatastrophism, si parla di una rivolta contro il disgusto, ma con parole nuove, efficaci, non definitive. C’è un altro pezzo dell’album Ate Ate Ate dei Putiferio che esprime perfettamente quanto mi si sono allungate le palle di fronte a simili sprechi di energia, ogni mattina ad aggiustarsi la coda perchè potresti usarla nel pomeriggio: è Putiferio Goes To War, 12 minuti di irragiungibili evoluzioni del suono migliore e di dove bisognerebbe convogliare le nostre cazzo di forze. In cose potenti, che richiedono pazienza, ascolto, amore. I Putiferio hanno sfornato con questo pezzo una delle migliori cose italiane degli ultimi anni.
Insomma, è quasi inevitabile che alcuni pensino di evacuare, non nel senso più viscerale del termine, ma nel senso di andarsene e di porsi per un attimo o per più di un attimo in un’altra posizione rispetto a quella in cui si è stati fino a quel momento. Hate ate 8 è un ragionamento su come le parole possono cambiare significato semplicemente aggiungendo una lettera, o sostituendola con un’altra, oppure è il momento in cui si può sostituire una cosa con un’altra, o il momento in cui il disco dei Putiferio prende una via addirittura romantica. A cambiare, in Give Peace A Cancer (primo brano del disco), sono invece le velocità e il suono gonfio delle chitarre che dal secondo 1:48 lasciano quell’odore di bruciato in giro che vorresti si sentisse all’istante anche quando c’è qualcuno che sentenzia che in Italia non c’è la scena, in Italia non c’è modo di ascoltare roba buona. C’è modo, c’è modo, basta lasciarsi toccare i timpani da quello che riescono a sviluppare dal secondo 3:40 di Give Peace A Cancer i Putiferio: un connubio perfetto tra lentezza e distorsione. Si può poi finire anche fischiettando, ma rimane un presente ingombrante, una presentazione (cioè la prima canzone dell’album) sepolta da un melodico fischio, ma che rimane lì. E aspettiamo solo di vederla dal vivo.
Giusto rivalutare, o anche solo valutare gli 883? Non so. Certo non si può non dire che quella delle magliette era un’idea di merda, che rispecchiava un’acerba gioventù, ignara di quello che di buono c’era intorno a lei. Oggi che siamo più coscienziosi capiamo che per esempio intorno c’è anche Carnival Corpse For Servers (Ate Ate Ate, terzo pezzo) dove ci piace sentire come la strumentazione rrrock può diventare un gioco tanto serio quanto diabolicamente divertente.
Oggi c’è anche questo, quindi non stiamo a pensare al perchè di certe transizioni o di certi cambiamenti dal passato al presente.
Ho fatto qualche domanda a Mario Macerone, poeta, scrittore ma anche appassionato di musica.

Ciao Mario, perchè secondo te noi italiani ci lamentiamo che da noi c’è solo la Pausini, quando abbiamo gruppi che spaccano come i Putiferio?
Perchè molti non accostano alla passione per la musica la curiosità per la musica. Secondo me sono due cose inscindibili, ma per altri no. Si accontentano, anche loro, in fondo sedicenti esperti, e non scavano oltre a quello che propone la grande distribuzione, alla Pausini che tu hai citato con un pò cattiveria, ma anche ai Radiohead, che io cito con candore. La curiosità di scoprire cose sempre nuove è la capacità di mettere sempre in discussione i propri gusti musicali, senza aver paura di non ascoltare cose cool. In Italia c’è un gran lavoro di etichette e di gruppi indipendenti: To Lose La Track, RobotRadio Records – per la quale incidono i Putiferio -, FromScratch, Macina Dischi, La Tempesta Dischi… Ci vuole curiosità ma se non ce l’hai è difficile imporsela. Una volta che le scopri ti innamori di queste realtà, perchè spesso la qualità è alta e i concerti dal vivo sono all’altezza del disco, e ascolti tutto quello che ti propongono, scegliendo quello che ti piace. E non è vero che a chi piace la Pausini non possono piacere i gruppi indipendenti. A me per esempio piace la Pausini ma anche i Putiferio.

Allora, prima di tutto non ho citato la Pausini con cattiveria, è solo il primo nome di un cantante italiano molto noto che mi è venuto in mente. Potevo dire anche Ramazzotti. Poi volevo farti una seconda domanda. Hai citato due volte, e io ti ho imboccato, i Putiferio. Dei loro album preferisci Ate Ate Ate o Lov Lov Lov?
Lascio correre la polemica sulla Pausini e/o Ramazzotti, sterile. Rispondo: il secondo, Lov Lov Lov, lo trovo più definito, quadrato. Ate Ate Ate ha però un freschezza che Lov Lov Lov non raggiunge. Entrambi sono molto curati dal punto di vista della produzione. In generale mi piace molto come i Putiferio costruiscono gli arrangiamenti delle chitarre, spezzando la linearità, anche con ritmiche dispari, e allungando gli attimi musicali all’infinito con arpeggi, inserti noise o rallentamenti. Hopileptic! in Lov Lov Lov è il manifesto di questo tipo di arrangiamenti. Mi piace anche come la batteria s’inventa il proprio spazio e s’insinua perfettamente tra le dinamiche della chitarra. O forse probabilmente è il contrario. Ate Ate Ate mi ha dato molte soddisfazioni perchè contiene punti di vista musicali sempre nuovi, è un album che parte da un punto preciso e finisce completamente altrove, passando nel tragitto compiuto attraverso altri altrove. Ma Lov Lov Lov è più maturo, individa un punto e indaga a fondo quello, senza però mai adagiarsi. Questo mi piace molto. Senti l’incipit di True Evil Black Medal. Ascolta tutta la canzone prestando particolare attenzione all’intramezzo paradisiaco che precede il finale. E’ come se la band aprisse tutte le porte cui conducono tutti i giri. Così, a volte, s’inventa parti di brano folli, lontane da quello che c’è appena stato. Il finale però rimette in carreggiata tutti.

Bene. Un’ultima domanda: quale cibo mangeresti volentieri ascoltando i Putiferio?
Il curry indiano più piccante.

Ate Ate Ate si conclude con Where have all the razors gone e HOLES holes HOLES. La prima è l’inizio della fine, la seconda è la fine del viaggio nell’altrove di cui ha parlato Mario Macerone. Ate Ate Ate è un album strepitoso. Non so se penso ancora le cose che ho scritto qualche settimana fa di Lov Lov Lov. Semmai penso ancora meglio di quel disco perchè secondo me i Putiferio, a quattro anni di distanza da Ate Ate Ate, sono cresciuti un botto.
Dal vivo il 17 novembre al Sidro di Savignano sul Rubicone, se siete nei paraggi (qui le foto del concerto).

Lov Lov Lov, Putiferio: ecco perchè voltare finalmente pagina

Può succedere (e questo incipit non è certo dei più originali ma è dovuto, per non cadere in una generalizzazione che sarebbe eccessivamente penalizzante) che sulle riviste specializzate italiane si trovino affermazioni che danno la scena musicale italiana come morta. Solitamente, la si mette sul piano classico del “non esistono più i gruppi di una volta”, anche se si afferma di non voler dire “che non esistono più i bei gruppi di una volta”, e il principio è quello che espletava la Paolino Paperino Band quando cantava Extracomunitario: “Io! Non sono mica razzista però! Ma quanti lo dicono! Io non sono mica razzista però basta che tornino tutti a casa loro e non mi fottano il lavoro…”. Cioè è come dire una cosa però dire che non la si dice.
Spesso, adesso, si parla dei tempi d’oro riferendosi ai Dischi del Mulo, al CPI, e poi ai CCCP/CSI e ai primi Marlene Kuntz e anche ai La Crus (sempre e solo i primi). Tempi splendidi, non lo nego. Conseguenza di questo discorso è il tirar merda sui protagonisti di quell’era, che oggi si sono conformati, sono degli stronzi, dicono cacate e via dicendo. Spesso si sbaglia anche bersaglio prendendo di mira per esempio più Cristiano Godano perchè è andato a Sanremo o perchè scrive sul Fatto Quotidiano e non Giovanni Lindo Ferretti che nel 2010 ha dichiarato “Meno male che c’è la Lega, altrimenti non avrei saputo per chi votare”. Al di là del fatto che si sbaglia vittima, non si tiene neanche in considerazione che quelli che avevano 30 anni nel 1994 (quando uscì Catartica, il primo dei Marlene) e che ascoltavano già i CCCP, i Litfiba o i Diaframma dicevano “non esiste più la musica di quando ero giovane io”. E così via dicendo fino al tempo in cui i romani dicevano che gli etruschi suonavano meglio le percussioni, e oltre ancora.
A cercare bene, c’è sempre qualcosa di buono, se non ottimo. L’ottimismo è il sapore della vita, lo dico anch’io.
Prendi per esempio tutto il Lato Oscuro della Costa e i progetti paralleli (qui Moder, ma c’è anche dell’altro che il Lato Oscuro ci propone), la Minoia Records, la To Lose La Track (neuronifanzine ha scritto di Chambers e Disquieted By ma i gruppi in casa To Lose La Track sono tanti e diversi tra loro), Robotradio Records e La Macina Dischi, oppure Fromscratch Records (Topsy the Great). Sono cambiati i tempi e le modalità, ma questo conta poco, quello che conta è che a fare certi discorsi ci si obbliga a chiudere gli occhi e ci si perde un sacco di robbba buona. Tra parentesi, le etichette e i gruppi nominati sono solo una parte di una ben più ampia galassia di buone produzioni (sono quelle che, in questo momento della mia vita preferisco) e sono in piedi già da alcuni anni. Tra l’altro, lode all’iniziativa di Hana-Bi/Bronson, che nelle serate Rifondazione Indie Rock fa suonare le meglio cose dell’indie italiano de oggi (prossimo appuntamento il 10 novembre).
Lov Lov Lov dei Putiferio (aprile 2012, Robotradio Records e La Macina Dischi) è una delle cose per cui vale non lagnarsi e aprire gli occhi. Prima di tutto dentro c’è Amazing Disgrace, che suona come un pezzo hc vecchia scuola ma aggiunge svise di chitarra e batteria che è un piacere stargli dietro ad ascoltarle. Perchè sono travolgenti. L’album unisce ritmiche sincopate a distorsioni corpose, ben costituite dalla perfetta amalgama chitarra-chitarra. Ed è infatti piuttosto il guitar noise (?!?) che dà carattere e corposità al tutto. Ma la chitarra sa anche regalarci momenti di poesia (uno, l’arpeggio in Hopileptic!). Bestiale il lavorìo della batteria, mai uguale a se stessa, attorcigliata alle canzoni e attorcigliante le ritmiche, pese e graziate allo stesso tempo. In senso contrario, Loss Loss Loss spezza, nel finale, l’andamento dell’album, rallentandolo un pò, ma dandogli anche quello schiaffo elettronico ben arrangiato e d’ambiente che sfida tutte le altre canzoni, e chi le ascolta, a osare di più. Ci sono gli echi dei PiL, dei Korn e di certi esperimenti di Lee Ranaldo. Industrial. Tracce di Industriale si trovano in Now The Knife Is My Shrink, dove il cantato lamentoso ti porta a una melodia e a un giro chitarre/batteria che genera un altro ritmo, e la voce prende a correre di più. A questo punto il muro delle distorsioni risulta insuperabile. Si tratta di una caratteristica estendibile a tutto l’abum: quando i ritmi della batteria insistono più su sè stessi, le distorsioni trionfano e non lasciano spazio al passaggio nemmeno di un filo. O di un moscerino. True Evil Black Medal chiude Lov Lov Lov con una drum machine che ha una storia a sé, nell’incipit: si intreccia con una chitarra noisy e poi si trasforma in batteria acustica, passando per un ritornello apertissimo e finendo per costituire una ritmica distante ma perfetta.
La cosa grandiosa in questo disco è che non si avvertono i passaggi dalla strofa al ritornello, anche se ci sono, non se ne avverte la ripetizione. I Putiferio suonano molto sulla struttura della canzone, non toccandone i pilastri “tradizionali”, ma distruggendone i passaggi con variazioni sul suono e sul ritmo. Non è possibile non avvertire l’apertura che alcune canzoni hanno, il carattere che assumono partendo da ritmi scheletrici ed esplodendo in un secondo momento in giri potentissimi. Void Void Void è forse l’esempio più adatto per ascoltare questo tipo di alto-basso, pieno-vuoto: secca come la gola nel deserto all’inizio, piena fino all’orlo dopo. E ogni volta il vuoto cambia, si modifica, così come il pieno, mai uguale a se stesso. Anche attraverso questo la struttura della canzone viene rimestata, confusa, grazie a sonorità aggressive e pungenti e a varianti impreviste.
I Putiferio sono Luca (batteria), Panda (voce), Mirco (chitarra), Jan (chitarra) e vengono da Padova. Lov Lov Lov è stato registrato e missato da Giulio Ragno Favero (One Dimensional Man, Il Teatro degli Orrori, Zu ma anche il primo disco dei Putiferio) e Andrea Cajelli (Ghost Records) ed è di una complessità musicale e sonora molto rare. Superiore, da questo punto di vista, allo splendido You Kill Me dei One Dimensional Man, al quale lo si può accostare per incisività e modalità di trattare il suono della chitarra. Ma Lov Lov Lov è più vario e più divertente. Impossibile non prenderlo in considerazione: ascoltatelo, sveglia, invece di tormentare i nostri vecchi (cari) amori musicali.

PS. Il precedente album dei Putiferio è Ate Ate Ate, al quale riserveremo un’altra recensione (eccola qui). Non bastano le poche righe in chiusura della presente.
Le foto dei Putiferio live al Sidro di Savignano sul Rubicone (FC), 17 novembre 2012.