Vivere in campagna. Malkmus and his Jicks: Sparkle Hard

Sporty
Le nuotate alla piscina comunale di sera dopo i compiti erano sempre una palla, ma alla fine ero contento. Arrivavo là che non ne avevo mezza e uscivo sfasciato, di quella stanchezza bella però, come si dice, perché sei soddisfatto e pensi che sia utile. Il mio stile preferito era la rana ma nessuno dei simpatici istruttori che ho avuto nel corso del tempo mi ha mai permesso di farne tanta: avevo bisogno di allargare le spalle, non di stringerle, e la rana ti fa chiudere a guscio. La mia cassa toracica era stretta come quella di un ciclista, “ma non sei un ciclista, ah ah!”, mi ha detto una volta un istruttore, facendomi veramente sbellicare di risate. Anche lo stile libero ni. Dovevo fare il dorso o il delfino. Che palle.

Però nuotare mi piaceva, perché ero sicuro che fosse un modo per migliorare quella forma fisica di cui non andavo mica tanto fiero. Momento minimo della mia autostima fisica: il dottore alla visita medica militare che vedendomi nudo nato urla: “Attenzione, arriva Schwarzenegger!”.

In piscina con me veniva Rigi. Poi c’era Zigartina, uno del liceo. Lo avevamo chiamato così perché dopo 50 vasche io e Rigi andavamo a prendere un ovino kinder, lui si fumava una bella sigaretta a polmone aperto. Spesso ci portava e veniva a prendere mio nonno, che a volte rimaneva in gradinata a guardarci. Se durante la lezione sentivamo “Vai Giacomo!”, o anche “Dai Rigi” (per par condicio, è sempre stato un po’ democristiano) allora voleva dire che era rimasto. Una volta ha urlato anche “Vai Zigartina!”.

Il 24 novembre 1992 in piscina non c’erano né Rigi né Zigartina e mi aveva accompagnato mia mamma. Aveva portato anche mio fratello proprio lì di fronte, al Carisport. Suonavano i Sonic Youth, e di spalla i Pavement. Anch’io volevo un sacco andare ma mi fu proibito, perché era meglio non saltare nuoto. Una storia veramente triste. La lezione fu stancante e soddisfacente come le altre volte ma mi beccai una sgridata dall’istruttrice (la Paola) perché non l’avevo ascoltata e avevo fatto troppa rana. Il mio spirito ribelle contro le regole dei genitori si manifestava contro le regole dell’istruttrice. Inutile sottolineare l’inutilità del gesto. Mio babbo lavorava sempre fino a tardi e quella sera mia mamma fece tre avanti e indietro da casa. Il terzo fu per andare a ri-prendere mio fratello e io saltai in macchina, solo per vedere la sua faccia all’uscita dal concerto. Mi ricordo che aveva il Barbour. E che era molto gasato. Io invece ero l’uomo rana…

Garage
Anni dopo la piscina, io e altri miei amici regaz avevamo l’abitudine d’incontrarci nel garage di Giordano, al sabato nel pre-serata. Parlavamo di massimi sistemi, bevevamo un paio di bicchieri di sangiovese, passavamo ore a decidere cosa fare e intanto ascoltavamo un po’ di musica. Ma non poltrivamo solo così miseramente, andavamo anche a un sacco ai concerti insieme. Oggi quel modo di andare ai concerti è solo un ricordo, per farlo succedere ancora bisogna che venga giù il Signore. Adesso mettiamo lo stesso entusiasmo, non so, per andare a fare una camminata in montagna. I tempi cambiano, i legami rimangono ma si crea una distanza maggiore. Quando ci si vede è tutto uno stare benone ma, comunque, non si va ai concerti insieme. Tanto meno ci si becca al sabato sera nel garage di Giordano ad ascoltare Wowee Zowee. I Pavement sono stati tra i king indiscussi di quel periodo. Momenti che segnano.

Cavalli
Molta di quella vita, di 20 anni fa, l’abbiamo solo vissuta, è rimasta inesaminata e ha bisogno di essere compresa. Quello che succedeva, succedeva e basta, con una specie di assenza di coscienza che rendeva belle le cose proprio perché erano immediate, spontanee. Non era proprio assenza di coscienza, piuttosto assenza di indecisioni o di analisi delle possibili alternative. Ai tempi Stephen Malkmus era il cantante dei Pavement, che erano ancora in attività. Poi si sono sciolti e Malkmus ha iniziato la carriera solista, per lo più coi The Jicks, che continua tuttora. All’inizio, viveva la musica e il gruppo da dentro, c’era dentro fino al collo proprio. Adesso, a quello sguardo, ne ha aggiunto un altro, dall’esterno, per esaminare quello che ha fatto e continuare a farlo approfondendo e sviscerando quello che gli piace, che è poi il suo mestiere. Sono passati anni ma Malkmus è ancora lì a fare quella musica, sognando. Lo stile è lo stesso ma lo fa con questo atteggiamento nuovo, diverso. E io lo ascolto ancora perché c’è ancora molto da scoprire. È un maestro, non è un bambino, e con Sparkle Hard, il suo ultimo disco, ha cambiato la sostanza del proprio sguardo.

E per cambiare la sostanza, ha cambiato anche la forma, cioè modo di suonare la chitarra. Niente più aggressività ma solo super relax, limbo, la vita in una fattoria con i cavalli. La melodia prevale sulle svise di chitarre psyco seventy. Ed è questo il modo in cui è arrivato alla tenera età di 52: piuttosto sereno direi. Questo è il suo modo di vedere le cose da fuori. Continua a lavorare il cuore della questione e rallenta tutto quello che c’è attorno. È una sospensione che lo aiuta a osservare meglio. Non fare più tante svise significa non essere più completamente travolto dalla musica e dalla scrittura, controllarle di più. Anche solo rispetto all’album precedente, questo cambiamento è chiaro. Malkmus e i Jicks hanno scritto Sparkle Hard cercando di guardare il passato dal presente e il presente dal presente.

Ha senso? O è sensato solo uno sguardo dal presente al futuro? La musica come le altre arti deve contribuire allo sviluppo della mente umana. Quindi bisogna cercare il futuro, perché servono sempre input nuovi e bisogna progredire. Una parte dei musicisti in attività ha questo ruolo. È normale che altri musicisti sentano invece ancora la necessità di esprimersi con modalità simili a quelle usate in passato: accanto a chi stimola con cose nuove, c’è chi ha il compito di rassicurare. All’ascoltatore la facoltà di scegliere. È normale che convivano questi e quegli artisti, questi e quei fruitori. Però non è che chi continua a fare le stesse cose debba per forza lacrimare nostalgia. La sincerità nell’arte è sopravvalutata, perché forzare se stessi può portare a superare i propri limiti e quindi potenzialmente a risultati eccellenti. Questo non toglie che proseguire un discorso iniziato in passato sia un ottimo punto di partenza se è quello che si vuole. Se ti muovi dentro al passato cercando punti di vista nuovi può diventare interessante.

“Even if it’s risky and it can really turn bad, no doubt!” (cit. Malkmus nel link sopra). A fare dischi simili a quelli prima ci si prende un rischio, perché potrebbero non piacere più a nessuno o, più realisticamente, solo a quelli della tua età. Potrebbe essere deprimente, dice Malkmus. Suona come se fosse la sua ultima occasione e il suo ultimo tentativo. Io non lo so se lo sarà, ma Sparkle Hard è un disco esaltante. Malkmus è stato in grado di tenere alto il livello delle sue uscite per tutti questi anni e adesso ci fa anche vedere come si fa a non cadere nell’imitazione di se stessi. Arrivarci così, alla tua età. It’s time to shake your ass Stephen, again.

Passo e chiudo
Ma perché vi ho raccontato tutto questo? Me lo stavo chiedendo anch’io, quando all’improvviso ho scoperto la risposta. Non mandarmi al concerto fu per il mio bene, e questo lo apprezzo. Però. Adesso, da un lato, sono ancora rachitico come quando mi sgridavano perchè facevo troppa rana. Dall’altro, la prima volta che ho sentito i Pavement, poco prima del loro concerto al Carisp, all’improvviso sono diventati quello che mi era sempre mancato: sono cose che succedono, prima pensi di vivere bene poi conosci una cosa nuova e ti chiedi come hai fatto a stare senza (più o meno così è andata quando ho scoperto il caffè). Da quella volta, prima o poi un disco di/con Stephen Malkmus è sempre arrivato, continua ad arrivare sempre e io continuo ad aspettarlo ogni volt a. Penso: se tutta la mia vita andasse a rotoli, potrei andare a vivere su un’isola deserta. Ma, metti caso che là il wi-fi non funzioni, poi mi perdo il prossimo disco di Malkmus. No?

Detto tutto questo adesso ditemi: mi è servito di più il nuoto o Stephen Malkmus?

Unhappy, Idiot Lane

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Sono tornati di moda i calzoni rotti. L’altro giorno mia mamma mi ha chiesto se per caso ne voglio un paio, al mercato ne ha visti di bellissimi. Una volta mi sgridava se li mettevo, e io questo ho avuto anche il coraggio di ricordarglielo. Alla fine il revival ha di buono che serve a ripassare o conoscere, magari a contestualizzare. Come i jeans rotti, sono rispuntati fuori un sacco di gruppi, il problema è che ci tocca anche Manu Chao diocristo. Alcune volte vedi la morte negli occhi di chi torna, proprio è chiaro che è un filthy lucre. Altre volte sembrano passati due giorni. O entrambe le cose. C’è invece chi non ha mai smesso di suonare e lo fa sempre allo stesso modo, come Stephen Malkmus. Poi ci sono i giovani che fanno i dischi nuovi dopo aver divorato quelli dei vecchi. Come gli Unhappy. Mia mamma è la persona a cui voglio più bene tra quelle a cui piacciono i jeans rotti, ma mi fa un po’ incazzare questa cosa che le piacciono adesso. Gli Unhappy hanno fatto un disco e si sono sciolti. Avevano bisogno di farlo, poi basta. La cosa era impellente e l’impellenza è necessità, non una roba fatta perché sono tornati gli anni ’90.

Idiot Lane è uscito a novembre 2014 su Flying Kids Records. Io sono lento, come sempre.

Tempo fa al lavoro lo ascoltavo. A un certo punto ho dovuto staccare gli auricolari dal computer per far vedere un video a un collega che mi dava il tormento. Poi ho fatto altro e le cuffie sono rimaste staccate. Quando ho rischiacciato play la chitarra di The Idiot l’hanno sentita tutti in ufficio (un open space, ideale per concentrarsi). Una ha detto “Bello, cos’è?”. Le giro il link, li ascolta, dice che il cantante è stonato, ma tranquilla. Lei ha (credo) 39 anni, non si chiama Arianna ma facciamo finta che sia così, è una fan degli Spandau Ballett, li ama proprio. Ascolta quasi solo loro, il suo è un altro mondo (come anche il mio rispetto al suo), in cui però c’è spazio per uno che canta sul filo dell’intonazione o stonando. Poi un’altra (33 anni, non si chiama Francesca) si è messa ad ascoltare gli Unhappy e ha detto che copiano i Pavement. E stop lì, bollati. Il primo dato è che in quel momento eravamo in tre in ufficio a sentire Idiot Lane. Arianna è sembrata disponibile ad allargare i propri gusti musicali anche se il termine di paragone rimane sempre lo stesso: la musica con cui è cresciuta. È la musica del cuore, che l’ha fatta diventare ciò che è, che però può anche essere sporcata con quello che vuole, se vuole. Francesca invece è una cinghiona: uno che stona, anche se lo fa per un motivo, è una merda. Sposeresti una cinghiona? Cosa pensi dei Pavement? Perché se non ti piacciono, lascia stare gli Unhappy, ma potresti andare d’accordo con la cinghiona. Se ti piacciono, ascolta gli Unhappy e troverai qualcosa in più, qualcosa che parte da lì, rimane lì, ma ha una sua vita. Sposeresti una che ascolta gli Spandau Ballett? Se è una ragazza curiosa, si. Se sei disposto a far finta di essere interessato agli Spandau Ballett (do ut des), per andarle incontro potresti partire facendole ascoltare In the Sink. Inizia con una chitarra simile a The Idiot che le era tanto piaciuta, ha quel suono di basso e batteria più rotondo, una seconda parte punk vagamente anni ’80, il cantante spinge particolarmente ma il salto dalla prima alla seconda parte potrebbe farle pensare che la musica può cambiare, all’improvviso, non essere sempre tutta uguale. E iniziare a piacerle.

Quando cresci dentro a un terreno molto fertile ti può succedere di creare qualcosa di diverso ma non troppo, di simile ma non esattamente, e può anche essere che tu sia contento di questo. Associare gli Unhappy ai Pavement è la cosa più facile. Idiot Lane è suonato bene, è bello, come i Pavement. I Pavement con Slanted Enchanted hanno stampato nella mia testa, e non solo nella mia, l’idea di dargliela su e suonare così, facendo finta di non aver voglia. Il punk aveva detto che tutti potevano suonare dopo i cinghioni presuntuosi del progressive, i Nirvana l’avevano ridetto, i Pavement hanno detto che non saper suonare può essere anche una finta, una questione di estetica. Il secondo disco, Crooked Rain Crooked Rain, era già più quadrato, con una sezione ritmica e arrangiamenti stabilissimi. Slanted and Enchanted era una presa in giro, ad ascoltarlo andando oltre quella sensazione, il basso e la batteria erano già precisissimi (da subito, da Summer Babe). Puoi suonare sghembo, sfondare i suoni, ma se non tieni il tempo come un martello una canzone come In the mouth a desert non ha quella botta. Idiot Lane non ricorda quel disco lì, perché non neanche dà l’impressione di essere storto, ma dritto. Dritto e basta: la caratterizzazione forte della sezione ritmica di Slanted and Echanted viene superata, replicarla ancora sarebbe stato inutile. Anche nei momenti di tensione massima, dove la canzone si stira di più (Secret Job, Atom Blues), basso e batteria degli Unhappy suonano come orologi sincronizzati. Gli Unhappy prendono su anche il blues di Terror Twilight e i suoi giri di chitarra accomodanti. Le chitarre di Slanted and Enchanted sono molto diverse da quelle di TT, in mezzo c’è un percorso: negli Unhappy c’è tutto quel percorso.
I Pavement suonavano nel periodo dei calzoni rotti, e magari li avranno pure indossati, ma non erano quelli dei calzoni rotti. Gli stessi anni, ma una cosa dichiaratamente diversa: amo me stesso e voglio vivere al posto di odio me stesso e voglio morire. Gli Unhappy sono un po’ come la prima canzone di Idiot Lane, che si chiama die fast ma dice too young to die fast: anche i temi dei Pavimenti ritornano.
Ma i Pavement non sono l’unica cosa. Superchunk, Grandaddy, Preston School of Industry ci sono tutti. Alcune volte, per quanto sono piene, le chitarre mi ricordano gli Sneeze del secondo disco, che è uscito l’anno scorso, altre volte i Velvet Underground. Il cantante stona, ma molto meglio di Malkmus, come Daniel Johnston senza il dolore dentro. The Narrator nella sua parte più distorta è i Kyuss, quelli meno rotoloni e più secchi, e la chitarra in Hypercorrection Overreaction è quella di Sparklehorse. Da qualche parte, oltre il muro del suono, ho sentito i Sonic Youth. Conduct dei Fuck è un altro disco che Idiot Lane mi ha ricordato, negli stessi momenti in cui mi ricorda i Velvet. Un sacco di cose, ma gli Unhappy non impacchettano tutto e fanno un disco con le idee degli altri, come gli Yuck. Le canzoni sono un insieme di bassi e chitarre che cambiano di continuo e di batterie che suonano ogni volta con una delicatezza e una forza diversa. Sono pieni di idee, molte delle quali così belle da far suonare un loro modo di vedere gli anni ’90.

Non ho fatto ricerche, credo che i jeans rotti esistessero già negli anni ’80, ma se me ne fai vedere un paio io penso ai ’90. Un giorno l’Arianna è venuta in ufficio coi calzoni rotti, neanche poco, e gli anni ’80, la sua passione, sono entrati nei ’90, come quando The Fall sono entrati nei Pavement. E The Fall sono una delle influenze dichiarate degli Unhappy. C’è un legame forte ma gli Unhappy hanno un loro punto di vista. Non copiano, amano quella musica, bruciano quell’amore in un solo disco. Idiot Lane è un album personale e voluto. E curioso, come l’Arianna.

Ascoltalo qui. Ma ad ascoltarlo sul vinile, guadagna tremila dimensioni.