Dream Syndicate, Hana-Bi (Beaches Brew 2013)

Dream Syndicate, Hana-Bi (Beaches Brew 2013)

I Dream Syndicate hanno fatto quattro dischi in studio, uno ogni due anni tra l’82 e l’88: The Days of Wine and Roses (Slash)Medicine Show (A&M), Out of the Grey (Atavistic) e Ghost Stories (Restless). Sono stati definiti la sintesi tra Bob Dylan e i Velvet Underground dal mago Scaruffi e sono considerati i fondatori del noto Paisley Underground che voglio dire chi non lo conosce.
Sono quelli di Steve Wynn. Tra l’84 e il ’93 hanno disseminato live e lost tapes, poi basta. Fino al 2012, quando hanno ripreso il Paisley in mano e hanno ri-iniziato a suonare dal vivo, senza prima fare uscire un album nuovo, cosa che ha un gran senso perchè finalmente ecco un gruppo che si riunisce, senza fare un album nuovo e magari fare anche schifo, ma solo per fare concerti.
Steve Wynn ha dichiarato a Slicingupeyeballs.com: “We’ve been talking about it. Like I said before, what we are thinking about right now are the upcoming shows in Europe and the show at Solid Sound and then probably after that summer we’ll think about what to do next. I think we are having a really good time playing together and the music is really good so I’m sure we’ll do more. There would be no reason not to. I would love to do a new record, I would love to do The Dream Syndicate album and I think it would be really good but we’ll decide that after June”. La buona idea c’è, quindi: pre-porre i concerti al nuovo album.

Martedi 28 maggio 2013, la sera seguente il concerto dei My Bloody Valentine a Bologna, i Dream Syndicate hanno suonato all’Hana-Bi, in occasione del primo giro del Beaches Brew 2013. Prima di loro, Dirty Beaches (non male, anche se alla terza canzone era come farsi ipnotizzare le palle e anche se sul palco era come se ci fossero una tarantola al centro e due mummie ai lati, senza offesa per nessuno), e prima ancora White Fence, che mi sono perso.

Era la mia prima volta con i Dream Syndicate dal vivo. Ho due domande che mi ronzano nel cervello da martedi sera (bruttissimo affare).
La prima domanda è: cosa spinge una band che non pratica più da vent’anni a riprendere a suonare dal vivo, più o meno nella formazione originale (solo il basso e la seconda chitarra sono cambiati, ma prima della metà degli anni ’80), nonostante i 50 anni d’età (non è che uno a 50 vuole morire, ma tende a perdere un pò di smalto)? Le risposte possibili sono varie. Più cinicamente: il bisogno di soldi (ma non mi pare sia questo il caso); più romanticamente: la voglia di suonare insieme, il ricordo di momenti andati, il tentativo di farli rivivere con la consapevolezza oppure no che è solo un repeat, la voglia di fare ancora quella musica, di portarla ancora in giro. I motivi possono essere tanti, appunto, e tanti altri, almeno credo. Tutti assolutamente comprensibili.
La seconda domanda è: come si fa a evitare che canzoni scritte tra i venti e i trent’anni fa suonino vecchie se rifatte dal vivo esattamente identiche? Il rischio che succeda e la consapevolezza che sta succedendo (durante le prove) non sono buoni motivi per desistere dalla reunion. Evidentemente no. Per quanto riguarda la domanda, la mia risposta è boh.

Il concerto dei Dream Syndicate è stato un buon concerto: hanno ancora una botta invidiabile, suonano compatti e con la voglia di farlo (Steve Wynn era una piccola pila inesauribile). Ma quella cosa, che i pezzi suonavano esattamente come sui dischi che hanno tanti anni, mi frena dal pensare che è stato un gran concerto. I pezzi sono quelli, non è che si può sperare di sentirli riarrangiati e attualizzati (ma attualizzati con che poi): non ci sarebbe così tanto gusto per la band, sarebbe un colpo veramente troppo basso per i fan di vecchia data. Come si fa allora a fare in modo che un buon concerto non venga in qualche modo impoverito dall’età della musica che viene suonata? È un dubbio che mi assilla, e assilla anche voi, lo sento.
Non è una critica alla carriera e alla discografia dei Dream Syndicate, ma al loro live. C’è gente che fa concerti fino a 70 anni, liberissima di farlo, e mettere o cambiare genere è in alcuni casi molto dura. Non è infatti qui il punto. Il punto è riuscire a dare un senso a canzoni di molti anni fa, rimaste lì, poi riprese per essere suonate dal vivo. Non è facile, non succede sempre: anche i My Bloody Valentine hanno smesso nel 1997, si sono riuniti nel 2007 e hanno ripreso a suonare dal vivo, fino a che, lunedi 27 maggio 2013, dopo aver pubblicato un album nuovo, hanno suonato all’Estragon di Bologna. Non sono l’incarnazione (brutta) degli déi con poteri di negromanzia, ma le loro canzoni a sentirle live non puzzano di stantìo, seppur siano state (non tutte) scritte 20 anni fa.
Questione di generi, di suoni, di arrangiamenti, di lungimiranza, di gusti che cambiano, questione di convinzione e passione che ci metti nel suonare, due risorse enormi ma insufficienti a far sì che un concerto riesca davvero. Non lo so con certezza, ma è possibile che tutte queste cose concorrano a creare la patina di vecchio, o di nuovo, a seconda.
Ci sono gruppi che suonano canzoni uguali da anni e già risultano vecchi sugli ultimi dischi, poi suonano dal vivo e alla fine scampano al pericolo che incombe, forse perchè continuando a fare uscire dischi, anche non al massimo, hanno subìto comunque una qualche evoluzione che riescono a riprodurre dal vivo. Altri gruppi su disco sembrano sempre un miracolo e dal vivo sono più legnosi di una carriola; altri si separano per anni e dal vivo riescono a darsi ancora un senso; altri ancora non riescono in questo intento.

Le casistiche sono davvero tante ed è difficile stabilire quale sia la motivazione, ma i Dream Syndicate appartengono all’ultima categoria menzionata, se di categorie si può parlare.

M b v – My Bloody Valentine

M b v - My Bloody Valentine

È norma sbagliata, ma spesso se ne esige l’assoluto rispetto, l’aspettarsi, da gruppi che hanno fatto cose pazzesche in passato, cose ancora migliori. Poi non succede. E son cazzi. E se esce il nuovo album dei My Bloody Valentine a distanza di 22 anni dall’ultimo lavoro tale norma vuole che il disco debba essere un capolavoro. L’aggravante della lunga attesa non è da sottovalutare. Isn’t Anything è dell’88, Loveless del ’91, m b v del 2013: ecco la cronologia. È cosa ovvia riconoscere che il primo album è diverso da tutto il resto. E secondo me rimane il capolavoro assoluto dei My Bloody Valentine, chè dopo un po’ i vortici di Loveless mi assopiscono il cervello, già abbastanza assopito di suo. Torna a essere Shoe-Gas, più che Shoe-Gaze, anche m b v, senza troppe sfumature di differenza rispetto a Loveless, è stato detto. È autoreferenziale, è stato detto; è un album congelato nel ’91-’92 e tirato fuori perché a un certo punto la voglia di farsi vivi e tornare a suonare (saranno in Italia all’Estragon di Bologna il 27 maggio, il 29 all’Orion di Roma) ha privato di senso un’ulteriore attesa, o perché c’era bisogno di soldi, hanno detto; oppure è stato detto: ci hanno fatto aspettare più di 20 anni per riproporre la stessa cosa, l’album è una merda. Non è vero che ci hanno fatto aspettare più di 20 anni perché i primi due album girano ancora per le nostre mani, li ascoltiamo e li riconosciamo ovunque ci troviamo, sono una specie di macchia indelebile, perché chiunque ne ha capito la portata. Quindi, in qualche modo, i My Bloody Valentine di Kevin Shields non ci mancavano per niente. Sono sempre stati lì, o qui.

M b v segna il tempo trascorso ma dimostra anche che è possibile pubblicare un album quasi identico zittendo tutti quelli che hanno la capacità o la voglia di andare oltre al “è uguale”, facendo provare loro la sensazione di ascoltare una mummia che canta dopo essere uscita dal sarcofago, ma anche un piacevole suono famigliare, che in quanto tale ti conquista e rinasce a nuova vita, nel 2013. Le prime tracce (She Found Now, Only Tomorrow, Who Sees You) sono la coda lunga di Loveless e ci ridanno quello che avevamo già ricevuto, che è poi quello che aspettavamo perché di tentati cloni o di gruppi ispirati a, negli anni, ce ne sono stati. Ma i My Bloody Valentine sono questi qui, quelli che sentiamo in m b v, nessun altro riesce a emularli. Sono tornati, senza paura. Questo disco congelato ne è la dimostrazione, ed è una vittoria sublimante per la band.

Che è ancora in grado di colpire come la prima volta con le sue sonorità noiose e meravigliose, come in If I Am, che in realtà qualcosa di nuovo la contiene: torna la ripetizione e la circumnavigazione sonora ripetuta di uno stesso giro, ma c’è meno acidità. Tornano anche le canzoni più pop (New You), ma tutto perde un po’ in acredine per guadagnare in esperienza, calma, tranquillità. E vaffanculo, non si può dire che i My Bloody Valentine non siano cresciuti. In Another Way riprende la gramigna dei tempi trascorsi da anni. Ma sono diverse anche le orecchie di chi ha ascoltato un tempo e ascolta adesso, sono cresciute, non vivono più quei suoni come li vivevano una volta. In questo senso i My Bloody Valentine hanno offerto un disco congelato alle stesse persone, che ora hanno qualche anno in più rispetto a quando uscì Loveless e non possono non porsi di fronte a M b v con un atteggiamento differente, quindi nuovo. Ci hanno detto quello che già sapevamo, ma ce l’hanno detto sapendo che siamo diversi, con tre possibili risultati:

1) ci addolciamo ricordando i bei tempi andati, diventando un po’ patetici;
2) ci fa schifo perché abbiamo dato per scontato che il nuovo disco dei My Bloody Valentine dovesse essere una cosa nuova, ma non abbiamo capito un cazzo perché non stava scritto da nessuna parte e non c’è una regola divina che lo prevede: l’unico desiderio ammissibile era che fosse di qualità, e così è stato;
3) lo ascoltiamo con le nostre nuove orecchie, se le abbiamo.

Da sottolineare anche il fatto che c’è una canzone come Nothing Is, perfettamente al passo con i tempi, quelli di oggi. E pezzi più che degni di nota come Only Tomorrow e Who Sees You.
Io ho cercato di ascoltare m b v con le mie orecchie nuove e l’ho trovato pieno delle stesse idee di una volta, ma mai uguali. È difficile riscrivere canzoni come When You Sleep o I Only Said, e infatti m b v non lo fa, sarebbe inutile. Si muove su orizzonti diversi rispetto a questi due pezzi, che erano il cuore di Loveless, si muove più sugli orizzonti di To Here Knows When, Sometimes e Blown A Wish, scelta non scontata e non facile. Anche in questo m b v è nuovo, diverso da ciò che sarebbe stato scontato. M b v, infine, non ha quel violino improponibile che trovavamo in Soon, e questa è una cosa molto buona: col tempo è venuto fuori un album al netto dei suoni peggiori. E My Bloody Valentine rimane pur sempre uno dei nomi più belli mai dati a un gruppo, nonostante il cocktail.

L’album nuovo dei My Bloody Valentine è una noia mortale ma allora perchè non vi guardate Django Unchained

La sposa in nero (1967) di Francois Truffaut

E mentre i vari Vladimiro ed Estragone del 21° secolo stavano aspettando il miracolo dei My Bloody Valentine, nella speranza che l’album mbv fosse una bomba, nel mondo succedevano cose molto più significative: usciva il nuovo di Tomahawk, i Uochi Toki lasciavano per lunghi giorni a disposizione su www.fiscerprais.com il download gratuito del loro esauritissimo Distopi e Mark Lanegan annunciava l’uscita del suo nuovo album Black Pudding, il 16 aprile per Ipecac, facendomi ritornare la voglia di ascoltare Blues Funeral. Così per dirne tre. A cercarne ce ne potrebbero essere altre cento. Non si finisce mai di stupirsi, ma: quando uscì Isn’t Anything dei My Bloody Valentine, Kevin Shields aveva 25 anni, all’epoca di Loveless 28, oggi ne ha 50. Poteva tirare fuori un disco ancora diverso? E’ come aspettarsi oggi un disco bello degli ZZ Top, come se La Futura fosse all’altezza di ZZ Top’s First Album o Rio Grande Mud. Non è possibile, è fisicamente impossibile. E allora che cazzo ci lamentiamo. Mbv fa schifo, è uguale agli altri due, è carino in alcuni momenti, e basta, del resto si chiama “mbv” (cioè my bloody valentine), non “Spaccheremo il culo a tutto il Mondo con il nostro terzo album”. Lo dovevano pur fare ‘sto disco.

Ci sono tanti modi per distrarsi da un album mediocre. Per esempio spin.com ha messo a disposizione lo stream del nuovo album dei Pissed Jeans, e questo sì che è una bomba, ancora più di quello di Tomahawk, dai quali mi aspettavo un lavoro un pò più complesso e fantasioso. Più fantasioso e incontrollabile era Anonymous, che se ne fotteva un pò di tutto. Almeno Mike Patton non canta in spagnolo, come succedeva in Natural Disaster di Mit Gas, che però era un disco tanto potente quanto raffinato. Ma temo che anche in questo caso valga la legge dell’età, anche se Mike Patton (45) è più giovane di Kevin Shields, lo dice Wikipedia, che sempre più spesso leggo come fosse Chi.
I Pissed Jeans escono il 12 febbraio (già detto) e pezzi come Cathouse, o Loubs, ti fanno uscire dall’apatia antipatica che è impossibile non autoimporsi acoltando i My Bloody Valentine.

Oppure, quei romanticoni dei Flaming Lips, per celebrare il prossimo giorno degli innamorati, nonchè l’inizio di Sanremo in Italia, hanno pubblicato in edizione limitata Songs of Love, che contiene anche una cover di All You Need Is Love, che trovate tranquillamente su YouTube, che i FL la suonano in compagnia di Alex Ebert e Jade Castrinos, che fanno parte degli Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, quel gruppo di hippy illuminati e folkloristici là, che ho visto per la prima volta in vita mia in un programma su Rai 5, che.
Dave Grohl ha fatto un film sul rock ‘n’ roll.
In ogni modo c’è un altro album (forse) più noioso di quello dei mbv, quello degli Yo La Tengo, che pare abbiamo rimasto poche pisciate, come gruppo s’intende.

Adesso poi è di gran voga dire che Tarantino non è più quello di una volta e che Django Unchained è un film di merda. Secondo me però se mettete su mbv vi stracciate le palle, ma se provate a (ri)guardare Django vi divertite almeno il doppio, il che non è troppo difficile. Nascono alcuni interrogativi interessanti dopo la visione di Django. I diritti civili dei neri è un tema che fa fare un passo in avanti a Tarantino rispetto a tutto quello che ha fatto fino a ieri. E’ meglio Kill Bill o DjangoKill Bill è ancora il miglior film di Tarantino dopo Pulp Fiction? Alcuni si spingono anche oltre l’impossibile e si domandano: Pulp Fiction è ancora il miglior film di Tarantino? A distanza di anni è difficile non considerare i passi in avanti fatti dal regista oggi, e i passi in avanti fatti con Django sono molti, meno se partiamo a contare le orme da Bastardi senza gloria (che trattava di nazismo, tema di interesse universale esattamente come i diritti civili), più se partiamo a contare da Pulp Fiction (che raccontava di una banda di stronzi), più da Kill Bill (che trattava della vendetta della madre, tema profondo, si, ma un pò troppo spettacolarizzabile, tanto da perdere il contatto con la realtà quando lo si rappresenta, tanto che anche Truffaut aveva fatto La sposa in nero sullo stesso tema). Non so perchè ma in questo momento mi viene da considerare Death ProofLe Iene e Jackie Brown episodi minori, strano perchè Jackie Brown è il mio film preferito di QT.

In mezzo alla solita merda, in senso buono, in senso di sangue e persone di merda, in Django Tarantino decide di affrontare un tema più universale dell’universale: i diritti dei diversi, nella fattispecie i diritti dei neri nel Sud degli USA, a metà del diciannovesimo secolo. Lo schiavismo.
La mia tesi è semplice quanto ridicola: episodi di vendetta si verificano di continuo nel mondo, cambiano in negativo la vita di molte persone, in un numero sempre limitato però, per fortuna; la storia dei diritti civili è la storia di tutti: a un certo punto tutti gli antenati di tutti hanno dovuto o dovranno conquistarsi i diritti e la conquista dei diritti ha cambiato e continuerà a cambiare tutto il mondo, non solo una porzione di esso. La loro conquista cambia le idee, la percezione dei rapporti umani e i rapporti umani stessi. La vendetta cambia il dettaglio e una volta che si presta attenzione al dettaglio esso diventa centro (Uochi Toki docet): per questo Tarantino ci ha fatto credere che Kill Bill fosse il suo miglior film dopo Pulp Fiction. Django è meglio di Kill Bill? Sono passati tanti anni da Kill Bill e non si possono non considerare i cambiamenti che hanno condotto il regista fino al risultato Django: struttura più classica, meno genialità, meno dialoghi profondi e taglienti, meno momenti divertenti. Maturità, in una parola sola. Tarantino maturo è un ossimoro, ma è successo, è diventato maturo, ha fatto un film più classico, e ha spaccato, ha superato Kill Bill.

E Django è meglio di Pulp Fiction? Le Iene e Pulp Fiction hanno uno stesso livello di tematica e di struttura, meglio riuscite nel secondo. Jackie Brown è una sorta di limbo stupendo in cui Tarantino si ferma per un pò. Kill Bill affronta una tematica più toccante rispetto ai film precedenti e rappresenta un passo in avanti: la vendetta ha maggior respiro. Però, Pulp Fiction è ancora il film più bello di QT. Death Proof non è solo un limbo ma una vera e propria regressione ai temi della violenza pura e divertente, la prova perfetta dello scemo geniale. Bastardi senza gloria tratta una tematica storica, che tocca tutti dal punto di vista emotivo, è un passo in avanti rispetto ai precedenti risultati, è universale, ma il film ti lascia un pò insoddisfatto. Django Unchained parte da Django di Corbucci, ma lo modifica: quello di Corbucci era un film sulla vendetta, Tarantino non vuole fare un altro film sulla vendetta e fa un film sul razzismo e la conquista della libertà, da parte dei neri, ma anche di tutti i popoli che hanno subito sottomissioni. Struttura lineare, pochi fronzoli, cazzo dritto fino alla fine, Django supera anche Pulp Fiction.

E Tarantino ha 49 anni, è quasi vecchio come Kevin Shields.