11 tra i dischi brutti che ho ascoltato nel 2014

tre

Facili, in ordine quasi sparso.

Foo Fighters, Sonic Highways. I Foo Fighters hanno fatto un album bellissimo, il primo, fluido, veritiero, prima di subire un po’ la rigidità dell’hardrocker. Dave Grohl in questi giorni ha raccontato che quando ha fatto sentire a Kurt Cobain i primi pezzi del futuro primo disco dei FF, Cobain lo ha baciato sulla guancia. Alla faccia del non sfruttare l’amico per vendere di più. Sottilmente però. Sonic Highways non riserva nessuna sorpresa, solo la certezza di ritrovare i FF uguali a se stessi, sembrano robottini che eseguono in base a una programmazione, quella impostata da Grohl. Mi era piaciuto di più Wasting Light, che mi era piaciuto di meno di Echoes, Silence, Patience & Grace, che mi era piaciuto di più di In Your Honor, che mi era piaciuto di più di One by One, che mi era piaciuto di meno di There Is Nothing Left to Lose, che mi era piaciuto di meno di The Colour and the Shape, che mi era piaciuto molto meno di Foo Fighters. One by One era la cosa peggiore che avessero mai fatto fino a Sonic Highways. Il progetto della serie TV che ci sta attorno non mi pare male, ma lascio un giudizio più assennato a chi conosce tutti gli episodi. Io ne visti 2, interamente solo quello su Washington, bello. Già su quello di Chicago (visto parzialmente) ho dei dubbi. La storia dell’8 (8 episodi, ottavo disco, e un altro 8 che non mi ricordo e non lo cerco su google) è una stronzata.

Deerhoof, La Isla Bonita. I Deerhoof al Bronson hanno fatto il concerto più bello del 2014 e il loro disco nuovo si chiama come una canzone di Madonna. Il mio metro di giudizio per i Deerhoof è Greg Saunier. Se Greg Saunier gira, gira tutto bene perché sono tutti costretti a girare con lui, è un trascinatore, la testa della fila, il primo della mandria, quello che scende nel tombino per primo. Nell’ultimo disco sembra che non abbia voglia di suonare. Ma non è stata per niente una sorpresa. Si sono fermati a Offend Maggie. Quelli dopo (La Isla Bonita, Breakup Song, Deerhoof vs. Evil) sono bruttini, i concerti strepitosi, non è una formula così frequente e mi ha stupito. Dal concerto non mi aspettavo niente di particolare, sono andato via che avevo capito cosa vuol dire suonare insieme in una band. I Deerhoof sono una delle migliori cose che siano uscite negli anni 0.

Marlene Kuntz, Pansonica. Odio l’aura di superiorità con cui i Marlene si presentano al pubblico e scrivono su Facebook. Odio i fan che si accaniscono a difendere una band che non ha più niente da dire solo perché ha detto qualcosa in passato. Odio Pansonica, prima di tutto per le canzoni che contiene (calate dall’alto nella realtà che non più ha bisogno dei Marlene, che credono di graffiare chissà cosa ma non riescono a graffiare proprio niente). Poi basta, non odio più nessuno. Pansonica contiene pezzi scritti tra il primo e i  l secondo disco m  a m    ai us c  iti, p  ub b lica ti      in o c casio
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Hanno insistito di più con la promozione del fatto che fossero pezzi di 20 anni fa che non sulla promozione dei pezzi stessi. Non ti viene qualche sospetto? Ci sarà stato un motivo se li hanno scartati, 20 anni fa, nel fiore della loro attività cerebrale e musicale.

Leonard Cohen, Popular problems. Quando dicono che gli ottantenni dovrebbero smettere di guidare non è abbastanza. Se sono musicisti dovrebbero smettere anche di fare dischi, in particolare se, quando li fanno, li fanno come Leonard Cohen. Sembra Serge Gainsburg dall’aldilà, in astinenza perchè non scopa da un giorno. Tutta la poesia di Cohen se ne è andata affanculo, peccato. Ma ammetto di non conoscere gli altri ultimi lavori, questo mi è capitato lì per caso.

Iceage, Plowing Into the Field of Love. Plowing Into the Field of Love è un disco con l’encefalogramma stabile sull’attività alfa. Il cantante ha quello scazzo cool che può ricordare il Casablanca dei primi Strokes. Il cantato punk gutturale sopra agli arrangiamenti suonatissimi e ripetitivi perde forza regolarmente dopo un minuto. Sono gli Arcade Fire del punroc da pub, usano addirittura il pianoforte, musicalmente pomposetti ma con quell’attitudine lì, a fare un disco punk, a fare fanculo tutto, siamo punk e sappiamo suonare, arrangiare, scrivere, abbiamo anche una cultura musicale e la difendiamo, anche se siamo danesi e sembriamo irlandesi.

Mogwai, Rave Tapes. Ogni volta che esce un disco nuovo dei Mogwai sembra che sia uscito il Testamento. Se dici qualcosa di brutto, sbagli. Questo significa che la loro musica è vissuta come definitiva, assoluta, non relativizzabile da un giudizio contrario. Ma quando è uscito Young Team era roba nuova, e aveva scalzato quelli che la roba nuova non la facevano più, ma che l’avevano fatta. Che è l’esatta descrizione della carriera dei Mogwai. Rave Tapes è senza troppe idee, cammina sugli stessi passi di sempre, porta avanti lo standard Mogwai. Uscito anche il 6 pezzi Music Industry 3. Fitness Industry 1, stessa storia.

Aphex Twin, Syro. Scherzo, dai, è bellissimo, tutte le volte che lo ascolto mi si ingroviglia il cervello.

Samsung Pumpkins, Monuments to an Elegy. In Romagna quando si dice “L’è una pora sgrèzia” s’intende qualcuno che è sfigato ma che non può farci niente, la colpa non è neanche la sua, poverino. Billie C. è una pora sgrèzia ma la sua posizione è ancora più difficile, perchè una volta era un figo, uno che sapeva scrivere le canzoni, l’outsider della scena grunge mondiale. Adesso scrive le stesse canzoni di allora, tutte momenti magici alternati a chitarre distortissime (escludo dalla disamina Gift, la miglior cosa degli SP) solo che adesso il suono è un po’ cambiato, o si è plasmato negli anni ripetendosi all’infinito e diventando quello che è diventato, così come la sua voce, entrambi fantozziani. Progetto dai tempi lunghissimi, Teargarden by Kaleidyscope è un matrioska album che ne contiene tre: Oceania (uscito 2012), Monuments to an Elegy (quello di quest’anno) e Day for Night (del 2015). Ho scritto questo pezzo col cellulare e lì il correttore non dà scampo, scrive samsung al posto di smashing.

Pink Floyd, The Endless River. Sanguisughe avide di denaro che fanno dischi per i settantenni in pensione, loro che la pensione sono riusciti a prenderla e quindi i soldi ce li hanno: un mercato sicuro. Se togli i settantenni che sanno scaricare roba da internet, se togli quelli che gliela scaricano i figli, il numero di fan che compra l’album diminuisce, ma il settantenne medio mondiale ha piacere di avere il suo bel vinilotto da 35 euro/valuta locale dei Pink Floyd, l’ultimo dei PiFloi. Il disco più noioso dell’anno.

Lana Del Rey, Ultraviolence. Master of sex 2014. Un disco sessuale. Un disco d’atmosfera, e io di dischi d’atmosfera quest’anno non ce n’ho avuto cazzi.

Weezer, Everything Will Be Alright in the End. Il problema con gli Weezer è che anche se ascoltandoli ti rendi conto che l’ultimo disco è brutto però non puoi neanche fare a meno di renderti conto che è uguale a quelli belli. È una contraddizione che non ho ancora sanato e proprio perchè questo disco non mi ha dato la forza di sanarla, l’ho messo tra i brutti.
Non è neanche il più brutto che ho sentito quest’anno, quello è il disco di Jack White (Lazaretti). Per Jack White e Lana Del Rey si può fare la stessa considerazione: non è la musica, ma il personaggio. Queste persone quest’anno hanno fatto dischi non per fare musica, ma per mettere un tassello in più nella costruzione del loro personaggio.

PANSONICA l’ep

pansonica

Quando Godano è apparso per la prima volta era uno magrissimo con l’aspetto del tossico di Cuneo che suonava la chitarra tendendo il braccio sinistro tirato a tal punto da farlo diventare un’unica grande vena. In apparenza stava male e scriveva canzoni che ti entravano nelle ossa come il freddo. Cantava con quell’aria ispirata un pò da poeta illuminato e noi tutti delle merde, non andava bene ma ce la facevamo andare bene. Qualche anno dopo è diventato un fotomodello, poi uno scrittore, un giornalista e un attore e io a questa gente che fa tutto non ci credo più. Ora di ciò che c’era rimane una camicia. La sua camicia è uno dei simboli di un gruppo che una volta si presentava non come iconoclasta semmai come iconolatra, di se stesso, nel tentativo peraltro riuscito di costruirsi un’immagine simile ma evoluta rispetto ai predecessori CSI mantenendone la prosopopea, tagliandone la lagnosità e incrementandone l’ingordigia delle chitarre noisy ascoltabili. Oggi Godano ha sempre una camicia nuova. Oggi è appagato e per il nuovo Pansonica ha firmato pezzi scritti benino ma col vuoto spinto dentro e semplificati al massimo, che svuotano ancora una volta il noise rock in canzoni alternative per Virgin Radio, come si svuota il pallone del petomane quando ti ci siedi sopra. Pansonica è un ep incentrato sulla teatralità del canto e sul tentativo di replicare la cattiveria (Sig. Niente), il cinismo (Ruggine), i ritmi morbidi (Oblio) e quel lato oscuro che hanno reso i Marlene discretamente accattivanti in passato.
Un anno fa Virgin Radio ha messo in streaming Nella tua luce. Lo ha fatto anche ieri, con questo ep, che suona meglio di Nella tua luce, e i cui testi riescono per un pelo a non avere quelle cadute rovinose. Per il resto i Marlene tentano di recuperarsi ma è abbastanza chiaro che ci girano intorno senza limiti e senza ottenere il risultato millantato. 6 pezzi su 7 di Pansonica sono rimasti inediti per 20 anni dai tempi del Vile per una scelta che non si può definire saggia solo perché i dischi che hanno fatto dopo Il vile sono peggio. I Marlene di adesso hanno voluto rifare canzoni dei Marlene di allora, l’operazione comportava il rischio della brutta figura, loro se lo sono preso e non ne sono usciti vivi. Scivolano su una banana grande come loro, quella sulla quale c’è scritto che non è facile riprendere canzoni vecchie e rifarle quando si è diventati un gruppo mainstream, si è guadagnato un pubblico, se n’è perso altro, si è guadagnato un gusto nello scrivere canzoni e se n’è perso un altro, si è guadagnato un suono e se n’è e perso un altro. Non c’è più niente del suono che hanno sproloquiato di voler recuperare e di aver recuperato. È normale fare continue merdate a carriera inoltrata, ma non è da tutti millantare cose non vere. 2 post in 2 giorni su di loro, adesso però basta.

PANSONICA, qualcosa da ridire sul titolo ce l’avrei

pansonica_1 Il nuovo ep dei Marlene Kuntz contiene sei pezzi inediti più uno no, esce il 16 settembre, per i 20 anni di Catartica e si chiama Pansonica. PanSonica come come pane e Sonia, pantagruelico e sonico, pantalone sonico, panino che suona, panacea, quindi Panarea, placebo, panetto sonico, panamerica sonica, panni panno o Pannella, panamadonna che pose fai Godano nelle foto, panegirico, pane e Sonica, ma soprattutto Pan Solo e ancora di più dio Pan. Dal sito dei Marlene:

“Definizione: il tutto, del suono, col suono, nel suono”. E: “Se celebriamo Catartica ci appropriamo del titolo di una delle sue canzoni più rappresentative e amate dal nostro pubblico, e lo investiamo del ruolo simbolico e carismatico di richiamo di una suggestione, di una evocazione, di un suono (anche nella/della parola stessa) che riconduca al titolo primigenio. Elementare Watson, no?”

Dal dio Pan pare derivi il Panismo, sentimento di unione totale dell’uomo con la natura, come nella Pioggia nel pineto di D’Annunzio, una delle cose più sopra le righe che la letteratura italiana abbia partorito nel ‘900, e solo il fatto che me l’abbia ricordata è sbagliato, come è sbagliato il cambiamento voluto dai Marlene col titolo Pansonica. Sonica oggi è diventata una canzone che abbraccia l’universo, lo comprende, lo suona tutto. Rendiamoci conto. Una volta era “Orso si sposta goffamente con passo irregolare nel flusso irregolare della gente che scontra le mani dentro un buco tasche sfinite vociare di monete obsolete” (Sonica). L’orso non c’è più, non ricerca più un angolo in cui stare solo e bene, ha perso l’inquietudine. Il remember Catartica non serve solo a ricordare, ma a cambiare quello che vuole ricordare, a distruggere l’idea originaria della canzone da cui prende inizio e a creare il suo opposto, aggiungere un aspetto poetico tradizionale di armonia col mondo quando di armonioso non c’era niente. Negli anni 90 in Italia il noise rock si appesantiva di questo significato proprio per mano dei Marlene Kuntz. Oggi non c’è più il conflitto con l’esterno, c’è armonia. Col tempo ci si tranquillizza si sa e 20 anni dopo a quell’orso i Marlene gli cagano in testa, storpiano la sua immagine in nome di una maturità più serena. Ecco cosa fanno i Marlene per festeggiare il ventennale: recuperano il titolo di una canzone di Catartica, ci aggiungono un prefisso sbagliato e ci fanno il titolo dell’album nuovo, che contiene canzoni rimaste a fare la polvere dal pre-Catartica e il pre-Il vileSotto la luna è il singolo, composto prima dell’uscita di Il vile proprio così come ce lo danno oggi anche se suona più come un pezzo di Ho uccido paranoia. Allora non lo era perché era stilisticamente differente rispetto all’album in lavorazione e più vicino all’album successivo, quindi in qualche modo era futuribile, ma oggi è un pezzo di mestiere, i Marlene che fanno i Marlene che vogliono recuperarsi all’insegna di Catartica ma recuperano in realtà un pezzo del periodo successivo a quello stesso Catartica che vogliono ricordare. Sotto la luna non ha mai trovato posto in nessun album, fino a oggi, per “motivi stilistici” (sito), praticamente è la ciofeca sempre scartata che adesso ci rifilano. Perché sennò cosa ci metto dentro a Pansonica? Quel pezzo lì e altri di quel periodo, per autoerotismo. E per mettere in piedi un’operazione concettualmente sbagliata. Era meglio un best of, n’altro.