Flaming Lips e le donne, via Erykah Badu dentro Amanda Palmer

MTV dice che i Flaming Lips hanno litigato con Erykah Badu, che nel loro ultimo album canta The First Time I Ever Saw Your Face. Così, ecco presto sostituita la Badu con l’Amanda Palmer di The Dresden Dolls: hanno fatto un video e un remake della canzone, con tanto di tette e pisciotta. Il video è qui, su Vimeo.

Perchè il cambio? Perchè la Badu si è incazzata su Twitter dopo aver visto che i Flaming Lips avevano pubblicato un videoclip “non autorizzato” e “offensivo”, in cui compariva sua sorella Nayrok.

The Flaming Lips, il nuovo album: and Heady Fwends

Nel 2010 il contratto tra i Flaming Lips (www.flaminglips.com) e la Warner Bros si conclude. Si legge nel libretto di Heady Fwends che la band inizia un periodo di sperimentazione: si parte dalla volontà di fare una canzone al mese. I Flaming Lips non volevano fare solo musica, volevano spaccare. Dopo 2 Blobs Fucking per l’iPhone (12 tracce da suonare in sincrono con video vari – una specie di Zaireeka per il device più costoso dell’universo) hanno pensato “Forse a ‘sta gente gli rompiamo le balls a far uscire una canzone al mese. Allora… facciamo un disco in cui collaboriamo con i musicisti più weirdo!”.
Eccoci dunque a The Flaming Lips and Heady Fwends, un disco indipendente uscito per Bella Union. Nell’ordine l’entità Flaming Lips si fonde con: Kesha, Riz Markie & Hour of the Time Majesty 12, Bon Iver, Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, Prefuse 73, Tame Impala, Jim James dei My Morning Jackets, Nick Cave, Lighting Bolt, Yoko Ono/Plastic Ono Band, Neon Indian, Erykah Badu, New Fumes e Aaron Behrens. Se non sbaglio, I’m Working at Nasa On Acid (il pezzo realizzato in collaborazione con una vecchia conoscenza, i Lighting Bolt) l’avevano già presentato a Padova, durante il concerto allo Sherwood Festival di Padova. Ma trafiggetemi con una freccia luminosa se sbaglio. Nei giorni scorsi abbiamo sentito parlare di un’altra Bolt, rallentata solo nel finale delle prestazioni su pista. Anche la Bolt che interviene nel disco dei Flaming Lips si rallenta rispetto al solito. La canzone è di fatto composta di due corpi separati, dilatati come le pupille di Wayne Coyne.
Il disco si apre con 2012 (You Must Be Upgraded) con Kesha e Riz Markie. L’idea che ci facciamo è quella di un album che supererà in follia e acidità l’ultimo Embryonic. 2012 (You Must Be Upgraded) è un insieme di percussioni, voci, rock ‘n’ roll e suoni beatlesiani non paragonabile a precedenti pubblicazioni dei Flaming. Inizio grandioso. Cosa ci aspetteremmo da una collaborazione con il delicato Bon Iver? Tutto, ma non Ashes in the Air, canzone inagrappabile ma con una melodia in fin dei conti orecchiabilissima. Keyboards distorte, chitarrino ripetitivo che piange dolcemente e parole di Bon Iver: lui e i Flaming Lips non si sono mai incontrati, tutto è stato fatto scambiandosi dei file.
Helping the Retarded to Know God (w/Edward Sharpe and the Magnetic Zeros) riporta alla normalità la situazione: arpeggio e voci, all’inizio, interrotte da keyboards spaziali. Una specie di coro da chiesa con tratti visionari e lisergici, con tanto di risata diabolica, risale la montagna di suono. Edward Sharpe è un pazzo e questo è un bell’incontro.
Supermoon Made Me Want To Pee. Bolgia con i Prefuse 73! Due minuti di follia e una coda che ci porta a Children of the Moon (w/Tame Impala), uno dei migliori risultati dell’album dal punto di vista melodico (molto semplice il giro di chitarra e linea vocale in falsetto, un po’ alla Air). Drum Machine in loop e keyboards ci traghettano al secondo start della canzone, che apre una parte più elettrica con colpi di chitarra che ricordano Neil Young, solo sono un po’ più cupi.
Giunto a questo punto, faccio una pausa. Il libretto del cd contiene, per ogni canzone, il racconto dell’incontro tra i musicisti. Vince 2012 (You Must Be Upgraded) con Kesha e Riz Markie, leggetevelo per primo, non perché la canzone è la prima dell’album ma perché è come leggere il racconto di un ragazzino eccitato.
Peccato sia saltata la collaborazione con Likke Li.
La parentesi That Ain’t My Trip e You, Man? Human? rispettivamente con Jim James dei My Morning Jackets e Nick Cave ci riporta al passato recente di Embryonic, o anche al più lontano Yoshimi. Bellissimi i cori liturgici in That Ain’t My Trip, bellissimo il cambio di tempo che spezza la voce di Nick Cave nel suo classico continuum da predicatore. That Ain’t My Trip e You, Man? Human? rimangono comunque i due episodi più deboli dell’album.
Un giro di basso meccanico e ipnotico ci accompagna per tutto Do It (w/ Yoko Ono/Plastic Ono Band e Sean Lennon), semplice e adorabile bridge per Is David Bowie Dying? (Neon Indian) in cui l’intervallarsi di una chitarra geniale e un coretto leggerissimo, tutto sopra una drum machine tosta, e l’apertura (nella seconda parte) ci portano alla variazione finale, che incorona il pezzo come uno dei più riusciti dell’album.
Leggetevi anche il racconto relativo a The First Time Ever I Saw Your Face. Tra le altre facezie, definisce “breathtaking” la canzone di Roberta Flack qui reinterpretata, e lo è: la voce di Erikah Badu conta non poco, in uno spazio musicale enorme, galattico.
Girl, You’re So Weird (collaborazione con New Fumes) unisce mille sonorità differenti, come sirene, che ci portano a scenari di guerra (anche se immagino che questa sia una mia personalissima interpretazione…) o organetti, che ci riportano un bel po’ agli anni dei Grandaddy. La sensazione è di confusione.
Aaron Behrens racconta una storia, nella breve Tasered and Maced. La sua voce nasce da un vortice sonoro che è come un vinile che gira per i fatti suoi senza produrre musica. Dopo alcuni giochetti su questo pseudo spoken word, conclude con “Pretty Good”.
Una chiusura in pace, tranquilla, per un disco che rende davvero difficile una qualsiasi interpretazione del futuro dei Flaming Lips. Ma, in fondo, perché cercare di capire dove andranno a parare? Lasciamoci andare. Per ora, nel post Warner, ne abbiam sentite delle belle. Aspettiamo, ascoltando The Flaming Lips and Heady Fwends.

Belli i denti del lupo. Flaming Lips allo Sherwood Festival di Padova

Un concerto dei Flaming Lips può essere un buon acido, oppure può essere una visita al parco dei divertimenti. Alcuni dicono che sia paragonabile a un concerto degli U2 ai tempi di Pop: chè sei distratto dalla scenografia e la musica passa in secondo piano. Mah.
Un concerto dei Flaming Lips è una batteria, in questo tour arancione, trasparente e con scritto MCA sulla cassa, sempre presente, anche quando non suona. Poi è la voce flebile di Wayne Coyne, che a sentirla dal vivo è ancor più sottile, così fragile da meravigliarsi quando poi pensi che ti piace lo stesso.
Race For the Price è stata la prima canzone (anche) a Padova, il 16 luglio (neuronifanzine sempre sul pezzo, eh?). In effetti, sembrava proprio di stare al carnevale di Viareggio. Se hai la possibilità di vedere subito da vicino Wayne Coyne, ti rendi conto che ha già iniziato a sorridere: avrà quel sorriso fisso per tutta la durata del concerto. E questa è una cosa che ti fa sentire meglio, durante e dopo. Tanto meglio che il concerto diventa il contenuto di una parentesi (tra 2 ore di macchina all’andata e 2 al ritorno) che ti godi molto volentieri. Se hai fatto tutta quella strada per vedere un’ora e mezza di concerto, un motivo ci sarà. La prima volta lo speri, le volte successive lo sai.

Si, la ragione c’è, e sta nel fatto che un concerto dei Flaming Lips è (anche) uno spettacolo divertente, pieno di giochi, di coriandoloni, immagini di donne nude e musi di lupo, mani giganti e bolle di plastica, uno spettacolo dominato da un 51enne che ride e scherza con se stesso, con il pubblico e con gli altri suoi compari come se fosse la prima volta ogni volta. Se guardi su YouTube un video a caso degli anni ’90, vedi che l’espressione di Wayne Coyne è sempre la stessa, non è cambiata quella follia che brilla nei denti e negli occhi. Non è cambiata la droga, o forse ha lasciato un segno indelebile.
Ecco, in questa situazione, la batteria ti prende e ti riporta alla realtà della sua musica. A volte si assenta, ma poi torna. Quando non c’è, la aspetti mentre un altro suono ti occupa i pensieri, quando c’è è una cosa che pulsa sotto terra, esattamente sotto i tuoi piedi. Ci sono poi le chitarre, capaci di metterti sull’attenti!, capaci di farti amare questo gruppo al di là di qualsiasi colore, bolla di plastica o coriandolo sparato in cielo: non sono così su disco, dal vivo è tutta roba nuova, e buona.

Una menzione speciale per il bassista Michael Ivins, che è sempre su un altro pianeta. Arrivi alla fine del concerto che è come aver mangiato di nascosto lo zucchero a velo. Arrivi a Do You Realize??, l’ultima canzone, che non sei per niente stanco, anzi, sei carico di zuccheri.