Su internet non c’è tutto. Gli Ogbert the Nerd.

Oggi, se cerchi, trovi. Anche ciò che non vorresti. Tipo gli Ogbert the Nerd. In una scala da 1 a 10 avrei voluto scoprire un gruppo con le loro caratteristiche: 2. In una scala da 1 a 10 dopo averli ascoltati ero contento di averli scoperti: 11. Quello che non cercavo mi ha conquistato. In questo caso internet ha generato un bisogno.

Su internet trovi tutto, anche gruppi su cui ci sono pochissime informazioni. Gli Ogbert the Nerd sono uno di quelli. Trovare poche informazioni su qualcosa è bello, ti fa sentire uno che cerca. È un piacere basato sul niente, perché fuori da internet c’è sicuro qualcuno che ne sa su quella cosa, ma è un piacere che nel momento in cui lo provi esiste. Dove lo trovate un altro articolo sugli Ogbert? Trovate solo i loro smunti post su facebook. Ti trovi a pubblicare un articolo che probabilmente leggeranno in quattro se va bene ma comunque sei contento di averlo fatto. Al di là del piacere tuo personale di averlo scritto, c’è qualcos’altro.

Ricordo una volta di aver scritto un post sui Konfettura, solo perché avevo voglia di farlo, senza neanche controllare tanto se ci fosse o meno altro su internet. Si, non sono i National, quindi è ovvio che non ci sia troppo, ma io non c’avevo pensato tanto. Avevo voglia di scrivere un post sui Konfettura. Poi è successo che un mio amico l’ha condiviso su twitter scrivendo “ditemi voi dove lo trovate un altro focus sui Konfettura”, o una cosa simile. Il discorso inizia dal solito “è meglio scrivere di cose su cui gli altri non scrivono” ma va oltre.

Intendo articoli, cose scritte, perché per esempio anche l’ep degli Ogbert è su youtube, spotify, bandcamp. Amazon, Discogs. Quindi alla fine in questo senso sono un gruppo normale, pubblicano la musica dove la pubblicano tutti. La musica la trovi, se qualcuno l’ha scritta. Chiunque può mettere on line una canzone adesso a La Giola e dopo cinque minuti l’ascolta uno a Città del Messico. Per questo, c’è un sacco di roba mediocre in giro. Ne parla Francesco Farabegoli nella sua ultima Bastonate per posta, a cui dovete assolutamente iscrivervi, pena non essere a conoscenza di alcuni degli argomenti musicali più interessanti di sempre, argomentati nel miglior modo di sempre.

La musica la trovi, ma non trovi sempre qualcuno che abbia avuto la voglia di mettersi a scrivere qualcosa su tutto, o perché non gli piace, o perché non rende in termini di visualizzazioni. In questo caso quindi le cose scritte sono più preziose della musica. Non nel senso che hanno più importanza in termini di utilità per la discussione, perché se non ci fosse la musica non esisterebbe neanche il post, ma in termini di frequenza con cui vengono uploadate. Cioè le recensioni sulla musica sconosciuta sono più rare della musica sconosciuta, sono di meno. Mi rendo conto che sembra effettivamente un’ovvietà, ma dietro ci sta una scelta di campo di chi scrive. Anche un sito famoso può prestare più attenzione di altri alle cose sconosciute per dargli visibilità, ma proprio in termini di visibilità scrivere su quelle cose è più rischioso: potrebbe non servire al suo scopo, cioè potrebbe non dare visibilità al gruppo. Allo stesso modo, scrivere su una cosa su cui scrivono tutti potrebbe essere un boomerang, se non la scrivi meglio; però è più comodo. Ma almeno, se un sito scrive molto anche su cose sconosciute, può dire di fare un minimo di ricerca, che è fondamentale. Non parlo di Pitchfork, che fa o faceva tendenza, parlo di altri siti di dimensione media che devono fare delle scelte editoriali da cui dipendono le ore di lavoro dei collaboratori e dei dipendenti senza sapere se le energie e il tempo usati per scrivere un articolo su un gruppo sconosciuto saranno utili o disperse nel nulla.

Il volume più grande di ricerche si concentra sicuramente sulle solite cose ma c’è anche una ridotta percentuale di persone che cerca cose su cui non trova nulla o che vorrebbe trovare anche altro oltre a quello che trova già. Il bisogno di quelle persone si ricollega al fatto che soddisfare i grossi volumi di ricerca non dovrebbe essere il solo scopo di chi upload su internet, bisognerebbe anche soddisfare molto di più la curiosità di nuovo. Diciamo sempre che su internet c’è tutto ma in realtà non è così.

Ah, e comunque ecco l’articolo sugli Ogbert the nerd. Per esempio non potete assolutamente non sapere che “ogbert” è anche un sostantivo importante, degno di essere incluso nell’urban dictionary: “ogbert” è un nerd che si toglie gli occhiali e tutti si stupiscono perchè in realtà è un gran bel ragazzo. Sull’urban dictionary alla voce “ogbert” riportano opportunamente questo dialogo.

Ogbert: “Oh, my glasses are dirty” (togliendosi gli occhiali)
Hot Blonde Girl: “Ogbert?!” (sconvolta dalla sua improvvisa e sconvolgente bellezza)

E Ogbert ride perché da lì in poi niente più zaganelle. Conquisterà il mondo. Penso che questo sia l’intento degli Ogbert: conquistare il mondo. Se guardi i video sulla pagina facebook sembrano così eccitati e ultraproduttivi, sopra le righe nel presentare la loro musica, che pare davvero che abbiano scoperto un nuovo mondo da poco e gli piaccia così tanto da volerlo invadere subito, con virulenza e impazienza. Sono giovani, è così di sicuro. Come quando i bambini scoprono le scorregge. Scusate la similitudine flatulenziale ma credo che sia adeguatissima. Il bambino che le scopre, ride molto, dunque le trova divertentissime, ma prova anche un senso di straniamento per quella puzza mai sentita che proviene per giunta dal suo corpo. Gli Ogbert si divertono tantissimo a suonare ma si mostrano anche un po’ spaesati di fronte a quel che gli esce, che è una roba con dei riferimenti precisi ma anche influenzata dalle loro personalità irrequiete e creative, e sovrattuano per nascondere l’imbarazzo. I testi poi sono la dimostrazione del fatto che sono spaesati in generale. Dazed and confused.

Everybody shut the fuck up for once I’m trying to make out the words that are coming out of your mouth but I can’t make it out. Oh my God it’s here and I’m not ready for it Seven fucking months lead up to this. (Saying something beautiful to take it back; a minute passed and Im still here.) Oh my god it’s here and I’m not ready for it. I’m shitfaced on a roof in Philadelphia like… It seems like the entire world is fucking ending. Make like mice run to the end of the world. Gargling another secret language; wax poetics. It starts to mean nothing. Oh my god it’s here and I’m not ready for it feels like the entire world is ending right now” (Rats! It Didn’t Work!).

Questo per dire che la musica degli Ogbert è un prodotto dello stomaco, gettato fuori con urgenza e con una gran voglia di farlo. Ecco perché sono così importanti le prime cose che un gruppo butta su internet, perché sono il principio dello sfogo, il primo impatto, quello che non ha precedenti: non è detto che i demo siano sempre meglio di quello che viene dopo, ma di sicuro hanno quella caratteristica. Vorrei trovarne sempre il più possibile e scriverci su qualcosa. Cioè, nel caso degli Ogbert è chiaro che se non avessero buttato fuori sta roba, gli sarebbe scoppiato il cervello.

Fanno emo-punk, niente di estremamente nuovo, non c’è dubbio. A conferma delle ultime tendenze dei canoni a cui fanno riferimento, le loro chitarre sconfinano nel math rock (a volte) ma sono così distorte che le linee sono molto più confuse del solito e il taglio math rock, che fa molto presto a essere ingombrante, non è per niente invadente. E questo è uno dei segnali della loro voglia di uscire un po’ dagli schemi.

Fanno i cori urlando. Disperati eh. What was the point if we both think we fucked up and we can’t figure out what we fucked up on? Perchè sono insicuri: Do you think that I’m stupid? Do you think I’m weak? Do you think this is pointless like everything. It’s the way that I feel all the time? Do you feel how I feel all the right time or no? Can you make it on your own? Sono emo, chiaro. Ricordano una serie infinita di gruppi: Mineral, Texas is the Reason, Promise Ring, Crash of Rhinos, ma soprattutto il gruppo degli amici che qualche anno fa hanno messo su la band in fotta emo. Ma è bello come, dell’emo, gli Ogbert prendano moltissimo del dualismo lamentela-aggressività. Si muovono quel filo del rasaio, si lagnano ma allo stesso tempo attaccano. Come i Rites of Spring. Ma gli Ogbert riescono in certi momenti a ricordare i Beastie Boys: il ritmo è hard core funk e il cantante semi-rappa come Ad Rock.

Il basso è sempre in primo piano. La batteria non lascia scampo. Una produzione più attenta a non nascondere uno dietro l’altro gli strumenti e la voce, per motivi di volumi buttati lì a volte un po’ a cazzo, metterebbe più in bolla le canzoni. Ma non è questo il vero problema, perchè a volte la sminchiatura dei volumi impreziosisce il tutto. Se riescono ad allontanarsi dai modelli che imitano troppo e ad andare dietro a creatività e follia, questi tra un po’ fanno un disco che sbomba. C’è un fan degli Ogbert che commenta su fb nominando alcuni gruppi del New Jersey. Groomers, Acqui, Cool and Good. I Cool and Good non esistono, ma gli altri due si, e anche su loro potrebbe non esserci niente su internet. A quanto pare nel New Jersey, alla fine degli anni ’10, è nata una nuova scena che mescola emo, showgaze, sadcore, twee pop e bubblegum pop. In quella brodaglia, un po’ pop un po’ no, sono nati gli Ogbert. Per ora sono i migliori che ho sentito della cumpa ma dovrebbero scrollarsi di dosso gli eccessivi riferimenti e prendere il volo, facendo comunque roba malata, che è fondamentale.

Una cosa che sappiamo su di loro è che hanno addirittura un’etichetta, quella con cui hanno fatto uscire l’EP: la Sun-Eater records, nata tantissimo tempo fa, il 15 novembre 2019, e di cui si può già ascoltare qualcosa qui. Per il resto, cosa fanno tutto il giorno gli Ogbert? Fanno qualche concerto, qualche video di 15 secondi e scrivono su facebook. C’è speranza che il disco esca pure presto.

E poi,

  • visto che hanno la dicotomia dentro, cioè che urlano come matti ma dai testi “si capisce” che sono dei patatoni,
  • anche se gli Ogbert mandano tutto a puttane e coprono tutto col noise, più che divertirsi col basso e i ritmi spezzati e gli arpeggi,
  • visto che gli schizzi di follia che danno forza alle esplosioni scaturiscono dalla voglia di rendere la musica che fanno un posto meno legato a canoni prestabiliti, anche se non sempre vogliono riuscirci,
  • visto che partono da emo, math, screamo ma ci paciugano sopra per creare potenziale e potenza, per creare una confusione consapevole e controllata ma folle,
  • considerato che, se dovessi dividere i gruppi che mi piacciono in insiemi, li metterei nello stesso CLUSTER,

per tutto questo, gli Ogbert sono i Bulgarelli americani. Anche sui Bulgarelli c’è poco su internet, di scritto. Per trovare gruppi di questo tipo bisogna beccarli all’inizio, prima che qualcun altro se ne accorga e scriva la prima roba su di loro. C’è anche una piccola componente agonistica, quindi, lo ammetto. È divertente. Però l’importante è che i Bulgarelli esistono, sono veri. Ogni tanto c’è l’occasione di vederli dal vivo, Covid-19 a parte. Non è vero invece che su internet c’è tutto. C’è la musica in molti casi (ma a volte neanche quella eh, solo la pagina Facebook, tipo The Ozarks @ozarks.nj, o Instagram), ma quando non c’è niente di scritto internet è un posto da IMPLEMENTARE.

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