Se dovessi dire un piatto di cui non posso fare a meno, direi la pizza. Alcune volte la mangio perchè ne ho voglia, altre perchè ne ho bisogno. Dopo una giornata in cui magari le cose non sono andate benissimo una pizza buona dà un gusto che scioglie tutte le tensioni. La differenza tra pizza e musica sta nel fatto che se la pizza è buona è sempre un piacere, la musica buona invece può anche dare sensazioni negative, ma la sua utilità sta sempre nell’essere una via d’uscita. Esempio: ascolto musica incazzata perché sono incazzato e sto meglio. Pizzaiolo e musicista hanno la stessa importanza, per il ruolo che ricoprono. La birra è una cosa che va bene sia con la pizza sia con la musica, io non sono un appassionato ma è il cacio sui maccheroni. Le tre cose insieme sono finite in questa classifica, divisa in le pizzerie 2015 della Valle del Rubicone (se vieni da queste parti, vacci), le birre da pizza e i migliori dischi, sempre 2015. Il problema più grosso consiste nel fatto che nelle pizzerie che Federica ha scelto non trovi assolutamente le birre che Francesco ha nominato. Ma questo problema non trasforma questa classifica in una cosa poco seria. C’è pur sempre l’asporto. Per il resto, io, Diego e Paso abbiamo fatto i dischi 2015. Ci sono delle ripetizioni ma va bene lo stesso, perché lo scopo era parlare delle cose migliori uscite durante l’anno secondo noi e le cose migliori secondo noi sono quelle.
DIEGO TREDISCHI
CASO – Cervino. È vero, non faccio testo. Quest’anno ho ascoltato pochi dischi, sono stato sotto la soglia della decenza, ma almeno ho già il primo buon proposito per il prossimo anno. Tra i pochi dischi che ho ascoltato il migliore è stato sicuramente Cervino. Io non faccio testo, dicevo, ma conosco gente che ha ascoltato tantissimi dischi e che dice la stessa cosa. Di Cervino mi sono innamorato inesorabilmente e sono tuttora in una fase di vera e propria dipendenza; cerco di limitarne l’ascolto per paura che l’effetto si affievolisca. L’amore per Cervino è lo stesso che provavo leggendo Alta Fedeltà, solo vent’anni più maturo. Vent’anni di consapevolezze, disillusioni, fallimenti e parziali redenzioni. Ognuno di noi ha una storiella da raccontare della quale trova traccia in Cervino. Io ne ho trovate tante. Così mi chiedo se anche adesso i lampioni si spengono con un calcio o se al parco i ragazzi giocano ancora fino a buio e per fare goal vale tutto. La sensazione migliore è quella di ascoltare musica che avresti voluto scrivere tu, come succede per certi libri. È difficile raccontare i propri trascorsi senza tradire scadente nostalgia; Caso ci riesce e la musica attorno non è altro che una stupenda colonna sonora calata perfettamente nel contesto di alti e bassi di una vita intera.
CLEVER SQUARE – Nude Calvalcade. “We’re not a band anymore” è il laconico messaggio nella loro pagina web. Fa un po’ male ogni volta che lo rileggo. Fa male, ma è una parabola perfetta, perché dei Clever non si potrà mai dire abbastanza carini i primi, merda tutto il resto. Nude Calvalcade è l’apice, l’album migliore della band che mai conoscerà il viale del tramonto. Come uno sportivo che si ritira dopo aver vinto. Prematura scomparsa, si direbbe, non fosse che a ben guardare la storia è durata circa dieci anni. Il titolo dice tutto, questo album è una nuda cavalcata che arriva con pochi fronzoli, con una scrittura e con suoni mai così azzeccati, dove i Clever Square hanno sempre cercato di arrivare: un posto ben definito tra i grandi dell’indie-nineties più genuino trasportato in maniera convincente ai giorni nostri. Una cavalcata che non dà tregua… così, pezzo dopo pezzo, è difficile scegliere il migliore, il livello è alto e costante. E quando arrivi alla fine succede che riparti da capo anche senza volerlo: è una cavalcata nuda e inarrestabile.
KURT VILE – B’lieve I’m going down. Sono un fan di Kurt Vile dell’ultima ora e mi sono avvicinato a questo album senza troppe pretese. Il primo ascolto mi ha lasciato quasi indifferente, ma ce n’è stato un secondo, un terzo e poi molti altri. Carino, ma è un album normale, mi sono detto. Innamorarsi della normalità è qualcosa di speciale. Ed è proprio quello che è successo per questa voce monotona, a tratti un po’ insolente, e per l’incedere di banjo e chitarra che segna il passo lungo tutto l’album. Uno dei quei dischi buoni per macinare chilometri in una stagione indefinita e bucolica. Mentre devo ancora capire qual è la chiave del disco e perché abbia fatto presa su di me, leggo Mark Kozelek: “Best song I heard all year: Life Like This by Kurt Vile”. Ne esco ancora più disorientato e per riprendere la retta via continuo l’ascolto.
5 DISCHI MIEI
Stavamo guidando sull’E45 da Ravenna a Cesena. Stava guidando, la mia ragazza, visto che io ero ko lì di fianco. Dovevo vomitare e ho tirato giù il finestrino. Ho messo la faccia fuori dimenticandomi che porto gli occhiali. Tempo tre secondi e sono volati via, in mezzo alla strada oppure al di là del guard rail, dove l’erba selvaggia e il buio nascondevano qualsiasi cosa. Io ero molto contrario ma lei ha accostato alla prima piazzola ed è andata a cercarli, duecento metri più indietro. Volevo inseguirla ma sono sceso e mi sono reso conto che non stavo in piedi. Era freddo, umido e c’era quella nebbiolina killer che hanno inventato a Ravenna. Dopo qualche minuto la Fede è riemersa dal buio, niente occhiali. Siamo saliti in macchina e siamo tornati a casa. È uno dei miei ricordi migliori dell’anno. Eravamo stati a Madonna dell’Albero, in un locale famoso, a vedere i Clever Square che presentavano Nude Cavalcade, il mio album dell’anno. Dopo un po’ che lo ascolti degli anni ’90 non rimane niente e tutto lo spazio lo occupano la struttura solidissima delle canzoni, il loro timbro forte e le melodie memorabili. Sono abbastanza convinto che un disco legato a un ricordo abbia più valore rispetto a uno che non lo è. Se il ricordo non è un granché – nello specifico in termini di premura e self respect – diventa automaticamente il massimo se c’è un disco indimenticabile che lo accompagna. (Mi ero ubriacato dopo il concerto).
CAPRA, Sotto la panca. Contiene molte cose con cui mi sento in sintonia. C’è lui che aiuta la moglie per il lavoro; lui che va da solo all’attacco di una persona che gli sta antipatica quando questa persona non c’è, cosa che faccio sempre anch’io quando sono da solo in macchina; c’è il ping pong come metafora del rapporto tra due persone; la canzone su suo babbo che inizia con “mancavi solo tu”, finisce con “e poi col tempo ho imparato a fare a meno di te” e in 4 minuti dà perfettamente corpo a un cambiamento che in realtà è lungo anni; nella stessa canzone, le chitarre sembrano prima le zampe dei granchi poi le gocce che saltano via dalla cresta delle onde; nell’ultima canzone Capra e sua moglie cantano insieme una frase bellissima per la figlia. Io non ho una figlia ma se l’avrò spero che nella mia famiglia ci sarà quell’armonia. Sotto la panca ha una batteria tamugna, registrata benissimo. Ed è pieno di chitarre nascoste, ne ho scoperte di nuove ancora l’altro ieri.
Cervino di CASO. Ci sono mille parole diverse, al contrario del disco di Capra. Caso racconta le cose, lucido e severo nei confronti della realtà che ha davanti. Parla dell’impresa di una vita con immagini chiarissime e spiacevoli, autobus persi, faccende archiviate, scelte sbagliate che vorresti scivolassero via e apparati digerenti che dovrebbero aiutarti invece proprio da loro tutto tornerà a galla. C’è quella cosa che mi frega sempre, un gigante di fronte ai piccoli cambiamenti con cui sono diventato grande: la voglia di stare in disparte che non mi è passata. Tutte le parti del disco suonano insieme nel migliore dei modi. Il contrasto tra la seconda chitarra pacata e tranquilla e la voce spigolosa, le cose difficili e le cose belle rendono Cervino il disco che contiene tutta la vita in 11 canzoni.
2 Ynfynyty dei Cherubs. I Cherubs non erano neanche una volta gli uomini più brutti del mondo. Gli uomini più brutti del mondo sono sempre stati gli Hammerhead. Possono tre uomini mediamente brutti invecchiati normale che stanno a Austin e hanno tre nomi del cazzo come Kevin, Brent e Owen fare un miracolo? Si che possono. Sono un gruppo a cui non avrei dato nessuna speranza di vivere una vita più lunga di tre anni, mai proprio, neanche quando hanno pubblicato i benedetti Icing e Heroin Man. Il batterista e il bassista una volta hanno fatto a botte dopo un concerto e da quella volta i Cherubs non sono più esistiti. In questi ultimi anni gli hanno dedicato anche delle compilation, per evocarli. Sensibili alle lusinghe, dopo 21 anni hanno fatto il loro terzo disco e hanno fatto il loro maledetto miracolo.
Il disco dei Fell Runner avrebbe sin dall’inizio alcune caratteristiche che non mi convincono quasi mai: niente forza, molta smania. Nello specifico la chitarra e la batteria: un attimo prima sono ripetitive, un attimo dopo cambiano molto velocemente molte volte senza preoccuparsi di incidere in nessun modo. Normalmente l’intenzione di mettere insieme jazz, afro beat e math rock mi avrebbe fatto perdere la pazienza subito. Invece più passano i giorni più continuo ad ascoltarlo. La complessità in questo caso ha meno a che fare con la tecnica e più con il ritmo, che rallenta molto in Cobwebs e Fall Back, mentre le altre canzoni sono scazzate ma mi fanno anche venire voglia di ballare o muovere la testa, a seconda. Non ho ancora capito come la smania si sia trasformata in forza, ma è successo.
LA PLAYLIST DEL PASO
1. Zeit The World Is Nothing Lp (Assurd Records)
2. The Mild Starve To Death 7″ (Assurd Records)
3. O Pietra 12″ (Grindpromotion Records)
4. Lamantide Carnis Tempora : Abyssus “12” (Shove Records)
5. Endon Mama Lp (Hydra Head Records)
LA FEDE: LE PRIME 10 PIZZERIE DEL RUBICONE E DINTORNI
10 . Pizzeria Mimì da Ulisse – Savignano sul Rubicone. Tonda/Asporto
Eri uno dei miei preferiti, ma non mi ascolti. Se ti dico che la voglio con poco pomodoro è inutile che la fai uguale alle altre e poi ci metti l’oliva. Ultimo posto.
9. Da Ettore – Savignano. Tonda/Pizzeria
Fanno una cosa che si chiama giropizza in cui devi mangiare come uno stronzo ed è da sola una buona ragione per non metterci più piede. Gli ingredienti sono davvero scadenti ma nel complesso si lascia mangiare.
8. Cuccagna – Cesenatico. Tonda/Pizzeria
Te la fanno in tutti i modi pensabili. Era tutto molto bello finché una notte non ho visto la morte e ora non ho più il coraggio di andarci.
7. Notte e dì – Santarcangelo. Tonda/Pizzeria
La pizza è leggera e un po’ poco saporita, il locale tutto a separè e divanetti fioriti che è rimasto uguale a 30 anni fa mi mette sempre un po’ di inquietudine. La cosa veramente positiva è che c’è sempre posto.
6. La Cantina – Santarcangelo. Al metro/Pizzeria
Buona la pizza al metro, sono svelti e gentili anche quando c’è casino, in cassa c’è sempre qualche sorpresa ma insomma, può succedere.
5. Pizzeria dei Portici – Santarcangelo. Al metro/Al taglio
Ah da qui in giù son tutte buone. Questa è al taglio, sempre buona, vorrei che nella margherita ci fosse meno pomodoro ma è un problema mio. Sono aperti anche a pranzo, sono sempre gentili, e una sera per la fiera di San Martino nonostante la ressa mi hanno lanciato al volo una piada al salame che mi ha salvato la vita.
4. Aqua Sale – Cesenatico. Ristorante Pizzeria
Sul canale di Cesenatico ha aperto questo ristorante/bottega gestito da napoletani che propone piattini di pesce abbastanza cari e queste pizzette tonde che vengono servite in coppia e che sono davvero buone, soffici e ben lievitate.
3.Il Borghetto – Savignano. Tonda/Pizzeria
Questo posto per me rimane un mistero. La mozzarella non è mozzarella, le cameriere sono scortesi, se gli girano ti fanno aspettare anche un’ora per portar via e se mangi lì quando torni a casa devi mettere tutto a lavare dalla puzza che ti si attacca addosso. Resta una delle pizze più buone e ci vado sempre volentieri.
2. La Coccinella – Savignano. Tonda/Pizzeria
La pizza è deliziosa, coi bordi alti e la mozzarella saporita. In cassa hanno fatto un casino, per questo è al secondo posto.
1. La Rustica – Santarcangelo. Al taglio
Apre quando ne hanno voglia. La notte bevi come un cammello ed è la pizza al taglio più cara della romagna, vieni preso a male parole e la fila non è mai inferiore ai 40 minuti. C’è anche un cartello con scritto “Chiedeteci quello che volete, non chiedeteci cosa deve uscire”. Resta, nel 2015 e ogni anno prima di questo, la pizza più buona del mondo.
LE BIRRE DA BERCI DIETRO, FRANCESCO
Premessa: non so assolutamente un cazzo di birra, ne so di birra quasi meno di quanto ne sappia di vino o di motociclette. Il fatto strano è che ormai è la cosa in cui mi spendo più soldi in assoluto, per via del fatto che ho calato gli acquisti di dischi e tutti i libri che compro hanno titoli come ATTENTI AL GUFO o LUPO&LUPETTO o LA CHIOCCIOLINA E LA BALENA. Così, insomma, la classifica de LE TRE MIGLIORI E LE TRE PEGGIORI BIRRE DA PIZZA PER IL 2015 è una classifica per forza di cose incompleta e noiosa, pertanto vi consiglio di stappare prima d’iniziare a leggere.
le migliori 3 birre da pizza nel 2015
ZONA CESARINI
La Zona Cesarini è la mia birra italiana preferita, il birrificio si chiama Toccalmatto e sta dietro al casello di Fidenza -il che se torni da Milano è piuttosto comodo. La Zona Cesarini è una birra piuttosto virulenta di quelle con scritto dietro INSANELY HOPPY PALE ALE, la sua particolarità a leggere l’etichetta è che in zona Cesarini vengono aggiunte quantità smodate di luppoli di non so bene quale provenienza. La mia formazione standard per una serata felice è di tornare da Milano, fermarmi a Fidenza, pigliarmi una Zona con notevole risparmio di contanti (nel senso che no, è più un rito, una bottiglia da 75 costa tipo 10 euro anche dentro al birrificio), arrivare a casa, metterla in frigo/freezer per tutto il tempo che posso, ordinare una pizza e bermela in solitaria. 75 cl sono la quantità ottimale per una pizza: più di una media, meno di un litro, più di due birre da 33, una pinta e mezzo. Quando qualche genio inventerà il bicchiere da 75 alla spina avrà svoltato il consumo di pizza.
STATALE52
L’altra sera sono capitato a Genova di sera per la prima volta in vita mia. All’ostello ho chiesto un posto per bere birre e mi hanno consigliato questa birreria che si chiama forse Scurreria, dove mi son messo ad aspettare un amico da solo come un cane, bevendo birra e mangiando pizzette. Il tizio dietro al bancone mi ha consigliato questa Statale52, Birrificio Lariano, di cui ho finito per bere 4 bicchieri senza devastarmi l’appetito nè niente. Non so niente del birrificio ma alla spina è davvero una bombetta nucleare, confido di importarla quanto prima a casa e utilizzarla a mo’ di Zona. Perchè, uno si potrebbe chiedere, fai il fighetto con le birre se non fai altro che ingozzarti di pizze da asporto dentro un cartone? Risposta: le pizzerie non hanno quasi mai birre buone. Se ti va molto bene puoi sperare in una Guinness alla spina (oscar alla carriera, birra da pizza perfetta, finisce che ne bevi 4 con 2 pizze e fino alla mattina successiva è semplicemente UN SOGNO), o magari in una di quelle carte delle birre precompilate e invase da roba trappista e simili (non mi piacciono le birre belghe, sorry). Così uno si prende pizza e birra da asporto. La soluzione ideale sarebbe di avere una pizzeria che ti permetta di sederti con la tua bottiglia di birra, in modo da non dover mangiare ogni volta una pizza rinvenuta nel cartone per via del vapore. Certo, sì, passo ORE a ragionare su questa roba.
CREAM ALE
La Cream Ale è più o meno uno standard di Mikkeller e quindi tutto sommato una delle loro birre più facili da trovare nella mia zona. Sta in bottiglia da 33 cl e come quella sopra ha la solita impostazione ultra-luppolata ma non impostata su quel concetto caricone della Zona, è una cosa più leggera a livello di grado e di residuo e ha un rapporto qualità-prezzo da far sì che il malessere fisico del giorno successivo si riduce a favore del malessere finanziario -se vuoi star male bevendo Mikkeller Cream Ale spendi sui 40 euro, grossomodo.
le peggiori 3 birre da pizza nel 2015
PORETTI
Il birrificio Angelo Poretti è sicuramente la più grande manifestazione del genio diabolico di un direttore ufficio marketing all’italiana. Suppongo che la prima volta che sono andati a scaffale con l’etichetta con scritto “RICETTA ORIGINALE AI 3 LUPPOLI” le vendite siano aumentate del 25%. E quando hanno deciso di immettere una bottiglia di fascia più alta e chiamarla “4 LUPPOLI”? Tu immaginati il signor Angelo Poretti (in Carlsberg) che salti. Poi boh, si son fatti prendere la mano e hanno creato il più gioioso incubo distopico della storia della birra da supermercato. birre a 5, 6,7 luppoli che fioccavano, tutte con lo stesso identico sapore e io che le ho provate praticamente TUTTE nella speranza che i nuovi luppoli aggiunti dessero finalmente un sapore di luppolo alle loro birre, speranza regolarmente frustrata. Quando il gioco ha iniziato a mostrare la corda il birrificio Poretti è dovuto correre ai ripari e si è messo a investire sugli stili veri e propri. Hanno creato la gamma in lattina a NOVE LUPPOLI che vantava una IPA e una porter e una weiss e cose così (potrei sbagliarmi). Costo più alto, e le ho riprovate tutte comunque (un disastro). Quello che spaventa di più nella strategia di marketing dei Poretti non è tanto ciò che è successo fino ad ora, ma le infinite possibilità future: mentre tutti stanno imitando il concetto, investendo su radler e birre speziate alla cannella, Poretti inizierà a pensare ad un rilancio sulla posta, arrivando a una linea da 23 luppoli entro fine 2017, e poi iniziando gradualmente a calare fino ad arrivare al paradosso, verso estate 2019, di una nuova etichetta “UN LUPPOLO SOLO MA STAVOLTA SI SENTE”.
BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA
Questa birra non ha marchio, non ha nome, non ha colore e non ha gusto. O meglio ha tanti marchi e tanti nomi e colori e non ha gusto, o ha un gusto sbagliato, o costa comunque tre volte più di quanto valga. Il suo mercato è sterminato, occupa metri e metri di scaffali in grande distribuzione ed è composto da persone sulla quarantina che preferiscono la birra al vino ma non hanno voglia di farsi delle Moretti. Soluzione? BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA, prodotta da minuscole aziende agricole appassionate e piene di talento, etichette vintage, creazioni ardite, milioni di marche diverse. LA ROSSA, L’AMBRATA eccetera, costano quanto una birra di cristo e valgono quanto una bottiglia di Moretti. Probabilmente ne esistono tantissime di valore, ma per una birra buona che scopri hai pagato 15 birre tristi. Non vale la candela.
CERES
Detesto la Ceres. La ragione è che hanno qualcuno di detestabile che gli fa i social, non so dire chi cosa o come, dev’essere questo team di CREATIVI del cazzo che fanno LANCI e CAMPAGNE e altre cose di cui non so assolutamente nulla. Tutti voi avete un amico che di mestiere fa tipo il MEDIA GURU o l’INFLUENCER, no? Ecco, il vostro amico influencer e media guru RILANCIA i CONTENUTI delle pagine social di Ceres e le commenta scrivendo “bravi.” o anche “bravissimi.”, sempre col punto alla fine. Ecco, in quei momenti il vostro amico media guru influencer vuol dirvi “io so come si comunica, e sto facendovi un esempio di altre persone che sanno farlo”, ma quello che fa all’atto pratico è aprire uno squarcio sul futuro e mostrarvi un mondo in cui tutto è social, tutto è divertente, tutto è una versione arguta e ridanciana di quello che tre ore prima vi faceva girare le palle. Ecco, questo genere di impostazione geniale e simpatica ad ogni costo punta (credo) sull’idea di farti sapere cosa succede se si prende un normale addetto ai social media, lo si riempie di Ceres da colazione in poi e gli si dà libero accesso al computer. Capirai. Anche io sono più simpatico da ubriaco, ma questa gente sta vendendo comunque alcolici, cioè in realtà sta vendendo mal di testa, incidenti automobilistici, cirrosi epatiche, alito cattivo e brutte analisi del sangue. E cosa ci sta dando in cambio? Due risate e una birra dolciastra da sedicimila gradi. Li odio.
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