Due sere fa ho visto i Built To Spill al Magnolia a Milano. Andare a Milano di mercoledì in fondo è facile, basta prendere le ferie la mattina dopo, come ho fatto io. Il mio copilota non ha potuto, ma ieri mattina aveva solo la testa un po’ pesante, niente di grave. Il viaggio è quello lì, che non facevo da tempo ma che avevo fatto ancora, magari non di recente, una volta anche per vedere Billy Scorra. Ci vogliono 3 ore da casa mia, all’andata liscissima, al ritorno un pezzo di fondente, un caffè e due mandarini è quello che serve. Siamo arrivati al Magnolia quasi puntualissimi, dopo aver fatto solo due giri della stessa rotonda, quella prima del parcheggio, di solito mi va peggio. Sono bravissimo a non trovare posti facilissimi da trovare. Più puntuale di noi è stato il locale, che ha spaccato l’ora. Quando siamo entrati, gli Any Other avevano iniziato a suonare da tre minuti, uno dei quali l’abbiamo visto nello schermo del bar perché non trovavamo la sala concerti. Il Magnolia d’inverno è fatto così, entri, a destra c’è un bar, a sinistra c’è un bar, in fondo ci sono i servizi (tra l’altro noi siamo andati in quello delle donne) e un tendone nero oltre al quale c’è un buco nero. A destra c’è anche un tendone trasparente, di quelli tagliati in grandi tagliatelle verticali, che si affaccia all’esterno e che la gente spinge forte per uscire a fumare. Ecco, proprio varcando tagliatelle di plastica, siamo arrivati davanti agli Any Other. Loro fanno canzoni tristi e arrabbiate, però a volte il bassista sorride, la cantante è abbastanza timida e la batterista suona ballando con le spalle, quindi s’innesca quella specie di cortocircuito tra le canzoni e tutto quello che mettono sul palco, che quello che viene fuori è il contrario di triste. E la percezione dall’esterno è una sensazione spiazzante che, a pensarci, è ciò che chiedo a un gruppo dal vivo. All’emisfero opposto ci sono i Disco Doom, meccanici, scolastici, svizzeri. Di Zurigo. Su mp3 mi avevano fatto un’altra impressione. Hanno scritto il loro compitino e se ne sono andati ringraziando tantissimo e lanciando, gratis, Franchi Svizzeri sul pubblico. Più o meno dopo venti minuti hanno iniziato i Built To Spill.
Discutiamo se spostarci più avanti o no, decidiamo di no, vado fuori a fumare una sigaretta, penso che magari d’estate quel posto non è così grigio ma probabilmente è sempre così scazzone, torno dentro, danno Bitter Sweet Symphony, racconto a Giovanni la storia veramente poco interessante di quella volta che a Imola avrebbero dovuto suonare i Verve invece hanno suonato i Kula Shaker – non gli ho detto quanto odiassi quella faccia da cazzo che camminava in mezzo alla folla dando spallate a tutti – sul palco arriva Doug Martsch con la papalina che accorda la chitarra e la gente fa gli urletti come se fosse David Beckham, danno mezza All Apologies, e la gente fa gli urletti come se fosse David Beckham, attaccano. Stab, The Plan, Liar, Strange, Never Be the Same, Living Zoo, Car come ultima sono alcune canzoni che hanno fatto e che mi vengono in mente in questo momento. Non li avevo mai visti, era la prima volta, a volte la vita ti porta a pensare cose che poi ti rimangi. Iniziano con Carry the Zero e io già non sono contento, ma sono convinto che il concerto sarà magnifico. Non è la canzone, è proprio la stanca che ci mettono. Passano quattro o cinque canzoni ma lo scazzo non mi si stacca di dosso: continuano a suonare come se non gli interessasse troppo. A volte si sono tirati su dalla bacinella in cui erano in relax a mollo con il piedoni di fuori, ma lì dentro c’hanno lasciato proprio il cuore. È come quando ti alzi alla mattina e vorresti stare nel letto però non puoi, per un po’ di tempo ti rimane il cervello sul cuscino, per un po’ di tempo però, non per tutta la giornata. Loro per tutto il concerto, a parte brevissimi momenti, era come se non vedessero l’ora di tornare a letto. La testa di Doug Martsch che si muove a scatti velocissima su ogni canzone un po’ mi indorava la pillola. Ma non è servito a tanto. Anche perché quei pochi momenti, adesso, non me li ricordo più. Sapevo, ma solo indirettamente, da amici – non potevo avere un’opinione mia – che live negli ultimi anni erano gne gne gne, ma a volte le canzoni belle dentro a un cd ti portano a pensare che tutto possa essere com’è dentro al cd, sempre, per sempre. E magari uno scivolone dal vivo può capitare, un momento non a fuoco, una serata storta. Volevo farmi un’opinione mia, volevo che le mie fonti avessero torto, pesantemente anche. E invece no, i Built To Spill dal vivo sono attualmente bolliti, e ti fanno la scaletta come te la farebbero i Television, grigi e gelidi. I Television, è possibile che il concerto dei Built To Spill mi abbia ricordato quello dei Television? No, però è successo.
Ma non è neanche tutto lì. Cosa molto peggiore è la sensazione del giorno dopo. Il giorno dopo i Built To Spill mi hanno lasciato un malcontento invincibile. Il malcontento ti rompe il cazzo tanto più tempo hai per pensarci. E in ferie hai molto tempo per pensarci, almeno nella condizione di vita in cui mi trovo io.
Mercoledì, il palco mi sembrava lontano duecento metri da che non li sentivo, non sentivo le canzoni che ho sempre sentito sui dischi. Sembrava che non esistessero più le mille volte in cui ho ascoltato Car. In effetti Brett Nelson se n’è andato, Andy Capps non ci potrà essere più e la formazione è stata stravolta nel corso del tempo, ma non è questo, non è la mancanza di qualcuno, un chitarrista in meno o uno in più, è che le canzoni erano davvero altro. Car è stata cortissima, di solito mi ci perdo dentro, a casa, sul mio divano. Dal vivo, pensavo, mi scaverà gli occhi. Mi è sembrata pure troncata alla fine. Non mi piaceva quello che stava succedendo, e non lo capivo. Nel senso che lo ricollegavo a quello che ho sempre conosciuto di loro, a quel modo di farmi il solletico dietro agli occhi e farli inumidire, solo con un giro di chitarra, uno a caso, tra quelli di There’s Nothing Wrong With Love, niente di neanche lontanamente simile stava succedendo e morivo di delusione. Niente è mai stato al livello di quell’album nella loro discografia (podio: 1. There’s Nothing Wrong With Love, 2. Perfect From Now On, 3. Ancient Melodies Of the Future) ed è dal 2001 che non mi convincono davvero con un disco, ma non è questo il punto. Il punto è che qualsiasi canzone avessero suonato, l’avrebbero fatta come quelle che hanno fatto. Le botte di Stop the Show, o di altre, non c’erano da nessuna parte, finite a una distanza non comprensibile.
Quelli al Magnolia non erano i Built To Spill che volevo sentire, e neanche quelli che ero sicuro avrei sentito. Me ne sono andato da Milano, sono tornato a casa come se niente fosse, come se avessi visto il film più freddo del mondo, l’unica cosa che pensavo era boh, ma non è possibile, nessuna canzone è stata una canzone dei Built To Spill.