Ieri è morto Thomas Balsamini

Quando andavo al Velvet entravano sempre in gioco due tipologie di chilometri.
C’erano prima di tutto i chilometri da fare per arrivare a Sant’Aquilina di Rimini da Cesena, all’inizio con le macchine dei più grandi poi anche con la mia. I più tradizionalisti prendevano la via Emilia e poi la Statale, i più scafati giravano a destra prima della tabaccheria Silvano a Santarcangelo, s’infognavano per le colline e arrivavano dall’altra parte, dall’alto. In questo modo, la prima cosa che vedevi del Velvet era il parcheggio, nell’altro modo erano il Velvet e i manifesti dei concerti. Nel primo modo a un certo punto arrivavi alla centrale elettrica, nel secondo vedevi un sacco di mignotte.
Il parcheggio del Velvet era un posto in cui incontravi sempre qualcuno, al sabato sera, a ogni ora, magari non lo vedevi subito perchè era steso dentro o di fianco o sotto una macchina, ma prima o poi lo vedevi. Arrivato nel piazzale di fronte all’ingresso ti mettevi in fila. Negli ultimi tempi, se avevi un amico in lista che aveva stampato anche per te la riduzione dal sito ti sentivi come il figlio di Al Capone, altrimenti ti attaccavi al cazzo e pagavi il prezzo intero. Nei primi tempi non c’era speranza, niente riduzione. E andare al Velvet era bello perchè ti dava alcune solide certezze: pagare un botto l’ingresso, mentire ai tuoi, attraversare la Romagna, fare le 6.
Poi c’erano i chilometri che facevo dentro. All’ingresso a sinistra o all’ingresso a destra e si parte. D’inverno il Velvet si trasferiva allo Slego di Viserbella, i chilometri calpestati erano gli stessi, solo che a volte mi incagliavo in un ammasso di corpi sudati. Poi lo Slego l’hanno demolito e allora i chilometri a piedi li contavo solo al Velvet, estate e inverno. Aspettando il momento giusto per fare il pit stop, quello giusto.
Il giro era più o meno ellittico, salvo deviazioni, e in loop. Ma non era un tour senza soste. Ce n’erano diverse: la sosta alla panchina sotto al tendone fumatori dove ho conosciuto almeno un paio di persone che ho sempre e solo visto al Velvet, anzi, sempre e solo sotto al tendone del Velvet; la sosta alla scalinata per prendersi due calci nei reni da quei ragazzi con il 48 di all-star che neanche mi vedevano perchè erano lucidi; la sosta dall’altro lato, alla finestra che dava sul lago; la sosta sulla salita davanti al cesso per avere sotto controllo tutto il locale; la sosta alla pista piccola, poi diventata piste piccole, da cui scappavo perchè le creste vicino ai caschetti mi confondevano le idee, anche se col senno di poi ho capito che erano un gran traguardo; la sosta al bar; la sosta al cesso.
Ogni tanto incontravo anche gli amici con cui avevo varcato i confini della Provincia per arrivare. Di solito se non volevo incontrare nessuno (crisi tardo adolescenziali) andavo in pista, e quando andavo in pista andavo solo per ballare, cercando di evitare, così a naso, il filotto Beautiful People-Tender-Il ballo di S. Vito. Il meglio, soprattutto per quelli che limonavano, era quando il dj segava come tronchi le canzoni passando dagli Starsailor ai Linkin Park. I dEUS li hanno segati pure dal vivo, due o tre volte, e poi ai Pavement gli è toccato suonare 3 ore. Però in quel caso il dj non c’entrava.

E quando facevo pit stop, quello giusto, sulla ringhiera, per guardare dall’alto quelli che si dimenavano, chi meglio chi peggio, mi posizionavo non lontano alla gabbia del dj. E di fianco alla gabbia, di solito sulla sinistra, intorno alle 2, compariva sempre una ragazza, sempre la stessa, che urlava “Thomas, cazzo, i dEEEEUUSSS”. E Balsamini rispondeva “Si, si” con la testa. E poi dava i Limp Bizkit.
Ecco, ieri è morto Thomas Balsamini, il primo dj di cui io abbia sentito la mancanza, smettendo, con gli anni, di fare quei chilometri.

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