
Il 14 settembre inizia la nuova stagione di X Factor e se ne parlerà parecchio. Intanto, per scaldare i motori, Manuel Agnelli ha iniziato a pompare sulla stampa. Il 28 agosto è uscita su Repubblica.it un’intervista di Luca Valtorta, l’ennesimo intervento di M.A. che continua a dire la sua su diversi temi. Quelli che gli stanno più a cuore sono la musica indipendente e l’istruzione musicale delle masse, ma ce ne sono anche altri, come internet, la televisione, gli Afterhours e il passato glorioso che gli piacciono molto. Nell’intervista li affronta tutti. Più passa il tempo più è chiaro che in realtà si tratta di una strategia di comunicazione precisa, attraverso la quale si parla di cose sulla musica ma lo scopo finale è piazzare un prodotto: gli Afterhours. Si chiama Content marketing e a quanto pare, utilizzandolo, Manuel Agnelli sta raggiungendo buoni risultati.
L’intervista s’intitolata “Sporcarsi le mani e non temere di dire certe cose in tv”. C’è sempre questa cosa che detesto del messia, con un lato eroico, che decide di fare del bene a tutti noi stronzi che non c’arriviamo. È comune a personaggi normalmente distanti, ma alla fine tutti ambasciatori della cosa giusta: Manuel Agnelli sulla musica e Jovanotti sulla vita, per esempio. Tu che sei un fan degli Afterhours, che effetto ti fa questo accostamento? Se ti fa male, te lo tieni, perché è così: quei due si comportano allo stesso modo.
Al di là di questa comunanza d’intenti, parto da una domanda dell’intervista che ci porta dentro al tema vero. Domanda: “Quindi la tv non è necessariamente qualcosa di negativo?”. Risposta: “Dipende da come ci vai. Se porti i tuoi contenuti tutt’altro. Ricordo i Nirvana: il loro grande successo ha legittimato tutta una serie di altre realtà nel mondo. Noi Afterhours ci siamo sentiti legittimati: eravamo quella cosa lì! Avete visto che avevamo ragione noi a suonare quelle cose, ad avere quel tipo di attitudine? Nel piccolissimo penso che quella parte di ascoltatori stia provando lo stesso: una rivendicazione, un legittimo orgoglio, una riaffermazione di ciò che loro stessi sono stati attraverso di noi”.
Passando oltre al paragone con i Nirvana, privo di senso delle dimensioni, Manuel Agnelli si autoproclama portavoce di una generazione. Normalmente i musicisti investiti di questo onere lo rifiutavano. Michael Stipe, Kurt Cobain. Manuel Agnelli è il primo ad accettare, si vede che è più ganzo.
Gli Afterhours si sono sentiti legittimati e allora hanno fatto il Tora Tora (festival itinerante di concerti della scena alternative italiana che si è svolto dal 2001 al 2005 bla bla bla) per far conoscere il più possibile la musica giusta. Grande festival, progetto importantissimo, si dice, guardando al Tora Tora senza senso critico in prospettiva. Se ti prendi i meriti, prenditi però anche i demeriti: il Tora Tora ha portato nel lungo termine i The Giornalisti a diventare tormentone dell’estate 2017 allo stesso modo in cui, non so, Pitchfork ha fatto diventare famoso l’indie. Il festival è la prima azione che ha innescato un processo. E, a quanto pare dalle polemiche di inizio estate con Tommaso Paradiso, ad Agnelli la musica dei The Giornalisti non piace tanto. Alla fine, tutto lo sbattimento ha portato al successo una musica che, nella stessa intervista su Repubblica ma anche altrove, M.A. cataloga alla voce merda.
Sul Tora Tora, Luca Valtorta arriva al punto. Chiede: “In teoria questo è il momento in cui l’indie ha acquistato proprio quello spazio per cui lei, in prima persona, ha tanto lottato nel corso degli anni, per esempio con il festival Tora! Tora!, negli anni Novanta, che metteva insieme, in un tour, le band della scena”.
La risposta: “Sull’indie di oggi ho già espresso la mia posizione e non vorrei reiterarla. Le cose sono cambiate tanto in questi anni e non c’è dubbio che si sia perso tutto un tipo di percorso, se ne è perso anche il senso. Dal mio punto di vista la perdita più grave è che si sia smesso di usare la musica anche come messaggio sociale, mentre è rimasto solamente l’utilizzo del messaggio emotivo. Però è anche giusto, perché la musica è lo specchio dei tempi e della società che si vivono. È comunque importante che esista una scena e che ci sia qualcuno che si riconosce in qualcun altro, creando quindi un fenomeno di aggregazione. In un momento come questo, in cui non ci sono punti di riferimento di alcun tipo, è comunque importante anche se sono convinto che la generazione dei giovanissimi stia cercando qualcosa di forte che rappresenti davvero ciò che sentono. Cercano qualcosa di potente e adesso non c’è niente di potente“.
Di fronte al fallimento del suo progetto storico, la butta sulla perdita dell’attitudine, come aveva già fatto durante la famosa polemica con Paradiso. Qual è l’attitudine che non c’è più? L’attitudine di Agnelli ai tempi del Tora Tora era organizzare concerti scelti da lui: non c’è niente di diverso rispetto a quella di chi organizza un qualsiasi altro festival. La proposta musicale non era così aperta alle novità da essere la fucina della musica indipendente italiana: era tutto legato ai gusti della Direzione e a quel giro di amicizie, come un circolo privato. L’attitudine indipendente elimina la distanza che c’è tra chi suona e chi assiste concerti, ma al Tora Tora non era così. Gli Afterhours hanno sempre avuto l’atteggiamento delle rockstar e il loro pubblico si è sempre comportato nei loro confronti esattamente come di fronte a una qualsiasi altra icona del rock, venerandoli, prendendo per oro colato qualsiasi cosa facessero. Ricordo, era al massimo il 1999, un concerto degli Afterhours al Mexcal di Cesenatico in cui Agnelli tutto vestito di bianco si fece sollevare e trasportare, in posizione eretta, dal pubblico che urlava “idolo! idolo!”. In che cosa è diversa l’attitudine di Paradiso? Lui forse lo fa più per la figa rispetto ad Agnelli (anche se non so quanto abbia scopato quest’ultimo ai tempi d’oro) ma l’attitudine da star rimane. Paradiso, per lo meno, ci risparmia tutta la menata sulla musica giusta da ascoltare e da fare. Fa la sua roba, magari tra un anno scompare e bona lì. L’atteggiamento da evangelista di Agnelli conferma che si ritiene superiore. Non mi pare sia questa un’attitudine da indipendente.
Quella indipendente è “una visione della musica che non dipende dai numeri ma dalla necessità espressiva, una cosa che fa parte della vita, non del lavoro” (cit., vediamo anche dopo). L’intento di Agnelli di sdoganare al grande pubblico senza cambiare e di imporre dall’alto un modo di fare e concepire la musica che invece viene dal basso è fallito. Ha avuto un minimo di respiro in passato? Non mi sembra, visto che i gruppi che partecipavano al Tora Tora o sono scomparsi o sono diventati mainstream. Tra i gruppi indipendenti (quelli veri) italiani, in questo momento, c’è di sicuro qualcuno che vuole ampliare il proprio pubblico e c’è anche l’avanguardia indie alla conquista del mainstream, non Calcutta, non i soliti nomi che si fanno ma posizioni intermedie, come (non so) i FASK. Ma per tanti altri non è quello lo scopo principale, non si costruisce un progetto per avere successo e non esiste l’intenzione di insegnare al pubblico qual è la via giusta per fare le cose. Solo fare la propria musica, ecco il motivo di tutto. A qualcuno interessa farsi conoscere di più, ad altri neanche tanto. Questo tipo di concezione è viva da 30 anni, è quella che si conserva e che ha un ruolo sociale, non le vie di mezzo proposte da M.A. Che si è preso il comando di una battaglia che nessuno gli ha chiesto di combattere, senza neanche conoscere le realtà indipendenti, o ritendendole così poco importanti da non nominarle mai.
Su questa cosa Agnelli non ha le idee chiare e dice che si è perso il messaggio sociale, però dice anche che esiste una scena e un fenomeno di aggregazione. Ma quindi il messaggio sociale c’è o no? La musica di adesso è merda. Ma è giusto perché è specchio della società. Quindi la società è merda. Però i giovanissimi cercano qualcosa di potente che li rappresenti, e che non c’è. Quindi loro, che sono gli stessi che ascoltano la merda che li rende parte della scena e che li aggrega, non sono merda, anche se fanno parte della società. Il discorso mi pare confuso. E penso che lo sia appositamente, perché Agnelli su questi argomenti non ha, né nel passato né nel presente, qualcosa di veramente valido da difendere e da portare a esempio.
LA TV e internet
“Tornando a X Factor, perché ha accettato di rifarlo?”
“Perché mi sono tranquillizzato molto rispetto al mezzo televisivo che faceva così paura alla mia generazione. Quello che ho scoperto è che non è tanto pericoloso il mezzo in sé ma il sistema di comunicazione che gli sta intorno: un non-giornalismo che metodicamente e scientemente stravolge qualsiasi evento o dichiarazione nel tentativo di creare il cosiddetto ‘scoop’, che poi genera l’inevitabile polemica. Mai come oggi, con l’avvento di Internet e in particolare dei social network, questo aspetto è diffuso“.
Sei a X Factor, se non sopporti le polemiche non c’andavi. La realtà è che te ne nutri.
A 50 anni, non ha ancora imparato a prendere la TV per quello che è. Vuole migliorarla. Una volta pensava che la TV fosse merda, adesso c’è dentro del tutto per combattere il sistema da dentro. Ma dietro alle belle parole nasconde vorrebbe nascondere una partecipazione piena al meccanismo secondo cui per fare strada nella musica si debba per forza passare dalla TV, a costo di farsi sfruttare e fare cose che non piacciono. X Factor illude e sfrutta i ragazzi, Manuel Agnelli fa anche peggio: mette in mezzo i discorsi sulla musica pura, sull’attitudine, la cultura, l’arte e tutto il resto, ma sono solo specchietti per le allodole. L’anno scorso, alla fine della stagione ha preso la sua concorrente preferita e le ha fatto fare tanti concerti. È la stessa cosa, perché le ha fatto fare quello che vuole lui, e non è tanto diverso da quello che succede in trasmissione, è quello che succede nel grande mercato della musica ma non è quello che succede per i gruppi indipendenti, la cui “attitudine” M.A. prende a esempio solo in linea teorica ufficiale, non ufficiosa.
Riporto ancora: “Mai come oggi, con l’avvento di Internet e in particolare dei social network, questo aspetto è diffuso”.
A X Factor sta cercando di comunicare la “mentalità giusta” per fare musica. Lo fa in modo innocuo, perché non è così dirompente come aveva promesso e la volontà di fare ascoltare la musica giusta al pubblico della televisione era già andato in vacca con Morgan, con lui ancora di più. Il suo messaggio, dice, non passa per colpa di internet e dei social network dove si raccontano “balle”. Non molto tempo fa ho letto un’altra intervista, a Cristiano Godano dei Marlene Kuntz, che giudicava negativamente lo streaming e parlava in termini solo negativi di internet. Per entrambi, internet diventa la croce su cui sparare per difendere il proprio orto, dove la TV c’è da sempre ma internet no. Una volta la strega era la TV, ora è internet. Non è che cambi molto, c’è sempre un mezzo di comunicazione con cui prendersela perché impedisce che le cose vadano per il verso giusto. Solo che una volta contestavano il modo di fare televisione di un mondo vecchio e proponevano qualcosa di nuovo, adesso contestano il nuovo e propongono il vecchio.
Faccio per un secondo un salto su un altro sito, velvetmusic.it, dove ho trovato questa dichiarazione di Agnelli: “Dicono che la musica non ha più bisogno del talent per farsi conoscere? Mi ricorda quando si diceva che la musica non aveva più bisogno dei giornali, poi dei supporti stessi, del disco, del cd. Sono dichiarazioni sciocche. A me mancano le riviste, i programmi radio, mi mancano le cassette, i vinili, i cd, mi manca tutto. Il progresso tecnologico è fantastico, ma è ingannevole. Detto ciò, è vero che il talent ha bisogno di rinnovarsi (…)“.
Non è in grado di leggere l’utilità dello streaming, dei social network e di internet in generale, non si rende conto di quanti fan nuovi gli ha portato lo streaming. È come quando Agnelli contestava ai gruppi indipendenti di aver trovato un pubblico grazie al passaparola tra amici senza rendersi conto che quel passaparola all’inizio aveva aiutato anche gli Afterhours.
Non c’è nessun rapporto tra il fatto che la musica non abbia bisogno dei “talent” per farsi conoscere e il fatto che non abbia bisogno dei giornali o dei supporti fisici. La musica non ha bisogno dei talent show perché ha altre vie per farsi conoscere (internet) ma, guardano al principio per cui lo si dice, soprattutto perché il loro meccanismo è massacrante per i concorrenti, è una presa in giro, ci sono contratti che li strozzano e l’esposizione mediatica è difficile da gestire. Creano fenomeni, li usano per un po’ di tempo e quando scade il contratto li mollano. Non garantiscono una crescita nel tempo. È più giusta, anche perché è più faticosa e ti dà la possibilità di crescere sia come pubblico sia dal punto di vista professionale, la gavetta vera. Sono principi opposti proprio. Per quanto riguarda gli mp3 o lo streaming che hanno sostituito in parte cd, cassette e vinile, si tratta di evoluzione e di cambiamento. Si dice che la musica non ha più bisogno dei supporti tradizionali perché lo streaming aumenta le possibilità di ascolto e diffusione, possibilità che non c’erano quando esistevano solo i supporti tradizionali: questo è il motivo, nessuno viene sfruttato o preso in giro e nessuno s’illude ingenuamente. Tempo fa, la rivista, la TV e la radio erano gli unici modi per conoscere la musica. Adesso, su internet, ce ne sono tanti altri. In questo senso si dice che la musica non ha più bisogno di supporti e riviste.
Comunque, i cd e i vinile li stampano e li vendono ancora, può comprarli, se vuole, anche a me piace farlo. In giro c’è addirittura qualche casetta. E le riviste in edicola. E anche i programmi radio interessanti.
“Preferisco chiamarle con un termine meno elegante: le balle. Che rendono davvero difficile comunicare qualsiasi cosa. Io a X Factor ho la massima libertà ma il metodico stravolgimento di ciò che dico rende praticamente impossibile far passare un discorso sensato. Quando ci sono i live tutto sommato va meglio, perché almeno sussistono le immagini a fare testo, ma il processo di comunicazione prima e dopo, su cui io speravo di lavorare per portare avanti dei temi a cui tengo come gli spazi per la musica, le leggi per la tutela degli artisti e così via, vengono svuotati di ogni significato. Tanto che ho dovuto cambiare modalità di approccio: devo pensare in anticipo a come un concetto che esporrò potrà venire stravolto e quindi usare un approccio più ‘strategico’ e meno sincero, che è pericolosissimo e che non vorrei adottare. Adesso non basta dire ciò che pensi: devi capire come potrebbero manipolarlo, così finisci per non dire più niente“.
Fallisce nel suo tentativo e dà la responsabilità ai mezzi di comunicazione e a chi li ascolta. Agnelli non capisce che X Factor non è il posto giusto per parlare di tutela degli artisti, diritti o spazi per la musica, e non capisce che quello che sta facendo non è necessario perché a X Factor non bisogna più andarci per cambiare il mondo, le cose fatte bene le fai altrove. È come Raimo che è andato da Belpietro nei giorni scorsi: non ha senso partecipare a quelle trasmissioni in cui non vedono l’ora di sbranarti. Così come non ha senso partecipare a X Factor, dove sei già sbranato, cioè già soggetto a regole precise.
Non è necessario insegnare agli altri quale musica ascoltare, c’è chi ascolta quella mainstream, chi quella indipendente e chi entrambe, senza problemi. Come può una persona stabilire qual è la musica da ascoltare, la musica da far passare come “alta”, quando i suoi riferimenti sono vecchi di anni. I Velvet Underground, secondo Agnelli, sono il più grande gruppo della storia. Io sono un grande fan dei Velvet. Ma l’approfondimento che Agnelli garantisce al pubblico non è il massimo, perchè consiste nel fargli conoscere i Velvet Underground, che sono già molto conosciuti. L’unica cosa che può fare M.A. è farli conoscere ancora di più, e tra 5 anni li trasmettono anche al supermercato e alla fine non ne potremo più. Alcuni dicono sei in televisone, cosa vuoi proporre? Ok, però non puoi trasmettere il messaggio che quello che “insegni” sia il meglio che c’è o non puoi pensare che quello sia il posto adatto per parlare di quei temi, in mezzo a quella caciara di squali.
Ma andiamo avanti
“Come sarà a X Factor?”
“Per me non è importante tanto vincere quanto continuare a portare avanti un discorso identitario sulla qualità della musica, un certo modo di viverla. La gente oggi è completamente destrutturata: ti contestano dicendo ‘quanti biglietti hai venduto?’, ‘quanti stadi hai fatto?’. Bene, io credo sia importante ribadire che c’è una visione della musica che non dipende dai numeri ma dalla necessità espressiva, una cosa che fa parte della vita, non del lavoro. Andrò controcorrente ma il discorso per me va riportato ai massimi sistemi: la musica, l’arte, l’espressione. È tutto troppo votato all’efficacia, ai risultati, e purtroppo per questo sta uscendo… un mare di merda! Ci troviamo in una cloaca gigantesca e finché la gente non capirà che non sono i numeri a determinare l’importanza o meno di un’opera non ne usciremo“.
Continuo a non capire perché se non t’interessano i numeri vai a X Factor. Nel momento in cui vai in televisione, parli a un pubblico molto vasto, all’interno del quale ci saranno per forza persone che la pensano in modo diverso da te. Alcune le convincerai, altre no. Non è possibile pensare che un pensiero unico convinca tutti. Si, ok, vai in TV per cambiarla…
La merda è sempre uscita, i numeri hanno sempre attirato la gente, sono sempre stati lo scopo del business della musica, hanno sempre determinato l’importanza mediatica, più o meno momentanea, di una canzone. In più, Agnelli parla partendo da un presupposto: che ciò che vende molto è per forza merda. Il talento non è solo nella musica indipendente, ma anche nel pop che vende un casino. È quasi ora di capirlo. Ed è quello a cui aspirano i giudici di X Factor: trovare un talento che venda. Non capirlo vuol dire sfruttare uno standard (con tutto ciò che ne consegue, vantaggi economici e mediatici) ma parlarne male per cercare di salvare la faccia. Cioè, predicare bene e razzolare male. Tutto il castello dei buoni principi di Manuel casca quando sostiene che non gli interessa la quantità ma la qualità e poi partecipa, per due anni di seguito, al meccanismo di un talent show che a quello punta: trovare qualcuno che venda più dischi possibili, al di là del fatto che uno possa essere davvero più o meno bravo. Il funzionamento del programma, fondato sul voto del pubblico da casa, lo dimostra. Durante la trasmissione si crea questa dinamica, tanto essenziale perché è quella da cui attinge inerzia, quanto stupida: vota il pubblico ma i giudici cercano di influenzare i telespettatori con i loro giudizi. Significa che un esperto tenta di cambiare il giudizio degli inesperti. Quante volte è successo? (Io l’ho visto X Factor). In una percentuale molto piccola. E questo significa che il format funziona bene, perché è fatto per far vincere il pubblico, in modo che le case discografiche possano avere la strada spianata una volta che pubblicano il disco. Ma, in fondo, è tutto qui: fai un po’ finta che “gli esperti” abbiano importanza e poi, alla fine, non ne hanno.
Tutto si basa su una figura centrale, di cui Manuel Agnelli è un’incarnazione di rilievo perché viene presentato come quello che ne sa: il produttore, che qui diventa una specie di coach totale, è la lunga mano delle case discografiche e indica come suonare, cosa, dove e con chi. È una figura molto invadente, messa nella posizione di elargire consigli. Se c’è qualcuno con un briciolo di talento tra i concorrenti, deve sottostare alla parola del coach, che ha a parole lo scopo di far venir fuori il suo talento, nei fatti di indirizzarlo verso il mercato. Gli ambienti più vivi della musica italiana dimostrano che è possibile muoversi anche senza produttore e senza etichetta (l’aveva già detto Luca Benni di To Lose La Track): oggi, un gruppo potrebbe muoversi da solo per fare il disco, usando il crowdfunding, poi con lo streaming e cercandosi i concerti. È più difficile raggiungere un pubblico, ma a prescindere da questo il disco può essere buono (oppure no). Le parole di Agnelli sul “Ci troviamo in una cloaca gigantesca e finché la gente non capirà che non sono i numeri a determinare l’importanza o meno di un’opera non ne usciremo” sono in contraddizione con quello che sta facendo: X Factor. Agnelli ha questa idea, che tenta di mascherare dietro le parole, che per fare le cose fatte bene si debba raggiungere più pubblico possibile, suonare con Eddie Vedder, Carmen Consoli e via dicendo. Guarda comunque sempre al risultato, in termini di quantità. La musica indipendente in Italia in questo momento si muove diversamente, ha motivi diversi, che Agnelli indovina quando dice “Bene, io credo sia importante ribadire che c’è una visione della musica che non dipende dai numeri ma dalla necessità espressiva, una cosa che fa parte della vita, non del lavoro“. La indovina ma sbaglia tutto il resto, la vorrebbe attribuire a X Factor ma non ce la fa, e non è possibile farlo. Dopo tutto, il suo scopo è sfondare alla grande. Che è legittimo, assolutamente, ma non è legittimo nascondersi dietro a discorsi idealisti, confondere le carte in tavola e ingannare le persone.
Lo scopo di tutto
Alla domanda “Che tipo di pubblico avete oggi?” Agnelli risponde così: “È molto vario: ci sono sicuramente persone arrivate per via del talent, ma che non sono necessariamente dei ragazzini; gente incuriosita dal personaggio, da quello che ho detto. Devo ammettere che mi fa piacere vedere persone fuori contesto, perché non vengono dalla stessa radice musicale né etica ma, semplicemente, apprezzano quello che fai. Non è una percentuale altissima: sarà più o meno il 20%. A questo corrisponde un ritorno dei fan storici che è come se volessero ribadire che noi siamo di loro proprietà, ma in una maniera bella però: è una manifestazione identitaria, come se dicessero ‘noi siamo quella roba lì’. Paradossalmente anche questo penso si debba alla televisione che, rimettendoci al centro dell’attenzione mediatica, ha contribuito a riaccendere una passione che per molti, col tempo, con le mille cose che hai da fare ogni giorno, si era sopita”.
Fingendo di stare sui giornali e in TV per parlare d’altro, punta al successo interplanetario de GLI AFTER. La partecipazione a X Factor l’anno scorso (sarà giudice anche quest’anno ndr) è coincisa con l’uscita del disco nuovo Folfiri Folfox e l’inizio di un lungo tour prima italiano, poi europeo, infine di celebrazione dei trent’anni degli Afterhours, in questi giorni, proprio quando si inizia a parlare della nuova stagione del programma. Lo scopo dei suoi blitz non è parlare di quei temi, ma solo una grande promozione. Va bene, ma senza usare argomentazioni nobilitanti per creare un personaggio duro e puro. Che duro e puro non è e che ha un altro scopo, non quello di parlare di cose. È per questo che dicevo che Agnelli sta facendo del Content marketing con contenuti scadenti ma bello spinto che lo sta portando, a quanto pare, ad avere risultati buoni (lo dice lui). Non sono un esperto ma mi pare di aver capito cercando su internet che una buona definizione di “content marketing” possa essere questa: “Il Content marketing è un approccio con il quale invece di distrarre il pubblico con pubblicità che non è rilevante, andremo a creare contenuto di valore, rilevante e interessante con continuità e a costruire con il tempo un pubblico per indurre azioni che creino profitto (per l’azienda)” (netnoc.it). È interessante anche vedere come l’opinione di Manuel Agnelli nei confronti di internet sia molto negativa, anche se in realtà sta usando un modo di comunicare che su internet ha trovato uno dei suoi luoghi più consoni e adatti.
Conclusione
La sua battaglia continua, insistente, ma la sua posizione è un colabrodo. So che sono argomenti di cui si è già scritto e parlato tantissimo, ma adesso che anche i milioni di lettori di Neuroni l’hanno letto sul loro blog di fiducia le cose cambieranno. No, le cose non cambieranno, ma non è ovviamente il mio scopo. Volevo solo dire che è tutto sbagliato. Non mi stupisce la partecipazione di Agnelli a X Factor, neanche che abbia deciso di farlo per il secondo anno: è la prosecuzione di quello che ha fatto Morgan per anni. Quello che mi stupisce è il salto che Agnelli ha fatto fare al ruolo che lui e Morgan hanno avuto e hanno nella giuria. Morgan ha tentato di ridiventare popolare e di far conoscere la musica giusta al pubblico della TV e, se c’era un progetto dietro, era nebuloso, non l’ha saputo gestire e ha mandato tutto a puttane. Agnelli è più metodico, nelle dichiarazioni e nell’organizzazione dell’attività parallela del suo gruppo. È più deciso nell’assunzione del ruolo del messia, allarga il suo raggio d’azione da ambasciatore della musica giusta ad ambasciatore della musica indipendente in televisione. Ma, oltre a interessi personali, ha idee vecchie, sopporta a mala pena internet e lo streaming e non conosce la musica indipendente in Italia. Non quella wanna-be indipendente, che passa per tale ma si muove e comporta diversamente, quella davvero indipendente. Non è quella di cui parla Agnelli, è un’altra roba, è fatta di persone che si sbattono a fare concerti e dischi perché non ne possono fare a meno e perché farlo li fa stare bene, non per diventare strafamosi o fare soldi. Si tratta della concezione opposta rispetto a quella di X Factor. Che, d’altra parte, non è l’unico modo per farsi conoscere, perché anche tra chi è davvero indipendente c’è chi si vuol fare conoscere un po’ di più, ma ci prova facendosi il culo. C’è X Factor e c’è la musica indipendente, sono due corse diverse, separate, per me una è sbagliata e l’altra è giusta, uno la può pensare diversamente, anche se la prima non dovrebbe esistere perché è sfruttamento. Una cosa ancora peggiore è diventare un’arma di questo sfruttamento, confondere le acque, far credere a chi partecipa che dietro a X Factor ci siano dei principi sani, di cui in realtà lì dentro non frega un cazzo a nessuno. Che è quello che fa Manuel Agnelli.
Qui trovate l’intervista su Repubblica.
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