
You Before Spotify
C’era una volta una libreria indipendente che comprò un treno di copie di un libro non facile da vendere. Cosa pensate voi dei padroni della libreria? Sbruffoni! Cosa ve la tirate?! Fate fatica a campare! Stronzi! E via dicendo, punti esclamativi a buffo. Però, fermate il rigurgito di onniscienza e riflettete almeno un secondo. Riassumete. Una libreria indipendente. Di solito ha una sua clientela, affezionata perché si fida, legata ai consigli di chi ci lavora, perché sono sempre giusti. Se questo tipo di clientela un giorno entra nella sua libreria preferita e trova una pila di Vacanze di Blexbolex cosa pensa? La stessa cosa che avete pensato voi? No, pensa: se ne hanno presi mille ci deve essere un motivo: dev’essere bellissimo! Lo porta alla cassa e lo compra.
Questo si chiama influenzare la domanda con l’offerta ed è il punto di partenza di questo post interessantissimo. Pensavo a un altro post, di circa un mese fa, di un mio amico, costretto ad ascoltare il disco della Michielin perché ne parlavano tutti. Qualcuno anche bene. Il tono del mio amico era scherzoso ma rispecchiava una realtà. Per essere sul pezzo, poter scrivere o anche solo parlare delle cose di cui tutti parlano, per essere letti o cagati in qualche modo, si finisce per ascoltare cose di cui altrimenti non ci fregherebbe un cazzo, oppure cose che per esempio 20 anni fa non ci saremmo neanche sognati. Ed è grazie, cari milioni di lettori, è grazie al download, al peer to peer e allo streaming che possiamo farle. Paghi o ti ciucci la pubblicità, aspetti che il torrent abbia finito, ma comunque hai la possibilità di ascoltare. E, alla fine, ci provi pure gusto ad ascoltare certe maranzate. Gente insospettabile che un tempo sentiva solo musica (facciamola corta con un aggettivo) alternativa, adesso è fan, o molto fan, o fan un casino, di Rihanna, Lady Gaga. O addirittura M.I.A. Va bene che ci si ammorbidisce con gli anni ma il punto non è questo. Il punto è che non dobbiamo fare grandi sforzi fisici o economici per sentirle ‘ste canzoni. Cioè, anche se mi piaceva Everybody (Backstreet’s Back) quando è uscita, stavo zitto e cagato, ballavo e cantavo dentro di me e mi limitavo a sentirla in radio o a godere guardando di nascosto nella cameretta il video su MTV. Di certo non compravo il cd, perché col cazzo che spendevo 15 mila lire per il singolo. Mi ricordo che qualcuno (non ricordo chi) mi regalò, appena uscito fresco di stampa, il singolo di In the end dei Linkin Park. A me sembrava una cosa assurda. Ricordo (quella sì) la disapprovazione nel volto di Diego, perché avere in casa un cd di roba “commerciale” era una bestemmia. Adesso non mi piace In the end ma mi piace tantissimo Million Reasons di Gaga e, a parte che tutti ascoltano tutto senza peli sulla lingua proprio, mi posso ascoltare quanto volte voglio tutto l’album di Gaga su Spotify, con un abbonamento che costa poco meno di quanto non costasse il singolo dei Backstreet. Lo pago una volta al mese, non one shot come il cd, OOOK, ma mi permette di ascoltare anche tutto il resto del mondo. Ai tempi avrei potuto ascoltare Take That, Backstreet Boys, NSync e Snoop Dog uno dietro l’altro senza dover comprare i cd e farmi scoprire. E se mi avessero followato? Avrei fatto un profilo sotto falso nome. Facile. Purtroppo, però, una volta non poteva succedere… SIGLA DELLA PUBBLICITÀ: adesso, invece, posso anche ascoltare tutto dappertutto, faccio un abbonamento decente alla rete mobile, è mensile anche questo ma vale la pena. FINE MESSAGGIO PROMOZIONALE. Mi rendo conto di aver scritto una serie di banalità imbarazzanti fin’ora ma mi servivano per arrivare a dire la cosa intelligente. E cioè: questo tipo di offerta ha modificato la domanda alla grande. Ah.. lo sapevate già? Va bo. Non ha fatto solo quello però. Se 20 anni fa più che ammettere che mi piaceva Back for Good dei Take That mi sarei fatto tatuare ROBBIE WILLIAMS sul petto, e avrei poi giocato in seguito con gli amici la carta del “si è sbagliato il tatuatore: io volevo scrivere Robin, lui ha scritto Robbie”, adesso difenderei la musica di – per dire – Rihanna a qualsiasi costo. E il fatto è che ci credo davvero. Non sono l’unico, eh, chiaro, e proprio perché non sono l’unico – tra quelli che una volta dichiaravano di ascoltare solo musica conosciuta al massimo da 100 persone – che darebbe sinceramente un braccio per aver un disco nuovo di Rihanna, qui, subito, ora, è chiaro che l’offerta di musica facile ha modificato anche la testa delle persone. Non può essere solo una questione di ammorbidirsi con l’età. Quando danno la Michielin in radio io fermo sempre lo zapping per ascoltarla, e mi piace anche. E la cosa determinante per capire che tutto questo mio discorso è vero è che anche Diego mi ha detto che fa la stessa cosa.
Si sono rotti i ponti tra musica alternativa e commerciale. Si dice sempre. Piuttosto quindi parliamo di un’altra cosa che secondo me c’entra con il tema (caldissimo) della domanda e dell’offerta. Parliamo del parlare delle cose di cui tutti parlano. Non è che lo fai perché sei un poser, lo fai perché ti piace farlo, ti interessa l’argomento, ti piace (“ti” generico, non riferito a me, io sono sempre preso male sui social) quella possibilità di confrontarti ovunque tu sia che danno i social network. Una volta potevi parlarne al massimo al telefono, ma di solito ci si scambiava dischi o opinioni a un concerto, a una festa o nella tua cameretta, dove il tuo amico pensava che il pomeriggio precedente avessi ascoltato Wowee Zowee dei Pavement e invece ti eri sparato Backstreet’s Back a ripetizione, cose che succedono ancora (gli scambi, non la heavy rotation dei Backstreet), ok, ma adesso non sono le uniche possibilità di scambiarsi opinioni. (Parentesi nostalgia per dire che coi primi SMS era un gioco bellissimo). Adesso la cosa ancora più bella è che la Michielin in Io non abito al mare dice (cito testualmente) “queste cose vorrei dirtele a un orecchio mentre urlano e mi spingono a un concerto, per vedere se mi stai ascoltando”. Parla di cose d’amore, emozioni da evitare, ma è una bomba il fatto che un concerto sia ancora il posto in cui parlare delle cose che ti stanno più a cuore. È uno spazio condiviso tra noi e la Michelin (TV Sorrisi e Canzoni dice 23 anni), tra chi in passato ha fruìto diversamente della musica rispetto alle modalità di oggi e i giovanissimi per i quali Spotify è una cosa normale. Il campo comune in cui parlare dei cazzi a cui teniamo di più sono i concerti, per tutti. La trovo una cosa entusiasmante e non è un caso per esempio, se vogliamo proprio dire una cosa statistica, che la musica dal vivo non abbia perso di appeal in questi anni in cui è cambiato totalmente il modo di ascoltare i dischi. Questo per dire che è difficile ragionare imponendosi una linearità e una razionalità. Si trovano punti in comune anche dove meno ci si aspetterebbe di trovarli, tra il mondo di 20 anni fa e quello di adesso, e quei punti li trovi dentro a una musica che sulla carta avresti dovuto snobbare, per esempio un testo della Michielin. È impossibile ragionare in modo dogmatico. E questo valga come temibile monito nella prosecuzione del discorso ma anche della vita, una cosa scalpellata su una targa di pietra inchiodata al muro in fondo all’aula magna
Tantissime persone che ascoltavano rock alternativo, ai tempi in cui quelli che ascoltavano hip hop erano “gli altri”, adesso magari ascoltano un sacco di trap. È la dimostrazione del cambiamento e del fatto che ci sia stato un travaso massivo di fan da un genere all’altro. Ed è curioso che lo scambio sia avvenuto anche tra due generi i cui fan una volta erano lontanissimi tra loro. La trap attualmente in Italia, più della musica elettronica, è il genere che se lo ascolti sei al passo coi tempi, perché assecondi il cambiamento, te ne interessi, ti piace. Qualsiasi dubbio tu abbia sulla trap ti catapulta automaticamente dall’altra parte della barricata. La trap come unità per misurare la tua capacità di essere nel presente. Ma i modi di essere nel presente sono tanti. Anche ammettere che ti piace la Michielin è un modo di farlo, di uscire dagli schemi rigidi di un tempo e capire che la musica è impossibile amarla a settori. Poi è chiaro che se mi chiedi il mio gruppo prefe non ti dico la Michielin ma i Van Pelt o Stephen Malkmus & The Jigs. Tutti giovinastri. Ma è un cambiamento dell’atteggiamento e non riguarda il gusto musicale, non riguarda la ricerca di nuove sonorità che rappresentino il presente o tendano al futuro ma è comunque un passo in avanti. Ognuno fa quello che gli viene spontaneo fare, per essere nel presente. Oppure non lo fa, ma lì siamo in un altro campionato. È difficile poi liquidare come retrogrado l’atteggiamento di qualcuno che ascolta sempre lo stesso tipo musica, perché ognuno nella musica ci sente quello che ci sente. PER ESEMPIO. Un gruppo che suona con evidenti riferimenti musicali al passato non è per forza indietro, può al contrario comporre con estrema creatività ed essere innovativo nel taglio che dà all’interpretazione di quella musica. Grazie ad Aaron Rumore per la riflessione su Facebook sui Nap Eyes:
“Un gruppo incredibile di ragazzi bianchi, istruitissimi, fissati con la linea genealogica della loro musica rock (VU/lou reed/modern lovers/feelies/television/indie pop scozzese/pavement) e che compongono “testo alla mano”, accuratamente. È pura nostalgia, ma a suo modo estremamente creativa, e questo nuovo album è sicuramente il loro miglior sforzo in questo senso. Questo anche per ribadire che ogni posizione dogmatica rispetto passato e futuro, specialmente in ambito musicale, lascia il tempo che trova”.
Poi l’elettronica di sicuro è la musica in cui è più facile sperimentare e quindi, di fatto, si sperimenta di più, per questo è la musica del futuro. Ma sono passati così tanti anni e siamo arrivati al punto in cui la musica ci ha dato talmente tante cose che, a concedersi la libertà di ascoltarle senza pregiudizi, un musicista può rielaborarle in mille modi diversi e se ha talento nel farlo tira fuori una visione sua, diversa da quella degli altri e quindi sperimentale. I Nap Eyes fanno questo, Spencer Radcliffe fa questo, e lo fanno in modi diversi l’uno dagli altri. Se l’ascoltatore coglie queste cose, può darsi che ci trovi il suo modo di stare nel presente e di vedere il futuro della musica. Se invece nonostante i tentativi non prova gusto più di tanto ad ascoltare l’elettronica, non può continuare a cercare il suo futuro musicale lì. Se la trap non gli dice niente, non può cercarci il presente. Deve andare a cercarli da un’altra parte, presente e futuro. Secondo me la cosa importante è cercarli, avere la curiosità, non fermarsi solo a quello che ascoltavi quando avevi 20 anni, perché in men che non si dica quello che ascoltavi a 20 anni diventerà quello che ascolti a 40 e a 60, sempre che tu abbia ancora voglia di ascoltarlo. Un destino macabro. È legale ascoltare anche spesso quello che ascoltavi 20 anni fa, questo la Corte lo concede, ma non lo è ascoltare solo quello.
Ascoltare la Michielin significa cambiare atteggiamento. E questo ti permette di conoscere un sacco di cose nuove, diverse, senza rigidità precostituite. Allargare la concezione e la visione del presente: una volta il presente musicale era solo determinate cose, adesso è tanto di più. Essere nel presente vuol dire anche questo, non vuol dire solo ascoltare la trap o vedere il futuro nell’elettronica. Vuol dire avere un atteggiamento aperto verso tutto quello che ho voglia (se non ne ho voglia, non lo faccio) di papparmi grazie a Spotify, Soulseek, YouTube, Bandcamp o altro, e dare un giudizio sincero a quello che si ascolta. E posso avere quell’atteggiamento aperto proprio perché posso ascoltare tutto con facilità. Quindi insomma, SI. Spotify ha cambiato la visione che abbiamo del presente. Più precisamente lo streaming e il download (si, dai, mettiamoci dentro anche il gemello diverso dello streaming perchè io Soulseek lo vedo ancora popolatissimo) sono i mezzi che del presente ci permettono di esercitare una visione diversa.
E ora, solo per ricordarvi quanto spaccava (partite pure da 1 minuto e 37):