I Radiohead scompaiono da internet. Anzi no, hanno condiviso una cosa su Facebook

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I Radiohead hanno svuotato il loro sito lasciandolo bianco e cancellato tutti i post da Facebook e da Instagram. Ho letto alcune opinioni in giro e mi sono fatto un’idea.

1) Alcuni dicono che sia un atto politico, nello specifico una guerra a Google. Che guerra stupida però. Sul web ci sono tantissimi contenuti su di loro e quelli non scompariranno mai da Google. Scomparendo, poi, quali risultati si ottengono se tutti gli altri gruppi non vogliono scomparire? Nessuno. Non tutti seguiranno il loro esempio, perché a molti non interessa passare per il genio che conduce lotte politiche ai colossi ma più sensatamente interessa condurre guerre più piccole ma più utili. Oppure, non condurre guerre. A volte condurre una guerra da solo serve esclusivamente per promuovere se stessi di fronte agli altri. A volte ha senso combatterle insieme, perché da soli i risultati non si raggiungono, è impossibile. Come in questo caso della guerra contro Google.

2) Uscirà un disco, oppure no. Non sappiamo cosa succederà. Non sono un esperto di marketing ma per quanto mi riguarda, e penso di essere proprio da includere nel target del consumatore medio, aspettare una cosa che non so cosa sia non mi piace. Il tempo di attesa per il download su hitfile è passato da 1 minuto a 3 minuti e 30 secondi. È un tempo infinito ma aspetto sempre e non vedo l’ora che finisca, perché so cosa aspetto. I Radiohead per creare l’aura di mistero che contribuisce ad aumentare la diffusione della notizia, non ci hanno detto né se stiamo aspettando qualcosa né cosa stiamo aspettando. Cosa aspettiamo a fare? È il concetto di attesa che i Radiohead alimentano che è sbagliato, secondo me. Se il marketing non ci dà qualcosa da aspettare, non ci può dare nient’altro.

3) Il Marketing. Non mi piace il marketing a tutti i costi per l’uscita di un disco. Si finisce per parlare di tutto tranne che di musica. I Radiohead sono quelli che hanno dimostrato di crederci di più, insieme agli U2, gruppo che li ha ispirati musicalmente all’inizio della carriera, Pablo Honey è il documento che lo prova. Si torna insieme, compagni, a distanza di anni, a fare cose che non c’entrano niente con la musica, ma solo con la promozione di sé. Un ‘altra conseguenza del marketing spinto pre-qualcosa è che si finisce per ammazzare qualsiasi impeto un minimo critico dei fans, che dopo aver aspettato tanto sono così in fotta da accettare qualsiasi cosa, anche una musica non all’altezza. È una specie di dittatura, di controllo dei fan. Alla faccia della lotta alle “dittature” (come quella contro Google) di cui i Radiohead si fanno rappresentanti.

4) Alcuni hanno detto che non è solo una questione di fare pubblicità a se stessi. Ma sono sicuro che i Radiohead non hanno pensato neanche un secondo che la mossa di cancellare tutto il sito e tutti i post su Facebook non avrebbe fatto parlare di loro. Nessuno può pensarlo. Pochi minuti fa, su Facebook e su instagram, i Radiohead hanno pubblicato un video di un uccellino che cinguetta e i fan hanno già iniziato a commentare cose tipo “voglio uccidere qualcuno, non ho mai visto un video di 5 secondi di un uccellino che mi facesse emozionare così tanto”. E poi non sarebbe un’operazione di marketing.

Atoms For Peace, Amok

Amok, Atoms For Peace

Premetto che non avevo grandi aspettative per questo AMOK di Atoms For Peace, il progetto di Thom Yorke dei Radiohead, Flea dei Red Hot Chili Peppers e Nigel Godrich, produttore, non uno qualunque. Non avevo grandi aspettative perchè Thom Yorke nell’ultimo Radiohead è risultato piatto, privo di vitalità, autocelebrativo; Flea è un ottimo bassista che si è bruciato il cervello già dal 1991, da quando è uscito Blood Sugar Sex Magic, e ci ha lasciati per il troppo lavoro, per ritornare solo per un episodio isolato, ramingo verrebbe da dire per quanto è selvaggio e perfetto: Pea, nell’album successivo, One Hot Minute – del resto con Blood Sugar Sex Magic gli RHCP avevano dato il massimo, si erano spinti fin dove potevano spingersi per poter avere ancora la coscienza pulita e pensare di essere rimasti nei limiti consentiti dal bello, mantenendo una botta da paura ma modellando un pò il suono, al netto del grezzo, e corrompendo ciò che era la loro integrità già un pò scalfita da Mother Milk, ma evidente nei tre album precedenti; Nigel Godrich è il produttore di tutti i Radiohead, di The Bends e Ok Computer ma anche di Hail to the Thief e The King of Limbs, oltre che di album ciofeca come Guero di Beck ma anche di capolavori come Left of the Middle di Natalie Imbruglia, quindi su di lui avevo qualche riserva, qualche indecisione di troppo.

Considerando poi che attraverso un periodo in cui esistono solo We=Trouble di Johnny Mox e Mixed Race di Tricky, il confronto è duro. Può sembrare non folle mettere a confronto Tricky e Thom Yorke e può sembrare folle mettere a confronto Johnny Mox e Thom Yorke, ma folle non è. Da un certo punto di vista Mox e Yorke rappresentano gli opposti: Johnny Mox è la libertà, la gramigna, l’acerba reazione alle cose, scomposta e violenta; Thome Yorke è l’esperienza, sì, ma anche, in questa fase, poi magari si riprende, l’appiattimento su se stesso e sul “senti qui come sono bravo”, e sono talmente bravo che non canto più, biascico per non sussurrare e faccio la stessa fine che ha fatto Mariah Carey. Ancora meno folle è il confronto tra Thom Yorke e Johnny Mox se si pensa che, da un certo punto di vista, invece, si assomigliano: è il loop che li unisce.
Tricky invece è il big bambu incontrastato, e Mixed Race ne è la prova. Lo aspettiamo al varco a maggio.

Amok, Atoms For Peace

AMOK di Atoms For Peace (XL Records) vede, oltre alla partecipazione dei tre personaggi già menzionati, del cui nome si fa spesso e malvolentieri largo uso nei post per indicizzare meglio i contenuti su gugol, anche quella di Mauro Refosco, percussionista brasiliano con trascorsi nei recenti RHCP, e Joey Waronker, batterista mancino già comparso in Odelay e altro di Beck, XO di Elliot Smith, Up e Reveal dei R.E.M., e che ha collaborato con sacri zombie come Johnny Cash e Thurston Moore, ma anche con Nelly Furtado e Bat For Lashes. Waronker ha prodotto anche Tamer Animals degli Other Lives.
Ecco invece come si sono divisi i compiti i tre testa di serie: Yorke canta, suona la chitarra e il piano, Flea il basso e Godrich è alle keyboard e al synth. Atoms For Peace nasce nel 2009 come una live band, per portare in giro l’abum The Eraser di Thom Yorke. Il singolo Default è uscito su iTunes in settembre 2012. Da allora anche Dio aspetta l’uscita dell’album.

Il mio rapporto con l’elettronica è difficile, sto cercando di essere meno vecchio, ma rimane un distacco tra me e lei. Non sempre riesco a comprendere il significato delle cose, non sempre mi sento stimolato. Non che con la musica rock io sia una grande volpe. Comunque, affrontai di petto l’elettronica anni fa con Annullé di TBA. Tralasciando il fatto che è bello come l’ho scoperta (TBA al secolo Natalie Beridze) perchè me la consigliò uno dei commessi di negozi di dischi più prolifici di consigli che io abbia mai conosciuto, al Dee Jay Mix di Cesena, fu dura ma mi piacque e da Annullé (2005) ho iniziato a pensare che i Radiohead non facessero elettronica vera, ma solo per fighetti. Quindi, avrebbe dovuto essere di mio gradimento. Invece, come mai non ero riuscito a entusiasmarmi davvero quando è uscito Kid A (forse perchè non capisco un cazzo di elettronica) e perchè la scelta elettronica dei Radiohead, seppur segno di una svolta sconvolgente e ammirabile dopo un album come OK Computer, non mi ha mai convinto fino in fondo e invece mi convinceva Aphex Twin? La vita stessa è una contraddizione.

TBA

TBA

Il problema di Amok è la voce di Thom Yorke. La forza dell’album è tutta nelle musiche: quelle di Dropped, quelle di Unless, dove interviene Refosco a dar man forte con un contributo esaltante, quelle di Reverse Running, con gran drumming looppato di Joey Waronker.
L’album si rivela spesso piatto sulle linee vocali, in una parola: noioso, e molto più valido dal punto di vista strumentale. Solo in Stuck Together Pieces Yorke alza un pò la testa e guarda oltre, e il respiro dell’album si fa più ampio, perchè anche lui corre bene dietro alla chitarra (la sua) e alle elettroniche, o viceversa. I dettagli compositivi rendono questa canzone la migliore del disco.
In generale, è come se Thom Yorke soffrisse di uno sdoppiamento di personalità: quando suona è integrato con gli altri musicisti, quando canta è disintegrato.
Si ripiomba nel mondo del fastidio di Yorke già con Judge Jury Executioner, dove l’arpeggio della chitarra e la melodia del ritornello avrebbero dovuto essere sostenuti da un’aggressione più decisa a tutto il corpo della canzone, non da una vocina. I cori fantasmagorici della title track Amok sono impalpabili e la musica ricorre (come altre volte, ma non troppo spesso) a espedienti radioheddiani, qui un piano forte (di Thom Yorke). Chi ha visto per la prima volta dal vivo i Radiohead al Vidia di Cesena giura di ricordare uno Yorke arrabbiatissimo, un pò fuck the world, peggio der Grignani, su quello stesso palco. Con gli anni Yorke è maturato e ha raggiunto l’equilibrio, un equilibrio sublime. Ora sta riposando. E perde i colpi, tanto che non è all’altezza delle musiche che lui stesso in parte compone, dell’album che lui stesso ha pilotato, o avrebbe voluto pilotare.

Mr. Hide

Mr. Hide

Forse è successo perchè mentre con i Radiohead è libero di fare il bello e il cattivo tempo tant’è buono Jonny Greenwood, con Atoms For Peace, Thom Yorke c’ha anche provato a fare il capo, ma Flea gli ha dato un morso sull’occhio. A parte tutto, è possibile che in studio non abbia funzionato l’accostamento di questi musicisti, che pure si conoscono bene dal punto di vista professionale? Forse. Il disco è irregolare, incostante, non del tutto soddisfacente, prima di tutto per la distanza che c’è tra voci e strumentazioni, tale che sembra che la base musicale sia la corrente e la voce il pesciolino che la risale, e questo crea una discrepanza tra ciò che dovrebbe uscire e ciò che di fatto esce dalle casse del computer, o dello stereo, a seconda. Ingenue è l’esito più esplicito di questo problema: l’elettronica crea un bel ritmo ma poi si appiattisce sulla voce, per riprendersi solo sul finale, quando ormai è inutile. Secondo: alcuni pezzi sono riusciti molto peggio di altri, non solo per la voce. Before Your Very Eyes è un esempio di non riuscito fino in fondo, ed è proprio l’inizio dell’album.

Da una tale formazione mi aspettavo i fulmini, e ritmiche che il cervello (almeno il mio) si spappola per seguirle, o perchè ti ipnotizzano, o perchè ti perdi a capire dove vanno. Default (nomen omen) alza il tiro, ma non regge i 5 minuti e 16 secondi di durata, annoia sulla distanza. La finezza c’è, manca il groove, la botta, la spinta ad aver voglia di arrivare fino alla fine.

Radiohead, The King Of Limbs

L’album peggiore dei Radiohead, The King Of Limbs. E fate rinchiudere chiunque dica che è un album fantastico. L’avevamo già (mezzo) detto noi. Il fatto che i concerti costino 60 sacche, poi, mi spinge a fargli un rapido upload di sfaccimme. A voi no? Ma dove cazzo è finita l’epoca in cui i gruppi di una certa stazza davano il buon esempio e facevano le battaglie contro i biglietti milionari (mi vengono in mente solo i Pearl Jam)?