INTERVISTA AGLI HAZY LOPER

front cover

Qualche anno fa andavo al Velvet con gli amici, al sabato sera. Al ritorno ci fermavamo all’autobar di Santarcangelo di Romagna per mangiare una pizza al taglio di Gianni. Per quanto mi riguarda, Santarcangelo (che è a 25 km di Via Emilia da dove sono nato) è stato questo per tanti anni. A volte c’ero andato a vedere qualche concerto durante il Festival dei Teatri, ma se qualcuno mi avesse detto Santarcangelo, io avrei pensato subito a Gianni dell’autobar. Poi ho finito di studiare, mi hanno dato un lavoro ed è successo che Santarcangelo è diventato il paese in cui lavoro io, lavora la mia ragazza, il posto in cui passo la metà della mia giornata. Santarcangelo è bellissima, ha dato i natali a tre poeti dialettali incredibili e c’è un sacco di gente che fa della legna per organizzare cose. C’è anche un etichetta discografica, la Ribéss Records, che fa per lo più musica malinconica. La Ribéss Records è del mio amico Giulio, che un giorno mi ha detto OH, ho un gruppo americano, due californiani. Ne abbiamo parlato un pò. Fumano le canne? gli chiesto io che sono una persona con un sacco di pregiudizi, e Giulio mi ha risposto di no. Poi è nata l’idea che invece di farle a lui le domande avrei potuto farle a loro.
Gli Hazy Loper sono Patrick Kadyk e Devon Angus ed esistono dal 2003. Dal 10 al 22 ottobre sono in Italia per un po’ di concerti, qui, per promuovere il disco nuovo, Ghost Of Barbary, uscito su Out of Round e Ribéss Records. Ghost Of Barbary è scritto e arrangiato con la collaborazione dei Closer to Carbon, dei quali, se fossi bravo, avrei chiesto qualcosa a Patrick e Devon. Abbiamo parlato di San Francisco, della sua scena musicale, della musica folk e del loro album. Eccole qua, le risposte (quelle in inglese sono sotto).

Ciao ragazzi, voi siete di San Francisco, ci sono stato una volta, voglio andarci a vivere. Non che qua la vita sia una merda, però sono curioso di sapere come ve la passate là.
Patrick: La bella San Francisco è stata a lungo il rifugio di artisti, vagabondi e outsiders ma ora si ritrova gestita da gente che ha fatto i soldi da poco; una popolazione di maschi bianchi privilegiati, che pensano che tutto gli sia dovuto, di mentalità quadrata e superficiale. Questo ha portato a un aumento dei prezzi in generale e all’allontanamento di tanti artisti e della classe media, e la città si è trasformata in una specie di parco giochi per bambini ricchi. Siamo letteralmente appesi a un filo. Una triste realtà…
Devon: Avrei parecchio da dire sull’argomento. Mi interesso della storia della città, e la amo tantissimo. A dispetto dei tanti difetti San Francisco è sempre stata una città che quasi non fa parte degli Stati Uniti. Patrick ha ragione, San Francisco è sempre stata un magnete per artisti, rinnegati, amanti e dissidenti, e in questo momento la sua identità è messa in difficoltà da un iper-capitalismo senza regole portato dall’industria dell’hi-tech con l’aiuto del governo locale. Una buona percentuale dei miei amici è stata costretta a trasferirsi a causa degli affitti impossibili: ma voglio essere ottimista, la storia dimostra che la città può resistere a molto… non è ancora morta, non morirà mai.

Ascoltandovi ho pensato a Wovenhand acustico e ai Three Fish. Da una parte c’è una delicatezza cupissima, dall’altra le ritmiche Eastern music. Quali sono i dischi che avevate sempre nel lettore nel momento in cui avete registrato Ghost Of Barbary?
P: Difficile da dire ma probabilmente un sacco di Bad Seeds, in particolare Push the sky away, Smog, Califone, Another Green World, Beethoven, Blind Blake, i nostri compagni di etichetta Bancale, Mingus, Mark Lanegan, Eric Dolphy, Chopin, Cohen, Townes.
D: Ho ascoltato i miei cantautori preferiti come Leonard Cohen, Townes Van Zandt, Nick Cave, Bob Dylan, Guy Clark, e Richard Thompson. Ho ascoltato molto anche band di San Francisco amiche come Trainwreck Riders, Dory and the Skirtheads, Two Gallants, and The Naked Cult of Hickey. Anche Unwound da Olympia, Washington, erano sempre nel lettore.

Gli Unwound non me li aspettavo nella vostra lista, mi piacevano molto, e li ho conosciuti per caso, perché un amico aveva dimenticato un loro cd nella mia macchina. Tu come hai fatto a conoscerli?
D: Ho visto gli Unwound a Santa Cruz, California, quando ero un ragazzino nei primi anni 90. Sono impazzito per loro e ne ero abbastanza ossessionato. Li ho visti in concerto diverse volte anche nelle cantine delle case e nei secret show, dove c’è l’atmosfera perfetta per le loro esplosioni di feedback e per le loro bellissime ritmiche. Ed erano veramente dark! Non li vedo da 15 anni, credo che si siano sciolti.

Dentro al disco ci sono sonorità tutte vostre, cori da chiesa, accordature dissonanti e rumori nascosti sotto uno strato a volte consistente a volte meno di arrangiamenti, ma le melodie che reggono tutto sono sempre orecchiabili. Il disco è folk, genere ampissimo che in questo momento sforna un nuovo interprete al minuto, molti noiosissimi. Quanto ve ne sentite parte e quanto no? Vi interessa? Cosa pensate del grande interesse che si è creato attorno a questo genere da un po’ di tempo?
P: Non so tanto del fatto che ci sia un maggiore interesse verso il folk ultimamente, mi è sempre sembrato un po’ marginale, poi noi in particolare siamo abbastanza fuori dai giri in generale e a me sta bene così. Mi sono sempre sentito lontano dalla cultura pop e non aspiro a farne parte. Detto questo, credo che l’immediatezza e la crudezza della musica folk o acustica sia molto interessante specialmente se contrapposta a quella che è la maggioranza della musica odierna, omologata e troppo prodotta.
D: Quando ero un ragazzino e avevo vent’anni, negli Stati Uniti e a Londra, durante gli anni 90 ero molto coinvolto nella scena anarcho/punk squatter. Il mio amore per la musica folk e country è nato quando ero un teenager ma mi sono accorto subito che quel tipo di musica veniva totalmente ignorata in molte scene musicali in quegli anni. Ascoltavo segretamente in cuffia Leonard Cohen ai concerti punk. Da allora il genere è esploso ma ancora non mi sento parte di esso. Scappo ancora dalle feste per ascoltare Leonard Cohen

Anni fa pareva che negli Stati Uniti la musica indipendente funzionasse molto meglio rispetto a tutto il resto del mondo. In questo momento la produzione indipendente italiana sta tirando fuori un sacco di cose valide e c’è un movimento incredibile. Raccontatemi cosa succede negli USA.
P: Sembra essere viva e vegeta almeno a San Francisco e soprattutto a Oakland. Ci sono davvero migliaia di band che suonano ogni genere musicale. Un sacco di roba buona e un sacco di roba ordinaria. C’è ancora una forte scena underground con concerti ogni sera in luoghi non convenzionali: magazzini, gallerie, case, e show improvvisati all’aperto e simili. Ma il successo economico è più difficile che mai da ottenere e direi che davvero la musica migliore si suona in questi luoghi particolari.
D: Credo anch’io che il segreto per sostenere la scena musicale sia negli show underground. Show in casa, nei salotti, nelle gallerie, in metropolitana, sotto i ponti, per strada… come ha detto Patrick San Francisco ha dozzine di serate organizzate ma l’energia viene dai gruppi di regaz che si mettono insieme per fare musica al di fuori della scena musicale convenzionale. Molte band di successo a San Francisco sono tornate alle origini (come i Two Gallants or Grass Widow) a dispetto del loro successo perché è lì che sono le loro radici. Un caso eccellente è il malfamato Clarion Alley block party a San Francisco, durante il quale tante band e artisti celebrano una delle più grandi e ribelli strade degli Stati Uniti, a dispetto della crescente pressione dei soldi e dell’influenza della gentrificazione.

“The stars they fall like suicides / It’s the last night of the earth” sono i versi che attaccano Ghost Of Barbary, apocalittici e violenti, come altri momenti dei vostri testi. Le parole hanno molto peso per voi. Fino a che punto sono vere e quanto fingete?
D: La canzone Last Night Of The Earth parla del devastante terremoto che ha colpito San Francisco nel 1906. Per me contiene, simbolicamente, la devastazione di tutto il 20esimo secolo. Questo sentimento ritorna in Yanka’s Lament, una canzone sulla tragica morte della grande cantante e dissidente russa Yanka, annegata in circostanze misteriose, probabilmente uccisa dalle autorità durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Per me queste canzoni rappresentano l’attrazione e la paura che ho nei confronti del 20esimo secolo. E non è che abbia una gran speranza nel 21esimo secolo…
P: Le parole sono molto importanti. Per me sono tutte vere. In realtà sono l’emblema di una realtà amplificata, che esplora le profondità dell’emozione e delle cose possibili, e che ha sempre a che fare con l’esperienza. Questi elementi elusivi non sono necessariamente definiti e cambiano continuamente ma sono in qualche modo intrinseci agli eventi reali o al loro racconto. Perché aiutano a creare un’immagine più realistica di un evento, un’esperienza o anche un modo di vedere la realtà. Scrivere bene è riuscire a mettere insieme questi elementi in modo sensato e evocare il sentimento e la profondità dell’emozione.

Così, giusto per mettervi al corrente di una cosa che di sicuro non v’interessa, in questi giorni ho rispolverato i dischi e anche la maglietta degli Sparklehorse. Siete fan?
D: Non li ho mai ascoltati, ma lo farò.
P: Mi piacciono gli Sparklehorse.

Ciao.
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A few years ago I used to go to Velvet club with my friends on saturday nights. On the way home we used to stop to the “Autobar” in Santarcangelo di Romagna to have a pizza slice made by Gianni, who worked there. As far as I was concerned the town of Santarcangelo (that’s 25 km away from where I was born) has been not much more than that for many years. I had been there a few times at the Theatre Festival venues but if someone mentioned “Santarcangelo” the first thing that came to my mind was Gianni from the Autobar. Then I wasn’t a student anymore, and I was given a job and now Santarcangelo is the town where I work, where my girlfriend works, where I spend half of my day every day. Santarcangelo is beautiful, 3 incredible vernacular poets were born there and is full of guys arranging venues and stuff. There’s also a record label called Ribéss Records specialized in glum music. Ribéss Records is my friend Giulio. Once Giulio said to me Hey, I’m having an american band, 2 guys from California. We talked about them. I said Do they smoke weed? because I have preconceptions. He said no they don’t. Then we thought that I could ask them things about themselves instead of asking Giulio.
Hazy Loper are Patrick Kadyk and Devon Angus and they are a band since 2003. They are in Italy from October 10th to the 22th for a few gigs (here) to promote their new record, Ghost Of Barbary, produced by Out of Round and Ribéss Records. Ghost Of Barbary has been written and arranged in collaboration with Closer to Carbon, about whom I would have asked Patrick e Devon if I was good. We have talked about San Francisco, its music scene, folk music and their album. And here you go, the answers.

Hi guys. You are from San Francisco. I’ve been once, I wanna live there. How are you doing?
Patrick: Beautiful San Francisco, having long been a haven for artists, bohemians and outsiders is currently being overrun by new money. A population of over privileged, entitled, and entirely square, clueless young white men, resulting in the whole scale eviction and systematic pricing out of so many artists and middle class people in general, making it little more than a playground for rich children. We are hanging on by the skin of our teeth literally. A sad reality…
Devon: I have much to much to say about this. I am an historian of the city, and I love it dearly. Despite its many flaws San Francisco has always been a city that sits almost outside the U.S. Patrick is right, she has long been a magnet for artists, misfits, lovers, and rogues, and right now that identity is being challenged by an unregulated hyper-capitalism thanks to the tech industry, with ample help from the office of the mayor. A goodly percentage of my friends have left due to impossible rent; yet I remain optimistic. History has shown her resilience… She ain’t dead yet, nor shall she ever be.

Your stuff reminded me of an unplugged by Wovenhand and of Three Fish. There’s a very delicate darkness and Eastern music rhythms all together. Which records were you listening to while recording Ghost of Barbar
P: Hard to say, but probably a lot of Bad Seeds, especially Push the sky away, and most likely Smog and Califone, Another Green World, Beethoven, Blind Blake, label mates Bancale, Mingus, Mark Lanegan, Eric Dolphy, Chopin, Cohen, Townes.: I was listening to my favorite songwriters, namely Leonard Cohen, Townes Van Zandt, Nick Cave, Bob Dylan, Guy Clark, and Richard Thompson. I was also listening to my favorite local S. F. friend’s bands like Trainwreck Riders, Dory and the Skirtheads, Two Gallants, and The Naked Cult of Hickey. Unwound, from Olympia, Washington, were also in heavy rotation.

I didn’t expect Unwound on your list. I like them so much and I knew them by chance, because a friend of mine left a cd in my car. How did you know them?
D: I saw Unwound in Santa Cruz, California, when I was a teenager in the early nineties. They blew my mind and I became quickly obsessed with them. I would see them in punk house basements and other secret shows; perfect atmospheres for their feedback squalls and lilting beauty. And they were dark! I haven’t seen them in over 15 years now, I believe they’ve broken up…

The record has a very personal sound, with church choruses and dissonant tunings and noises disguised by arrangements that can be very strong sometimes. On top of all this, the melodies are always pretty catchy. It’s a folk record, and the folk genre right now is a wide place that gives birth to a new musician every other minute, most of them very boring by the way. What do you think about the large interest that’s around folk as genre lately? Do you feel part of it or not? Do you even care?
P: I don’t know about more interest in folk as a genre these days, it always seems fairly marginal, regardless we’re pretty out of the loop in general which is fine by me.  I’ve always felt out of step with pop culture in general, nor do I aspire to be a part of it. But that said I do believe that the immediacy and rawness of acoustic or folk music has a great appeal especially when juxtaposed by what is the majority of  music culture, slick, whitewashed, and overproduced.
D: When I was a teen and in my young twenties in the U.S. and London during the mid 90’s I was heavily involved in the anarcho/punk squatter world. My love of folk and country music came from my early teens, but I found that such music was ignored in many scenes at the time. I would secretly listen to Leonard Cohen at the punk shows on my cassette headphones. Since then the genre has exploded, but I still feel apart from it. I still sneak away from parties to listen to Leonard Cohen.

Years ago independent music seemed to be working very well in the US, better than the rest of the world. Right now here in Italy independent music is doing great and a lot of awesome stuff is coming out. Tell me what’s going on in the States right now.
P: It seems to be alive and well at least in San Francisco and especially Oakland. There are literally thousands of bands playing in every type of genre you can think of. Lots of great stuff and lots of ordinary stuff. There is still a big underground concert scene with shows every night in unconventional venues: warehouses, galleries, living rooms, outdoor guerrilla-type shows and the like. But financial success is even more elusive than ever, and I would say that by far the most original and interesting music is within these outsider venues.
D: I really believe that the key to a sustainable music scene lives and dies by underground shows. House shows, living room shows, gallery shows, shows in the subway, under bridges, on the streets… Like Patrick said, while San Francisco has dozens of venues, much of the energy comes from groups of folks coming together to create outside of the established music scene. Many successful bands in San Francisco return to this truism (such as Two Gallants or Grass Widow), despite their success, because that’s where their roots lie. An excellent case in point would be the infamous Clarion Alley block party in San Francisco, a coming together of disparate bands and artists to celebrate one of the great rebel alleys of the United States, despite the increasing pressure of money and influence from the forces of gentrification.

“The stars they fall like suicide / It’s the last night of the earth” are the lyrics at the beginning of Ghost Of Barbary. Violent and apocalyptic lyrics appear every now and then. Words seem to be pretty important to you. How real and how fake are them?
D: The song Last Night Of The Earth is about the devastating 1906 earthquake that leveled San Francisco. To me it ushered in, symbolically, the considerable devastation of the entire 20th century. This sentiment is echoed again in Yanka’s Lament, a song about the tragic death of the great Russian dissident singer Yanka who mysteriously drowned, likely killed by the authorities, during the crumbling of the soviet union. For me these songs bookend my fascination and horror of the twentieth century. I don’t have a great deal of hope for the 21st for that matter…
P: Words are extremely important. For me they are all real. Emblematic of a heightened reality really. One that explores the depths of the emotion and possibility that is always intertwined with actual experience. These more elusive elements are not necessarily literal or defined, and are subject to constant change, but they are in some ways more elemental or intrinsic to the actual events themselves or the retelling of them. Because they help to create a more realized picture of what truly encompasses an event or an experience or even a way of seeing reality. Whether or not one can bring these elements together in a way that makes sense and that evokes feeling and depth of emotion is what makes good writing.

You probably do not care but lately I found my old t-shirt by Sparklehorse and that got me listening to the records again. Are you fans?
D: I never have listened to them, but I’ll check them out.
P: I like Sparklehorse.

 

Ciao.

Topsy the Great, l’intervista: arriva la bestia rumorosa

Bando alle ciance tutte nostre che di solito sbrodoliamo su queste paginacce e spazio a chi si sbatte per fare un po’ di musica. È arrivata l’ora dell’intervista. Questa è la nostra prima e l’abbiamo fatta con Topsy the Great, un power trio che porta nelle casse dello stereo il suono della bestia rumorosa che risiede in noi. Il primo ep omonimo con sette tracce l’hanno fatto uscire nel 2009, il secondo, Vol. II (5 tracce), nel 2010. Il loro primo disco è uscito nell’ottobre 2012, si chiama Steffald ed è realizzato da FromScratch Records e Santa Valvola. FromScratch è viva dal 2002 ed è l’etichetta con il sito dalla grafica più simpatica e indiavolata del web. Produce cose decisamente fighe, curiosate nel sito. Ringraziamo Peppe di FromScratch per avere fatto da ponte con i Topsy. E grazie anche e proprio a loro, ai Topsy, per aver simpaticamente dialogato con noi. Si va.

Domanda della genesi: quando e come sono nati i Topsy the Great?
Abbiamo cominciato a suonare insieme alla fine del 2008, senza tanti progetti o premeditazioni. L’intenzione era quella di suonare senza avere un cantante e fare cose che ci divertissero. Ci siamo conosciuti prima di questo “inizio”, condividendo alcuni palchi locali con le nostre esperienze in gruppi precedenti. C’era un’affinità di fondo identificabile nel rumore.

Lalboom è la canzone che apre il vostro primo album, Steffald. È un inizio fulminante, i suoni metallici e la ripetitività sono l’esempio perfetto di come si possano coniugare la ricerca e la tradizione del punk rock. Alcune volte, in Steffald, pare ci sia equilibrio tra le due cose, altre volte o una o l’altra vince alla grande. Rispetto al disco, secondo voi è un’impressione giusta o sbagliata? Ah, e complimenti per il video di Lalboom, veramente liberatorio, alla fine.
Grazie per aver apprezzato il video, da molte delle persone alle quali lo avevamo fatto vedere prima di farlo uscire veniva obiettata una carenza di cose tipo “non vi si vede suonare” e “potrebbe essere più a tempo”; sentirci dire che invece può essere un lavoro valido ci rinfranca e rinfranca la fatica di chi lo ha fatto. Per quello che riguarda l’equilibrio tra punk (intesa come attitudine) e ricerca, non sappiamo dirti in che modo riusciamo ad amalgamare il tutto; facciamo che il punk rappresenta per noi  una via per poter liberare con sincerità e franchezza quello che sentiamo. La ricerca, o meglio il fatto che quello che facciamo venga percepito anche come ricercato, non è una cosa che ci imponiamo, è un risultato instabile in cui anche la melodia dialoga con la scompostezza e il rumore.

Alcune canzoni hanno una freschezza incredibile, mi viene in mente Slurp. È perché sono immediate. Cioè: ci vuole un poco per sentire le diverse sonorità e soluzioni, ma tutto è molto vero, e anche un po’ truce. Come si fa a ottenere un risultato così, profondo e spontaneo allo stesso tempo? Come si articola, in fase di registrazione, la realizzazione dei pezzi?
Molto probabilmente andremo fuori tema ma ti raccontiamo (male) come facciamo a fare una canzone di solito. Ci troviamo, parliamo un po’ di cose normali ed extramusicali, montiamo le cose per suonare e iniziamo. Può succedere (ma non è sempre così) che qualcuno abbia pensato qualcosa, un riff o un tempo di batteria, ce lo raccontiamo come meglio ci riesce e cominciamo a suonare quella cosa. Dopo un po’ che suoni, senza jammare, succede che quello che suoni cambia (per i motivi più svariati che non sappiamo dire). Prendiamo un cambiamento che ci piace, se ce lo ricordiamo, e lo mescoliamo a tutto. (Questo racconto si esaurisce qui: ci rendiamo ora conto che è molto ovvio quello che stiamo dicendo, ma è davvero quello che succede: è tutto naturale). Per quello che riguarda la registrazione, arriviamo in studio con i pezzi già pronti; il lavoro di “pre-produzione” viene fatto su un registratore a cassette.

Torno un attimo sul video. Si vede un signore, con i capelli ricci, seduto sugli scalini di un monumento, che scuote le mani al ritmo delle rullate della batteria… Sicuramente mi sbaglio ma mi pare di averlo già visto. Ora, non sapevo se farvi questa domanda perché un po’ mi dico avrai sognato, ma alla fine la faccio. Mi potete dire chi è quel signore così mi tolgo definitivamente il tarlo? Ho letto alla fine del video i ringraziamenti a due persone ma non le conosco. È possibile che io abbia già visto quell’uomo da qualche parte e non ne conosca il nome o ci sono definitivamente rimasto?
Quel signore si chiama Francesco Massei (“un ciccio tosto” cit.) ed è un amico della persona che ha fatto il video. Forse lo hai già visto, chi lo sa… ci speriamo.

Chi ha montato il video?
Il video l’ha montato la stessa persona che l’ha girato, ossia Fabio Lombardi, che ringraziamo per la passione e tutte le idee: quando gli abbiamo chiesto di farlo l’unica cosa che avevamo in mente era una persona a cui vibra la mano perché in realtà è un cellulare e Fabio ha fatto tutto quello che hai visto (Francesco Massei compreso).

Il fatto che i vostri pezzi siano strumentali può far venire alla mente diversi gruppi. Trovo però che il vostro modo di suonare (e questo viene fuori moltissimo in Steffald) sia diverso da ogni altra cosa. Per esempio, vi hanno accostato spesso ai Lightning Bolt, ma il vostro suono è nuovo rispetto al loro. Cosa ascoltate ultimamente? Quali sono i vostri gruppi totem?
Prima di rispondere ti dobbiamo dire: grazye. Adesso possiamo rispondere. Cominciamo con cosa ascoltiamo ultimamente. Ascoltiamo, secondo una breve indagine del momento, i Ronin, i Black Moth Super Rainboiw e Zedd. I nostri gruppi “totem” potrebbero essere: i Fugazi, i Black Sabbath, i Sonic Youth, i Big Black e i Black Flag.

Dal vivo rendete benissimo, siete diversi rispetto all’album, quando vi ho sentito ho apprezzato tantissimo la botta. Steffald ha molto del suono live, ma nel nuovo album avete catturato meglio, rispetto ai concerti e a Vol.II, la dimensione artigianale e la ricerca sul suono, per tutti gli strumenti. Come e quanto avete lavorato in sede di produzione?
Come ti dicevamo prima, la nostra pre-produzione è merito di un registratore a cassette. Vol. II lo abbiamo registrato da soli, con una scheda audio a otto canali, è venuta fuori una cosa. Quella cosa ci è piaciuta, tanto che ci abbiamo fatto un ep e abbiamo cercato di farla quasi uguale anche dal vivo. Steffald lo abbiamo registrato e mixato in quattro giorni, in presa diretta analogica: il fatto che suoni diverso è merito dei nastri e di una strumentazione reale a livello di prese, c’erano più di otto canali.

Siete in tre. Vorrei che ognuno di voi mi desse una risposta. Quali sono i pezzi che non vedete l’ora di suonare dal vivo? Io personalmente non vedo l’ora di sentire Ciro Pasticche, ha cambi di tempo spettacolari.
Quando suoniamo la voglia è un po’ in tutti i pezzi, ci sono brividi un po’ diversi per noi quando suoniamo Lyndia o Usduk, che sono pezzi nuovi, non inseriti in quella che è la scaletta del disco. Cose verso Fampor insomma.

La scena musicale indipendente italiana è piuttosto viva, grazie a band e a etichette che fanno un lavoro che se nessuno lo facesse bisognerebbe farlo fare a qualcuno. La vostra etichetta è FromScratch, ed è una di queste. Per voi che ci siete dentro, qual è lo stato di salute della musica indipendente italiana?
Noi, se ci siamo dentro, speriamo che stia almeno bene; se invece proviamo a immaginarci di esserne fuori ti possiamo dire che la salute della musica indipendente italiana è un mistero. Un mistero vasto. Tralasciando il significato della parola indipendente, misterioso come la questione della salute, succede che in Italia, accanto alla virtù del semplice suonare ci sono un sacco di necessità manovrate da terzi. I gruppi e le etichette che vivono l’indipendenza italiana sono costretti a scontrarsi con tali necessità; di chi sia la colpa della creazione di questo sistema, non lo sappiamo. Per noi è importante capire, e riuscire a discernere, tra chi cerca di sollevarsi da questo disagio e chi invece lo cavalca abilmente.

Grazie ragazzi e… domanda classica di chiusura: dov’è che possiamo vedervi prossimamente dal vivo?
Dipende da quando questa intervista uscirà: a oggi, potreste vederci a Frosinone, alla Cantina Mediterraneo il 30/11; a Latina, al Sottoscala09 l’1/12; a Roma, al SinisterNoise il 2/12; a Macerata, all’OnlyfuckingLabels #2 Festival il 23/12; a Prato, al Cinema Terminale 28/12. Ne stiamo confermando altre su dicembre, se volete aggiornamenti contattateci pure. Grazie a te, a voi, a tutti per quest’intervista; ci siamo divertiti parecchio. Grazie per il sostegno che ci date, è stato un piacere incontrarvi (inconsapevolmente) a Santarcangelo. Grazie, a presto.
Abbracci,
Topsy the Great

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