Abbi dubbi su Montage of Heck

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Avevo 16 anni nel 1994, mi piacevano molto i Nirvana, come più o meno ad altri 6 milioni di persone. Oggi ne ho 37 e mi piacciono ancora. Non hanno avuto tempo di fare dischi brutti. Anche Montage of Heck mi è piaciuto e il motivo principale è che sono 20 anni che continua a piacermi Kurt Cobain, un piantino era scritto che glielo facessi. Di magagne ce ne sono però.

Cose belle. Prima di tutto, è bello vedere al cinema le cose che ho sempre visto in home video o comunque nella tele. Poi mi piace il fatto che il racconto vada avanti anche per interviste: la mamma, il babbo, la seconda mamma, la prima fidanzata, Kris Novoselich e l’ultima fidanzata – Courtney Love. No la figlia, no Dave Grohl. Mi piace che la prima canzone sia Territorial Pissings, una delle mie preferite, e su questo non ho dubbi. Mi piace anche la narrazione per animazione che, a parte ricordare Quando ero un alieno che non è un granché, evita totalmente l’effetto telenovela che probabilmente si sarebbe avuto se si fosse fatto un filmino fiction.

Uno a cui piacciono i Nirvana, e che ha 20 anni adesso, sicuramente sarà preso molto bene a vedere questo docu. I genitori saranno invece di sicuro presi malissimo, perchè Kurt Cobain è un esempio negativo. Il quanto è più negativo adesso rispetto ad allora è direttamente proporzionale a quanto si è parlato del suo essere tossico. Cioè molto mi pare. Il film mette in primo piano la sua personalità, le tendenze distruttive, ma anche il fatto che sia riuscito a fare qualcosa. Conquistato definitivamente dall’eroina dopo l’incontro con la moglie, prima aveva problemi fisici, era rimasto deluso dalla noncuranza famiglia nei suoi confronti e dal modo di vivere degli amici. Può succedere a tutti, e chi cerca di più ha ragione. Prima di diventare Kurt, non lavorava, stava in casa a incidere nastri, era un maledetto scansafatiche, ma alla fine c’ha visto giusto sul proprio talento. L’epilogo della sua vita è un disastro, il fatto che non si sapesse gestire è un altro disastro, ma non vediamo solo i lati negativi: Cobain dimostra che si può fare meglio di quello che la vita ci riserverebbe se la facessimo andare avanti per inerzia. Montage of Heck fa vedere quale direzione è riuscito a dare alla rabbia, una direzione che ha prodotto risultati esplosivi, facendo impazzire milioni di ragazzi di tutto il mondo per una cosa: la buona musica. Niente di nuovo, ma una cosa bella.

L’ultimo problema di Montage of Heck non è un problema di Montage of Heck ma è un problema mio. Molti dicono che vedendo il film si sono ricordati di quando andavano in giro con la camicia a scacchi e i calzoni rotti. Non è mai successo. Lo dicono come se la camicia e i calzoni rotti fossero la cosa più importante che hanno trattenuto da quello che sanno della vita di Kurt Cobain. E poi si fanno i selfie con la maglietta dei Nirvana, la camicia a scacchi e i calzoni rotti. Adesso vanno molto di moda, con Belen non c’è nessuna differenza. Non dicono neanche “quando andavo in giro con Nevermind nel lettore cd e i calzoni blah blah”. C’è gente che tre anni fa se parlavi di Nirvana ti mangiava la testa e diceva MA ANCORA I NIRVANA?!? Adesso quella gente è sempre stata una grande fan, e naturalmente nel 94 aveva la camicia a scacchi e i calzoni rotti. Che poi non è che la indossasse così spesso, Cobain. I calzoni rotti sempre, ma la camicia a scacchi non mi sembra. L’anno scorso era il 2014, ventesimo anniversario dell’uscita di In Utero, e c’era qualcuno che per festeggiarlo diceva che per tutto l’anno si sarebbe vestito grunge. Ha lasciato anche questa eredità, una moda, è limitativo della complessità del personaggio ma è così. In Last days di Gus Van Sant Kurt Cobain è coolissimo e i piani sequenza e la confusione temporale fanno diventare pomposi gli ultimi giorni di vita di uno che stava malissimo. Last days è il risultato di quella visione che ha portato a vedere il suicidio di Cobain come una cosa di cui parlare sentendosi sicuri nell’esprimere un’opinione carica di ammirazione che non considera le motivazioni che l’hanno generata. Montage of Heck non è così. Ma ci sono Courtney Love e la figlia Frances Been divise tra il dolore, il ricordo (loro e nostro) e il desiderio di sfruttarli per battere cassa. E questo è il problema alla base del film, che spalanca la finestra sulle altre cose brutte.

Cose brutte. Molti filmati di Montage of Heck sono già visti. I più introvabili erano già nell’edizione dei 20 anni di In Utero e nel cofanetto With the Lights Out. Le immagini in casa e in famiglia non le avevo mai viste. È difficile cogliere Kurt Cobain anche nelle immagini private: a volte è fatto, a volte fa lo scemo di fronte alla telecamera, a volte sembra di no. Quindi, ok, fa effetto vedere quelle riprese, ma non raccontano niente di lui che non sapessimo già. Mi aspettavo più immagini inedite, non è una questione di quantità, è la mancata occasione di farci arrivare in faccia la novità ancora dopo 20 anni. Pensavo che la famiglia avesse a disposizione più filmati inediti. Forse li ha, forse no, forse non li vuole mettere fuori, forse Morgen li ha scartati (ma sembra che abbia avuto accesso a tutto l’archivio), ma quello che vediamo è un ripassone.
Montage of Heck accumula minuti montando pagine dai diari di Kurt Cobain (parzialmente già pubblicati da Mondadori anni fa) come se piovessero, nella seconda parte ripetendo le stesse cose della prima. Se uniamo immagini già viste e parole e frasi monotematiche prese dai diari, l’impressione è che ci sia la volontà di rafforzare un’immagine che abbiamo già. Forse non ci sono altri aspetti interessanti e sappiamo già tutto su di lui, ma mi rimane il dubbio che possa non essere così e che dietro a queste scelte ci sia un motivo.

La produzione esecutiva è di Frances Bean Cobain. HBO produce. Courtney Love non compare nei credits ma proprio per questo credo che qualche ruolo l’abbia avuto, giudicando anche come si sviluppa il film. Tutta la costruzione porta alla sua intervista, una delle cose che aspettiamo e che sappiamo che ci sarà. E alla fine arriva, molto sopra le righe. E ci mostra la parte finale della vita di Kurt Cobain, dove lui è drogato e lei lo sgrida perché è fatto e ha la bambina in braccio. Lei in quel periodo era lucidissima. Il montaggio qui è beffardo. Prima si parla del “pacchetto” (parola di Novoselic) che Cobain si portò in casa quando andò a vivere con Courtney, pacchetto che comprendeva la droga, poi dell’intervista a Vanity Fair in cui si disse che lei si faceva quando era incinta, alla fine pare che solo lui sia pieno di eroina. Il film allontana dalla Love una parte (non tutte) delle responsabilità di quel momento, quelle immagini suonano come “io come madre mi stavo riprendendo, lui come padre no”, la discesa agli inferi di Kurt è iniziata definitivamente e finirà comunque come tutti già sappiamo. La realtà (il suicidio) viene usata per rafforzare il percorso fazioso del film. Lei dichiara che l’aspirazione di suo marito era diventare un tossico a tempo pieno, del resto oggi potrebbe dire qualsiasi cosa della loro vita in privato e nessuno potrebbe contraddirla con sicurezza – il grosso problema morale del film è che “la pulsione a rovi­stare nell’intimità di un uomo che non può più difen­dersi ci appare addirittura por­no­gra­fica” (Giona A. Nazzaro sul Manifesto). Non è da sottovalutare il fatto che sappiamo già come la storia andrà a finire, perché questo ha permesso di montare e realizzare il film costruendo un percorso di cui non si aspetta per niente la fine, ma solo lo svolgimento. La narrazione e le interviste seguono la successione cronologica degli eventi, apparentemente non c’è niente di più neutro. Ma la scelta di quello che si racconta fa la differenza: in sequenza, matrimonio+droga, Vanity Fair, lui in catalessi con la figlia in braccio. Cioè lei ce l’ha fatta, lui no. E anche su Courtney già sappiamo il finale: l’abbiamo vista nei giorni della promozione accanto alla figlia, è lei che adesso se ne prende cura. Poi magari girato l’angolo si scannano.

Non sono un complottista, non credo che Cobain sia stato ucciso su commissione dallaLove (come si dice in Kurt & Courtney di Nick Broomfield), ma ho qualche dubbio sulla neutralità della visione esposta in questo film nella sua parte finale. Un percorso facile, che non approfondisce le motivazioni del suicidio. Magari sappiamo già tutto, ma il documentario ci ha già ri-detto tante cose che sapevamo già, perché non ripetere anche queste cose? Montage of Heck da un lato e all’inizio va a fondo della personalità di Kurt Cobain, mostrando amore nei suoi confronti, condividendo coi fan la vita privata, magari neanche troppo a cuor leggero, dall’altro dà una riverniciata a Courtney Love (anche letteralmente, a giudicare dalle due dita di cerone), e scarica Cobain. L’opera di una mente instabile, o anche solo combattuta. La madre e/o la figlia. Del resto il film è stato “autorizzato” dalla famiglia. Cosa vuol dire “autorizzato”? Vuol dire “controllato” e il controllo sul docu di Frances Been e Courtney limita il ruolo della produzione sui contenuti, il che è molto possibile perché la disapprovazione finale della famiglia avrebbe fatto scomparire i filmini privati e buona parte del minutaggio. Quel controllo limita anche del tutto il ruolo del regista, visto che uno dei compiti del produttore esecutivo è quello di accertarsi che dal punto di vista creativo venga realizzato il progetto in modo coerente. Brett Morgen dal canto suo col sedere sporco fa sapere che Courtney non ha avuto voce in capitolo sul final cut, e anche che prima non era un fan, lo è diventando solo facendo il film. Quale mente è più influenzabile di quella che parte da zero? Nessuna. Ripassone fazioso.

Sono 20 anni che è morto Kurt Cobain

Kurt Cobain

C’è stato un periodo in cui ascoltavo i Nirvana e Kurt Cobain era ancora vivo. Sono passati 20 anni e questo pensiero non mi sembra così realistico e lui mi sembra morto da sempre. Ho ricordi personali, slegati da una storia condivisa, cioè non ho mai visto dal vivo i Nirvana per esempio, e forse il motivo della mia sensazione è proprio questo. Forse dipende anche dal fatto che nel ’94 avevo solo 16 anni. Ma credo ci sia anche dell’altro. Ricordo la sera in cui Planet Rock su Radio2 diede la notizia, ricordo come quando perché ho iniziato ad ascoltare i Nirvana ma la sensazione predominante rimane l’assenza, molto più ingombrante della presenza. Da vivo ha fatto dischi che non dimenticherò mai, ok, ma la sua morte è stata così importante che la sensazione della mancanza ha coperto tutto il resto; canzoni, foto, ricordi, rivedo tutto con questo filtro. E’ il morto maledetto per quelli circa della mia età vagamente interessati alla musica rock, è quello di cui tutti parlano con un velo di tristezza nella voce, è quello che ha legato la propria ascesa artistica e musicale al suicidio. Tutti, io compreso, aprono la scatola Kurt Cobain ed escono un po’ di cose, la prima è la morte.
Questo il brutto pensiero con cui volevo aprire il post sull’anniversario della morte di Kurt Cobain, e di fatto l’ho aperto con questo brutto pensiero. Poi mentre scrivevo mi veniva in mente che non è giusto o corretto identificare lui e i suoi pezzi con il suo suicidio; molte canzoni sono l’inquietudine (e immagino un’inquietudine di tanti tipi) e non indicano la soluzione nella morte, ma nella distorsione della chitarra e nei riff. I Hate My Self and I Want To Die doveva chiamarsi In Utero. L’eroina e l’ulcera scandivano gli umori di Kurt Cobain. Ma prima che accadesse nella musica dei Nirvana io non c’ho mai sentito la morte. Non si comanda a una sensazione, quella dell’assenza, ma ripercorrendo un po’ di ricordi scopro che più che altro quella sensazione è sbagliata perchè è il risultato dell’accumularsi negli anni di articoli letti e video visti in cui Kurt Cobain era solo un tossico disperato, che poi (a sentire molti era inevitabile) è morto. Ci sono le dichiarazioni di non mi ricordo chi che parla di Kurt nei suoi momenti di lucidità come di un musicista scrupoloso; ci sono i suoi diari a testimoniare la voglia di ricercare; ci sono un sacco di altre cose a dirci che quando non era fatto era vivissimo e ci sono anche le canzoni a ripetere i momenti altissimi in cui i Nirvana mi hanno regalato il suono delle mie giornate e la prima vaga consapevolezza del fatto che in qualche modo la musica avrebbe avuto un ruolo nella mia vita. Allora, e adesso mi è chiaro, Cobain non è solo morte e droga.

E’ morto il 5 aprile, il cadavere è stato trovato l’8, la notizia è arrivata forse il 9, il 10 sono andato a scuola e i miei compagni mi dicevano che l’avrei sostituito io nei Nirvana. Non so perché lo dicevano, non ho mai cantato in vita mia. Tornato a casa, mia mamma disse che aveva saputo del suicidio e che le dispiaceva molto. Fu strano trovarsi d’accordo con lei, che era mia mamma e aveva 50 anni, e non coi ragazzi della mia età. Di solito la morte avvicina ai personaggi famosi, e tutti diventano fan, da subito. In quel caso, con alcuni miei compagni questa regola non ebbe valore. Non perché avessero personalità particolarmente rocciose, ma perché per molti di loro era pur sempre un drogato, e c’erano pur sempre gli Ace of Base come alternativa. Dalla mia parte c’erano quelli con cui condividevo la musica. Ma il mondo non era diviso in due, anzi, il mondo era ancora più grande, perché mia mamma era molto toccata da quello che era successo. Kurt Cobain muore e mia mamma strippa: prima c’erano state tutte le volte in cui l’aveva sentito suonare dallo stereo e aveva chiesto “Con chi è arrabbiato quello?”, ma comunque mi era sembrato insolito e bellissimo che avesse espresso il suo dispiacere senza che nessuno gliel’avesse chiesto. Ricordo quel momento come il momento dell’adolescenza in cui io e mia mamma siamo stati più vicini, e abbiamo condiviso qualcosa che non riguardava la famiglia.

Sono passati vent’anni, qualcuno in America vorrebbe vederci chiaro e riaprire il caso partendo dall’ipotesi (non nuova) di suicidio. Pochi giorni fa la polizia di Seattle ha reso pubbliche alcune vecchie foto della scena del suicidio per fugare ogni dubbio e confermare il verdetto. Io naturalmente non lo so dove sta la verità. Altrettanto naturalmente ai tempi, da fan in fotta, ero interessato alle speculazioni sul possibile coinvolgimento di Courtney Love nella morte. Ascoltavo Into Yer Shtik dei Mudhoney e provavo piacere all’idea che anche la vedova si facesse saltare la testa. Insomma volevo trovare un responsabile della scomparsa del mio musicista preferito che non fosse lui stesso. Un po’ di tempo dopo ho visto le Hole dal vivo. Ricordo Courtney Love distrutta, non ricordo di aver pensato che lo facesse per fare scena. Ricordo che ho pogato molto, che mi sono divertito, e che in quel momento ho pensato che Courtney fosse una gran figa e che spaccasse il culo. In lei avevo visto disperazione, desolazione, solitudine e droga, e mi era piaciuto. Anche se forse mi sbagliavo a vedere tutto quello che avevo visto e avrei dovuto vedere solo una troia approfittatrice. Non lo so. Ricordo comunque che le Hole fecero una cover dei Nirvana, Penniroyal Tea mi sembra, ma potrei sbagliarmi anche su questo. Adesso non penso più troppo a Courtney Love ma solo che c’è stata una sera in cui ho cenato e Kurt Cobain era vivo e la volta dopo non lo era più, e c’era un giorno in cui il poster in camera mia raffigurava una band che esisteva ancora, era attiva e nel pieno della propria forza espressiva, e il giorno dopo rappresentava solo il passato. E adesso sono ancora dentro a quel passato. Noto anche che ho sempre pensato che fosse sbagliato dire Kurt è il mio idolo, ma a 20 anni di distanza sono ancora qui a scrivere le menate che state leggendo e la cosa mi pare almeno contraddittoria. Vorrei dire insomma che la cosa più rilevante è che a un certo punto, neanche troppo all’improvviso, Kurt Cobain è morto e solo con questo ho dovuto fare i conti e ce li faccio ancora adesso.

Non ho mai pensato che stesse ascendendo al paradiso delle rock star maledette. No. Si è ammazzato. Cazzo. Punto. Aveva 27 anni, come Jim Morrison, Jimi Hendrix eccetera ma non me n’è mai fregato di questo discorso. Quello che mi interessava era la musica: non farà più musica, non avrò più la possibilità di vederlo suonare dal vivo, non esisteranno mai più i Nirvana, dei Nirvana non usciranno più dischi nuovi. Le pubblicazioni postume le ho quasi tutte in casa, ma non è la stessa cosa andare a comprare quelle o un inedito fresco di stampa. Neanche i Foo Fighters e gli Sweet 75 erano lo stesso, anzi erano il contrario visto che Dave Grohl diceva che non gli piaceva vedere ai suoi concerti i ragazzini con la maglia dei Nirvana perché lui non era più il loro batterista. La confusione dei tempi tempi verbali è dovuta al fatto che non so bene se penso ancora quelle cose oppure se il tempo mi ha fatto rassegnare e quindi no, oppure in parte si e in parte no. Comunque, quando Kurt Cobain si è ammazzato è stato come rimanere senza musica, come se mi avessero rubato lo stereo. Sono lì che ascolto la musica in camera e a un certo punto salta tutto e rimane accesa solo la lampadina accanto al letto. Ero un fan a cui non bastavano quelle poche canzoni ma che doveva farsele bastare, un fan triste come tanti altri. E questa era la nostalgia reale. Adesso mi manca avere la certezza di quello che Kurt Cobain avrebbe fatto, una carriera solista, un altro gruppo, sempre i Nirvana, schifo come succede spesso, oppure proprio niente. Se me lo immagino ancora vivo, e magari anche guarito da tutto, mi chiedo quante cazzate avrebbe detto come veterano della musica anni ’90 e autore di alcuni album importanti. Per quanto sia irrilevante questo mio pensiero, penso sia ancora più irrilevante quello di chi lo vede come il morto figo della propria generazione. Non è quello il punto. Di morto mitico c’è già Jim Morrison, che non è della mia generazione ma ha fatto invaghire un sacco di gente della mia età. Ascoltati i Doors se vuoi avere un morto figo. Se Cobain non fosse morto e si fosse isolato dal mondo, non so, come Sid Barrett, molti si sarebbero dimenticati di quanto era bello ascoltare col walkman la sua musica, ma molti altri no. E magari alcuni di questi molti altri avrebbero avuto anche la voglia, con un po’ di tempo e denaro a disposizione visto che non è detto che sia dietro l’angolo, di andare a bussare alla sua porta, vedere se li avrebbe sbattuti fuori o, in caso avesse fatto la pace con l’ulcera e con l’idea di essere stato famoso e avesse aperto, di chiedergli di mettere un autografo sulla copertina di In Utero, il suo album preferito dei Nirvana. Sto immaginando una cosa che non esiste, e per questo è così povera, prosciugata e incredibile: perché gli anni di assenza la rendono molto irreale. Ancora con questa assenza. Ma dentro alla realtà falsa che ho immaginato c’è quella cosa che si chiama In Utero e che, ripubblicata dopo 20 anni in un’edizione stralusso, è riuscita a ipnotizzarmi del tutto per qualche giorno. E questo significa non solo che ho cambiato per la prima volta in vita mia idea sui cofanetti postumi, ma soprattutto che dentro quella cosa c’è ancora tutta la forza che c’era 20 anni fa.

Quando J Mascis stava per diventare un Nirvana e un Built to Spill

Questa mattina mi sono svegliato con un ronzio nelle orecchie. Doveva essere successo qualcosa di interessante. Accendo il Facebook, scorro le notizie e vedo l’articolo (del Guardian) condiviso dalla pagina Nirvana che dichiara una roba esplosiva: Kurt Cobain chiese due volte a J.Mascis di diventare un Nirvana. Il 1989 è l’anno, i Nirvana non erano quasi nessuno, avevano fatto uscire Bleach e Kurt Cobain si era già rotto le balle del chitarrista che aveva assunto, Jason Everman, accreditato nell’album ma che in realtà non suonò una nota. Lo voleva rimpiazzare. J.Mascis ha declinato l’offerta.
A questo punto della storia serve dire che J.Mascis suona anche la batteria.
La seconda richiesta di Cobain avvenne sotto il segno di Sliver.

Sliver è uscita nel ’90 come singolo, poi nel ’92 per promuovere Incesticide, raccolta di cover, singoli e bsides. Kurt Cobain nel ’90 aveva bisogno di un batterista per inciderla. In quella canzone la batteria la suona, alla fine, Dan Peters dei Mudhoney.
Nel 1989 J.Mascis aveva da poco fatto uscire Bug con i Dinosaur Jr, in effetti mi chiedo perchè avrebbe dovuto cercare un altro progetto. Il successo planetario i Nirvana non l’avevano ancora raggiunto nel ’90, ma a prescindere da questo, anche se la richiesta di Cobain fosse avvenuta dopo Nevermind, non vedo pechè J.Mascis avrebbe dovuto accettare: se uno ha un progetto ha un progetto.

Nel 1997 i Built to Spill dovevano registrare Perfect From Now On (Warner Bros.) e Doug Martsch voleva a tutti i costi che J.Mascis suonasse la batteria per lui. J.Mascis disse no. Nel ’97 i Dinosaur Jr, già da un pò in formazione non originale, anzi per l’ultima volta in formazione non originale, fanno uscire Hand it Over (Blanco Y Negro/Reprise/Warner). Magari Mascis c’ha pure pensato di diventare un Built To Spill, e a questo punto avrebbe anche potuto, visto dopo Hand it Over i Dino si sono sciolti. Ma già sapeva, che dopo 10 anni, avrebbe fatto uscire Beyond con Murph e Lou Barlow (leggi anche Dinosaur Jr, nuovo album a fine estate. Ricapitoliamo.).
Una cosa è certa: tra gli amici della cumpa, J.Mascis piace di più come batterista che non come chitarrista.
A questo punto però bisogna sottolineare che il Guardian in chiusura di articolo scrive almeno un paio di stronzate. Non si può affermare che “the high point” della carriera dei Dinosaur Jr sia Where You Been solo perchè ha scalato più di altri la classifica. Serve un giudizio critico serio. In Where You Been c’è Get Me che lo fece schizzare alle stelle, ma l’album non è nulla se paragonato a, che so, You’re Living Over Me. Non si può intendere “the high point” della carriera di una band come i Dinosaur Jr solo come “il momento in cui le vendite schizzarono”. Seconda panzana: I Bet On Sky è uscito a settembre 2012, non a giugno. Ma questa è meno grave.