Sono 20 anni che è morto Kurt Cobain

Kurt Cobain

C’è stato un periodo in cui ascoltavo i Nirvana e Kurt Cobain era ancora vivo. Sono passati 20 anni e questo pensiero non mi sembra così realistico e lui mi sembra morto da sempre. Ho ricordi personali, slegati da una storia condivisa, cioè non ho mai visto dal vivo i Nirvana per esempio, e forse il motivo della mia sensazione è proprio questo. Forse dipende anche dal fatto che nel ’94 avevo solo 16 anni. Ma credo ci sia anche dell’altro. Ricordo la sera in cui Planet Rock su Radio2 diede la notizia, ricordo come quando perché ho iniziato ad ascoltare i Nirvana ma la sensazione predominante rimane l’assenza, molto più ingombrante della presenza. Da vivo ha fatto dischi che non dimenticherò mai, ok, ma la sua morte è stata così importante che la sensazione della mancanza ha coperto tutto il resto; canzoni, foto, ricordi, rivedo tutto con questo filtro. E’ il morto maledetto per quelli circa della mia età vagamente interessati alla musica rock, è quello di cui tutti parlano con un velo di tristezza nella voce, è quello che ha legato la propria ascesa artistica e musicale al suicidio. Tutti, io compreso, aprono la scatola Kurt Cobain ed escono un po’ di cose, la prima è la morte.
Questo il brutto pensiero con cui volevo aprire il post sull’anniversario della morte di Kurt Cobain, e di fatto l’ho aperto con questo brutto pensiero. Poi mentre scrivevo mi veniva in mente che non è giusto o corretto identificare lui e i suoi pezzi con il suo suicidio; molte canzoni sono l’inquietudine (e immagino un’inquietudine di tanti tipi) e non indicano la soluzione nella morte, ma nella distorsione della chitarra e nei riff. I Hate My Self and I Want To Die doveva chiamarsi In Utero. L’eroina e l’ulcera scandivano gli umori di Kurt Cobain. Ma prima che accadesse nella musica dei Nirvana io non c’ho mai sentito la morte. Non si comanda a una sensazione, quella dell’assenza, ma ripercorrendo un po’ di ricordi scopro che più che altro quella sensazione è sbagliata perchè è il risultato dell’accumularsi negli anni di articoli letti e video visti in cui Kurt Cobain era solo un tossico disperato, che poi (a sentire molti era inevitabile) è morto. Ci sono le dichiarazioni di non mi ricordo chi che parla di Kurt nei suoi momenti di lucidità come di un musicista scrupoloso; ci sono i suoi diari a testimoniare la voglia di ricercare; ci sono un sacco di altre cose a dirci che quando non era fatto era vivissimo e ci sono anche le canzoni a ripetere i momenti altissimi in cui i Nirvana mi hanno regalato il suono delle mie giornate e la prima vaga consapevolezza del fatto che in qualche modo la musica avrebbe avuto un ruolo nella mia vita. Allora, e adesso mi è chiaro, Cobain non è solo morte e droga.

E’ morto il 5 aprile, il cadavere è stato trovato l’8, la notizia è arrivata forse il 9, il 10 sono andato a scuola e i miei compagni mi dicevano che l’avrei sostituito io nei Nirvana. Non so perché lo dicevano, non ho mai cantato in vita mia. Tornato a casa, mia mamma disse che aveva saputo del suicidio e che le dispiaceva molto. Fu strano trovarsi d’accordo con lei, che era mia mamma e aveva 50 anni, e non coi ragazzi della mia età. Di solito la morte avvicina ai personaggi famosi, e tutti diventano fan, da subito. In quel caso, con alcuni miei compagni questa regola non ebbe valore. Non perché avessero personalità particolarmente rocciose, ma perché per molti di loro era pur sempre un drogato, e c’erano pur sempre gli Ace of Base come alternativa. Dalla mia parte c’erano quelli con cui condividevo la musica. Ma il mondo non era diviso in due, anzi, il mondo era ancora più grande, perché mia mamma era molto toccata da quello che era successo. Kurt Cobain muore e mia mamma strippa: prima c’erano state tutte le volte in cui l’aveva sentito suonare dallo stereo e aveva chiesto “Con chi è arrabbiato quello?”, ma comunque mi era sembrato insolito e bellissimo che avesse espresso il suo dispiacere senza che nessuno gliel’avesse chiesto. Ricordo quel momento come il momento dell’adolescenza in cui io e mia mamma siamo stati più vicini, e abbiamo condiviso qualcosa che non riguardava la famiglia.

Sono passati vent’anni, qualcuno in America vorrebbe vederci chiaro e riaprire il caso partendo dall’ipotesi (non nuova) di suicidio. Pochi giorni fa la polizia di Seattle ha reso pubbliche alcune vecchie foto della scena del suicidio per fugare ogni dubbio e confermare il verdetto. Io naturalmente non lo so dove sta la verità. Altrettanto naturalmente ai tempi, da fan in fotta, ero interessato alle speculazioni sul possibile coinvolgimento di Courtney Love nella morte. Ascoltavo Into Yer Shtik dei Mudhoney e provavo piacere all’idea che anche la vedova si facesse saltare la testa. Insomma volevo trovare un responsabile della scomparsa del mio musicista preferito che non fosse lui stesso. Un po’ di tempo dopo ho visto le Hole dal vivo. Ricordo Courtney Love distrutta, non ricordo di aver pensato che lo facesse per fare scena. Ricordo che ho pogato molto, che mi sono divertito, e che in quel momento ho pensato che Courtney fosse una gran figa e che spaccasse il culo. In lei avevo visto disperazione, desolazione, solitudine e droga, e mi era piaciuto. Anche se forse mi sbagliavo a vedere tutto quello che avevo visto e avrei dovuto vedere solo una troia approfittatrice. Non lo so. Ricordo comunque che le Hole fecero una cover dei Nirvana, Penniroyal Tea mi sembra, ma potrei sbagliarmi anche su questo. Adesso non penso più troppo a Courtney Love ma solo che c’è stata una sera in cui ho cenato e Kurt Cobain era vivo e la volta dopo non lo era più, e c’era un giorno in cui il poster in camera mia raffigurava una band che esisteva ancora, era attiva e nel pieno della propria forza espressiva, e il giorno dopo rappresentava solo il passato. E adesso sono ancora dentro a quel passato. Noto anche che ho sempre pensato che fosse sbagliato dire Kurt è il mio idolo, ma a 20 anni di distanza sono ancora qui a scrivere le menate che state leggendo e la cosa mi pare almeno contraddittoria. Vorrei dire insomma che la cosa più rilevante è che a un certo punto, neanche troppo all’improvviso, Kurt Cobain è morto e solo con questo ho dovuto fare i conti e ce li faccio ancora adesso.

Non ho mai pensato che stesse ascendendo al paradiso delle rock star maledette. No. Si è ammazzato. Cazzo. Punto. Aveva 27 anni, come Jim Morrison, Jimi Hendrix eccetera ma non me n’è mai fregato di questo discorso. Quello che mi interessava era la musica: non farà più musica, non avrò più la possibilità di vederlo suonare dal vivo, non esisteranno mai più i Nirvana, dei Nirvana non usciranno più dischi nuovi. Le pubblicazioni postume le ho quasi tutte in casa, ma non è la stessa cosa andare a comprare quelle o un inedito fresco di stampa. Neanche i Foo Fighters e gli Sweet 75 erano lo stesso, anzi erano il contrario visto che Dave Grohl diceva che non gli piaceva vedere ai suoi concerti i ragazzini con la maglia dei Nirvana perché lui non era più il loro batterista. La confusione dei tempi tempi verbali è dovuta al fatto che non so bene se penso ancora quelle cose oppure se il tempo mi ha fatto rassegnare e quindi no, oppure in parte si e in parte no. Comunque, quando Kurt Cobain si è ammazzato è stato come rimanere senza musica, come se mi avessero rubato lo stereo. Sono lì che ascolto la musica in camera e a un certo punto salta tutto e rimane accesa solo la lampadina accanto al letto. Ero un fan a cui non bastavano quelle poche canzoni ma che doveva farsele bastare, un fan triste come tanti altri. E questa era la nostalgia reale. Adesso mi manca avere la certezza di quello che Kurt Cobain avrebbe fatto, una carriera solista, un altro gruppo, sempre i Nirvana, schifo come succede spesso, oppure proprio niente. Se me lo immagino ancora vivo, e magari anche guarito da tutto, mi chiedo quante cazzate avrebbe detto come veterano della musica anni ’90 e autore di alcuni album importanti. Per quanto sia irrilevante questo mio pensiero, penso sia ancora più irrilevante quello di chi lo vede come il morto figo della propria generazione. Non è quello il punto. Di morto mitico c’è già Jim Morrison, che non è della mia generazione ma ha fatto invaghire un sacco di gente della mia età. Ascoltati i Doors se vuoi avere un morto figo. Se Cobain non fosse morto e si fosse isolato dal mondo, non so, come Sid Barrett, molti si sarebbero dimenticati di quanto era bello ascoltare col walkman la sua musica, ma molti altri no. E magari alcuni di questi molti altri avrebbero avuto anche la voglia, con un po’ di tempo e denaro a disposizione visto che non è detto che sia dietro l’angolo, di andare a bussare alla sua porta, vedere se li avrebbe sbattuti fuori o, in caso avesse fatto la pace con l’ulcera e con l’idea di essere stato famoso e avesse aperto, di chiedergli di mettere un autografo sulla copertina di In Utero, il suo album preferito dei Nirvana. Sto immaginando una cosa che non esiste, e per questo è così povera, prosciugata e incredibile: perché gli anni di assenza la rendono molto irreale. Ancora con questa assenza. Ma dentro alla realtà falsa che ho immaginato c’è quella cosa che si chiama In Utero e che, ripubblicata dopo 20 anni in un’edizione stralusso, è riuscita a ipnotizzarmi del tutto per qualche giorno. E questo significa non solo che ho cambiato per la prima volta in vita mia idea sui cofanetti postumi, ma soprattutto che dentro quella cosa c’è ancora tutta la forza che c’era 20 anni fa.

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