Arriva Jason Lytle (Grandaddy) con un nuovo album da solo

E quando l’evento arriva, arriva, e bisogna riconoscerlo. Jason Lytle (voce dei Grandaddy) è tornato con un nuovo album solista, Dept. Of Disappearance (Anti), uscito proprio proprio da poco, il 16 ottobre. Tornato lui, tornano anche i Grandaddy, visto che si sono riuniti, per fare alcuni concerti, l’estate scorsa. E allora chi era rimasto a bocca asciutta dal 2009, anno del debutto solista Yours Truly, The Commuter e di altre robe, ora ha di che cibarsi.
Dept. Of Disappearance potrebbe quasi a tutti gli effetti essere un nuovo album dei Grandaddy, perchè Jason Lytle gli ha dato quello stesso spessore e quella stessa tipologia di suoni. Quasi, perchè intervengono inevitabili cambiamenti e maturazioni.
L’uscita del primo dei Grandaddy Under the Western Freeway nel 1997 per V2 fu una piccola rivoluzione perchè non c’erano tanti gruppi che riuscivano a unire la forza di una chitarra distorta a quei suoni da bambino, poi tanto osannati con il lo-fi. C’erano anche gli Sparklehorse (un saluto e un omaggio a Mark Linkous da Neuroni..) che lo facevano, ma combinando soluzioni diverse rispetto ai Grandaddy. E poi c’era Smog, attivo già da qualche annetto.
Dicevo Under the Western Freeway fu una piccola rivoluzione per quegli anni. Il grunge si era già (un poco, per certi versi) ingentilito (nel ’94 era uscito Vitalogy e nel ’96 uscì No Code dei Pearl Jam) ma non si era per niente ingentilito il post-hard core-punk-screamo chiamatelo come vi pare: nel ’95 uscì Red Medicine dei Fugazi e il ’96 fu l’anno di Songs to Fan the Flames of Discontent dei Refused. In mezzo a tutta questa fottuta grande musica arrivò, mano nella mano con Vivadixiesubmarinetransmissionplot, primo degli Sparklehorse (1996), Under the Western Freeway. Il seguito fu The Sophtware Slump, poi SumdayJust Like The Fambly Cat. Dept. Of Disappearance riprende tutto quello che i Grandaddy ci hanno lasciato, dalle canzoni più ballabili (Your Final Setting Sun ha la stessa forza di quel pezzo della madonna che era Summer Here Kids in Under the Western Freeway) alle ballate stranianti (Laughing stock VS Hangtown). Non so se è perchè Lytle è invecchiato ma, in generale, ha guadagnato in gentilezza e delicatezza, se mai poteva guadagnare qualcosa da questo punto di vista. Certo acido che usciva dai suoi strumenti non esce più, certa rabbia soffocata non la sento più. Dall’altro lato, rimangono quelle aperture che ti catapultano da un’altra parte, altrove.
L’incipit del nuovo album è quasi horror, riequilibrato grazie alle chitarre, alla batteria e a un tappeto di cori (che tornerà in conclusione di disco) che ci fanno capire subito una cosa: l’album sarà una cosa seria, non un contentito per fan sbavanti.
Qualche riga, a parte, và spesa per Get Up And Go, che pare veramente un omaggio breve e meraviglioso a Mark Linkous, aka Sparklehorse, con il quale Lytle ha anche collaborato.
La seguente Last Problem Of The Alps arriva sulle vette di Deserter’s Song dei Mercury Rev e ha la forza di riconciliarmi definitivamente con tutta quella musica di qualche anno fa dalla quale mi ero un pò distaccato, solo per questioni personali, solo perchè non era nelle mie corde. Forse continuerà a non essere nelle mie corde (forse) ma il suo valore (grande) è tornato alla ribalta con prepotenza in Last Problem Of The Alps.
Ogni canzone di questo Dept. Of Disappearance (streaming sul You Tube di Anti Records) è una sorpresa perchè pare cristallizzata nel tempo, pare che non sia successo niente fuori da Lytle, ma solo dentro: la voce è sempre quella, sottile, al limite del possibile, la forza che esprime è diversa, accompagnata dalle batterie che non sono più “indietro” come una volta ma che ancora fanno il minimo, meraviglioso, indispensabile, e dalle chitarre che fanno capolino con aggressività a volte, ma più volentieri con classicità e consapevole riserbo. Aggiungo il pianoforte di Somewhere There’s A Someone: semplice e ben strutturato sin dall’incipit, si apre in seguito con gli archi, la batteria e la voce, nella canzone delle canzoni, talmente classica da ricordare i Beatles e il Neil Young più pacato e rilassato.
Sentirete, a un certo punto, anche Chopin.
Sumday si presentò come l’album più atarizzato, o meglio commodorizzato. Oggi è la drum machine che arriva a fare il solletico a Jason Lytle in Gimme Click Gimme Grid: lui le dà sfogo, ma poi la domina, e la riporta all’ordine trasformandola in una ballata elettrica. Le due anime si alternano in questo episodio conclusivo dell’album. Sentite come riparte il piano, seguito da un tappeto onirico di cori, dalla chitarra e da un arpicordo (forse) in coda alla canzone. E ditemi se c’era modo più esaltante di chiudere un fantastico ritorno.