La mia vita disegnata male e Addio Chunky Rice, perchè i disegnini ci possono insegnare tutto nonostante gli intellettuali pensino che non è così

E visto che lo scetticismo è già il nostro pane quotidiano come dicono gli Uochi Toki, oggi faccio un post dove scrivo che mi piace tutto quello di cui parlo. Sono come Mollica, che gli piace tutto. Oggi si parla di fumetti, per quanto possa capire di fumetti uno come me che è cresciuto a Bonelli e Americani. Con Americani s’intendono i Supereroi. Oggi, già da un pò, esiste anche per me tutto un mondo nuovo che ho scoperto un pò tardi. Quello delle Graphic Novel. Prima Graphic Novel mai stampata? Una ballata del mare salato (1967) di Hugo Pratt, serie Corto Maltese. Lo dice Ferruccio Gianola ma anche Wikipedia. 1967. Ce n’è di strada da fare.
Ultimamente sono state pubblicate robe interessanti. Di alcune, poche, ho già parlato, di tantissime, no. Arricchisco in questa sede l’elenco dei sì e accorcio quello della mia ignoranza. Che senso ha di questi tempi in cui tutti siamo blogger avere un blog se non quello di averlo per conoscere anche in ritardo e di averlo per scrivere come si vuole su cosa si vuole tentando di dare un senso superlativo a quello che si scrive, cercando una direzione e uno scopo precisi? La direzione e lo scopo devono essere stampati nel cervello. Altrimenti è tutto inutile.
Ma oggi sono come Mollica, mi piace tutto.
Le cose che mi piacciono oggi sono due, e le ho lette ultimamente, una vecchia (2008) e una nuova (nuova per noi poveri bastardi che viviamo in Italia, negli USA esiste dal 1999). LMVDM, La mia vita disegnata male, di Gipi è la cosa vecchia. Ecco vedete, questo è uno di quei fumetti che ci insegnano a ripercorrere le cose che ci sono successe anni fa e che ci insegnano ad accettarle di buon grado. Gipi fa il miracolo in modo sgraziato, perchè il suo tratto è sgraziato – del resto lo sappiamo subito, sin dal titolo, che la dice lunga sul contenuto e sul contenitore – ma con una profondità e una tenerezza che risultano totalmente scollegate dal modo di disegnare. Sollegate, come scollegati sono i protagonisti di questa storia, non solo i ragazzetti, ma anche figure eminentissime, come il dottore. Non manca il cinismo. Ma il cinismo è nell’atto di raccontare senza peli sulla lingua certe situazioni, non nel come vengono raccontate. Gipi non si preoccupa di mettere nero su bianco situazioni imbarazzanti, si preccupa di come le mette giù. Ci sono racconti sulla malattia, sul proprio pisello, sugli amici, sulle fighe, sulle fobie. “La vita, l’amore, il sesso, cazzo”. C’è tutto. In effetti c’è di che vergognarsi. Ma tutto il racconto risulta fluido, in un’unione originale di poesia e punk. Lo spaesamento spaziale, la perdita di riferimenti a uno spazio cui aggrapparsi, sarà forse colpa della pagina quasi sempre bianca, e sarà perchè quando c’è il colore la storia fa paura, è spaventoso, ma alla fine quasi ci si concilia anche con l’amico peggiore. Quindi, tutto ok, o quasi. Se volete provare uno spaesamento simile leggete anche Diario di fiume.
LMVDM (Coconino Press Fusi orari) è in bianco e nero e a colori. Anche un bambino potrebbe disegnarlo così un fumetto? No.
La seconda cosa, che negli USA esiste già dal 1999 e che da noi in italia c’è solo da quest anno, è Addio, Chunky Rice di Craig Thompson (Rizzoli Lizard). La postfazione contiene informazioni ganzissime, disegni, spiegazioni, appunti. La storia è quella di un cuore spezzato: un topo e una tartaruga si amano, ma la tartaruga se ne deve andare perchè la città in cui abita le sta stretta. Del resto… la sua casa è il suo guscio. Osservazione che fissa in modo glaciale la natura delle cose che non si possono cambiare. Il punto è tutto qui: certe cose non si possono cambiare, o ce ne facciamo una ragione o ce ne facciamo una ragione.
La bellezza del tratto di Thompson si definirà e diventerà perfezione in Habibi passando per Blankets, ma in Addio, Chunky Rice è già evidente. Addio, Chunky Rice è come quando da ragazzino scrivi le poesie ma non vuoi dire esplicitamente quello che provi e allora ci trovi delle gran metafore, dei gran giri di parole. Dandel e Chunky sono due piccoli animali, ma sono anche Craig Thompson e una sua amica che gli spezzò il cuore. L’effetto che questo filtro imposto alla storia sortisce è che ti fa stringere il cuore e te lo strizza per bene perchè la forza e la debolezza del topino e della tartaruga rendono tutto più delicato. Le riflessioni e i pensieri umanizzati di quei due esseri fanno il resto. Addio, Chunky Rice è come Fantazoo: ti affezioni agli animali ed è la fine. Alvaro e Pupa forse non si amavano, ma sono come Dandel e Chunky.

Che Fantazoo avesse per me, allora, lo stesso significato che ha avuto oggi Addio, Chunky Rice è evidente. In fondo non c’è nessuna differenza e tutto ritorna, sempre. Lo splendore del cartone animato è ricomparso nelle pagine di Craig Thompson. La furia televisiva ipnotizzante degli animali si ripresenta in un fumetto. Ammetto che sono ancora più sensibile oggi, che non una volta, agli animali parlanti.
L’isola e Ferro 3 di Kim Ki Duk mi hanno insegnato a rodermi le balls, LMVDM e Addio, Chunky Rice mi hanno fatto riflettere su certe cose importanti della vita. Wow.

Si, la neve si è sciolta anche qui: Blankets di Craig Thompson

Scoprire le cose in ritardo non è mai bello per sto cazzo di internet che impone di essere sempre sul pezzo per qualsiasi cosa. Se, per caso, per una semplice fatalità, internet a casa non funziona, sei fottuto – scusate la volgarità, ma sono sprovvisto di smartphone. Se funziona, possono accadere cose grandiose, o grandiosamente tristi. Per esempio tra il 4 e il 5 agosto si è diffusa molto rapidamente la notizia della morte di Jason Noble, uno dei musicisti rock più estrosi degli ultimi 20 anni (ha messo lo zampino in gruppi come Rodan, Shipping News e Rachel’s). La notizia è stata diffusa dalla moglie, attraverso una pagina web che gestiva con il marito, e milioni di persone hanno condiviso il lutto. Era successo con MCA, e con tanti altri.

Ne approfitto per salutare Jason Noble: dopo anni di lotta contro il cancro, ci lascia un’eredità fantastica.
Guardando alcune foto di Jason Noble ho notato una somiglianza chiara e lampante con Craig Thompson (www.dootdootgarden.com) giovane. Lo scorso anno, per Natale, ho letto il suo Habibi (2011), una storia grandiosa. Così mi sono informato. Sul web ovviamente c’è un patrimonio d’informazioni più prezioso del primo soldo di Paperon de’ Paperoni e, dopo troppo attendere, ho deciso di portarmi a casa dalla mia libreria preferita un altro suo graphic novel, precedente: Blankets (2003). Dopo Habibi, bisognava completare il percorso, anche se in ritardo e all’indietro. I ritratti del Thompson adolescente contenuti in Blankets lo rappresentano incredibilmente somigliante a Jason Noble. Ma cosa dici! diranno molti di voi. Non rompete i coglioni, le somiglianze sono soggettive. Vi dirò di più, Craig Thompson assomiglia anche a un mio amico. Vale la proprietà transitiva.
Se non che, pochi giorni fa ho iniziato a leggere Blankets. È un romanzo autobiografico che racconta il rapporto dell’autore con la famiglia, la scuola, la religione, l’amore e se stesso. È tutto un casino, perché Craig è un ragazzo sensibile e acuto che si fa un sacco di domande ed è diverso dai bulli che frequentano la sua scuola e i campi scolastici. È tutto un casino perché Craig vede le cose da un altro punto di vista e non le accetta così come gli vengono imposte, è solo apparentemente remissivo. È tutto un casino perché a Craig la religione, così come gli viene insegnata, gli sembra strana e il suo rapporto con Dio non è facile: ne riconoscerà sempre l’esistenza ma (gradualmente) non riconoscerà la validità di tutto ciò che l’uomo ha costruito attorno a Dio. È tutto un casino perché Craig capisce che la sua famiglia ha difficoltà economiche, ma non comprende alcuni atteggiamenti aggressivi del padre, di cui ha paura. È tutto un casino perché Craig ha trovato l’amore in Raina, una ragazza diversa, simile a lui, che abita a 600 km di distanza, con una vita complicata e dura. È un casino, insomma. È un’altra storia difficile (anche Habibi lo è) che racconta di personaggi forti ma isolati, che per un motivo o per un altro devono lottare per campare.

L’insegnamento della religione è il mezzo attraverso il quale si corre il rischio di rovinare le infanzie, in America come in Italia. La religione, non l’indottrinamento, ne paga le conseguenze, appare in una luce negativa, ma potrebbe anche essere interessante e nascondere aspetti positivi. E questo Craig lo capisce. Craig accetta e vuole Dio, ma s’interroga su tutto il resto. E a un certo punto arriva a darsi risposte precise, e decise. Il percorso religioso che Craig Thompson reale farà sarà lungo perché, dopo Blankets, studierà per anni per scrivere Habibi, un libro sul Corano. Un denominatore comune delle due opere è l’interesse per il linguaggio, la parola, la traduzione da una lingua all’altra e la traduzione dal punto di vista filologico: Thompson è attento a questi elementi quando legge i testi religiosi; per questo è per noi interessante vedere quanto di, e come, questo interesse si riversa sulla pagina del fumetto. Rispetto ad Habibi il linguaggio tradisce una maggiore semplicità, la quale, per assurdo, fa trasparire una sorta di distacco dai fatti (personali) raccontati, segno (FORSE) di un’elaborazione in atto. Il tratto di Thompson in Habibi raggiunge la perfezione, lo studio dei caratteri arabi eleva non direi il livello del disegno, ma la sua precisione. Blankets è decisamente più impreciso, è più inquieto, forse più immaturo, si, ma è un’immaturità del tratto che restituisce tantissime sfumature della personalità dello scrittore e di ciò che accade intorno a lui. Ci sono quelle macchie nere, quelle code d’inchiostro che invadono la pagina sfilacciandosi, che sembrano i capelli di Craig da giovane e sottolineano il contrasto tra lui e tutto il mondo, tranne Raina. Quando Craig cresce (sulla pagina lo fa – per forza, per natura e per assunzione di nuove consapevolezze – attraverso una metafora splendida sulla neve e il Mito della caverna) le macchie nere scompaiono e si ragiona di più per contrasto, sia dal punto di vista del disegno, che da quello del rapporto Craig/Mondo. In questo cambiamento, l’amore, il suo sviluppo e la sua fine giocano un ruolo fondamentale.

Il respiro dei due graphic novel è differente. Il passo compiuto con Habibi è enorme: Habibi è l’affacciarsi a un mondo per lo meno diverso da quello in cui l’autore è nato e di cui ha subito l’educazione, è allargare gli orizzonti, è capire chi è lontano da noi. Craig adolescente faceva fatica a sopportare una serata a una festa perché non corrispondeva alle sue aspettative. Craig universitario comprende qual è il male principale della religione, per la quale l’uomo s’impone di non vedere ciò che c’è intorno.
Forse, proprio in questa riflessione di Blankets stanno il seme e il perchè di Habibi.
Opere universali che diventano da subito grandi eredità.

Habibi di Craig Thompson

Un tomo di 665 pagine. Una storia semplice: un bambino, una ragazza, prima insieme, poi separati e lontani per molto tempo, per un tempo di violenza sul corpo, femminile e maschile, e sull’anima. Un graphic novel su due esseri sfortunati che si rincorrono, o per lo meno tentano di farlo e non smettono mai di pensarsi.
Ma… fermi un attimo! Non so se vi è mai capitato di essere colpiti da un incantesimo che tutt’ora vi possiede o che vi ha posseduto per un pò. Esistono incantesimi brevi e incantesimi vitalizi, per una donna, un libro, un disco, la cioccolata, un certo tipo di prosciutto o salame, un film, uno sport, una merendina, un fotografo, una passione, un programma alla TV e mille altre possibili cose. L’autore di Habibi parla di un incantesimo con gli occhi languidi, e questo ci piace. Here’s… Craig Thompson.

Chiusa parentesi, basta divagare. Habibi. Cè Dodola, che passa dall’essere bambina all’essere ragazza e poi madre in un lampo veloce, veloce come il sesso che è costretta a fare con tutti gli uomini che le fanno pagare cibo e bellezza. E c’è Zam, bambino e poi uomo in un tempo altrettanto rapido, Zam che trova nella ragazza una madre e un amore puro che finirà per essere fatto anche di attrazione sessuale, di impossibile sfogo.
Per Dodola, il soprannome di Zam è Habibi (“mio amato”).
Dodola è la rabbia repressa dagli uomini cui deve sottomettersi o ai quali decide di sottomettersi per necessità, per dare da mangiare a Zam. Ma la rabbia e la disperazione talvolta esplodono e creano casini tanto grandi quanto piacevoli, per chi legge. Zam è l’acqua: la cerca e la trova per Dodola. E’ il bambino-uomo che trasforma in dolci e comprensivi gli occhi di Dodola, li porta lontano dalla rabbia: Zam è l’acqua che spegne il fuoco. Non c’è nessun tipo di rapporto sessuale tra Zam e Dodola: è realmente impossibile. Eppure, leggendo, non speri che scopino, speri che si incontrino di nuovo e che stiano insieme per sempre.
Habibi è la fame, la fame di cibo e la fame di amore. Ma è anche tensione, di fronte al cercarsi e pensarsi dei due protagonisti, e divertimento amaro, di fronte ai miserabili o ricchissimi (non fa differenza) uomini che abusano di Dodola. Habibi è anche, mi pare, Noè, folle purificatore dell’acqua marcia nel povero villaggio a sud della ricca terra di Wanatolia, ingenuo pescatore di lische e detriti da collezione, salvatore delle due anime vaganti Zam e Dodola, generoso traghettatore.
C’è anche il Palazzo del Sultano, viscido e molle poligamo che sceglie le proprie compagne per la notte con un metodo che ricorda quello del padrone di casa di Lanterne rosse. Habibi è anche questo, il Palazzo del Sultano, pieno di servi, di lacchè scoreggioni, dominato da una bizzarra classifica di bellezza e bruttezza in base alla quale si stabilisce il livello di sottomissione al Re. Naturalmente, tutte le donne più belle sono vicinissime al Sultanone, e Dodola è costretta tra queste.
Habibi è la definizione del bianco e del nero che lo dominano e lo invadono, ed è la calligrafia, la precisione dell’alfabeto arabo, le pagine piene di citazioni e segni calcolati, motivati, significativi (grande scoperta le note a fine tomo).

Poi, oltre e attraverso tutto questo, Habibi è il racconto delle differenze tra mondi poveri e mondi ricchi e delle somiglianze soprendenti tra Cristianesimo e Islam. Habibi è a tutti gli effetti un romanzo di formazione, dentro il mondo islamico.

Craig Thompson, prima di tutto ciò, ha scrittto il graphic novel Addio Chunky Rice (199), i mini comics Bible Doodles (2000) e Doot Doot Garden (2001), Blankets (2003) e Carnet de Voyage (2004), i due graphic novel che precedono Habibi. Mentre stava scrivendo Habibi, Thompson ha dichiarato: “Sto facendo con l’Islam quel che ho fatto con il Cristianesimo in Blankets“. Ed è per questo che, avendo letto Habibi e non avendo letto Blankets, essendo io sempre avanti, ben presto me lo sparerò.

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