Calcio, musica e biscotti

biscotto 2004

Se prendiamo una settimana e la consideriamo un arco di tempo a cui dobbiamo dare per forza un significato, notiamo un sacco di cose in più che altrimenti non noteremmo. A volte succede che c’è una roba che ritorna e che, quando arrivi alla fine della settimana, ti fa dire questa è proprio stata la settimana del, non so, temperino. Direttamente o indirettamente, ce l’hai sempre tra i piedi. Questa settimana, per esempio, ho fatto colazione con i biscotti alla farina di riso che ha preparato la mia morosa. Alcuni erano lisci, altri per metà bagnati nel cioccolato fondente. Lunedì 13 l’Italia ha pareggiato con la Svezia e ha mancato la qualificazione ai mondiali. L’unica considerazione sensata che posso fare a proposito, oltre al fatto che quest’estate mi mancherà vedere le partite sotto al portico di Diego, è che alla Svezia la nazionale italiana è legata per alcune delle più clamorose cose brutte degli ultimi tempi. Anche se Ibrahimovic l’altro ieri ha detto che non è mai successo, agli europei del 2004 Svezia e Danimarca ci fecero il biscotto. Nelle prime due giornate del girone C, l’Italia aveva pareggiato con entrambe. Prima di Danimarca-Svezia e della nostra partita con la Bulgaria, svedesi e danesi erano primi con 4, noi terzi con 2 e i bulgari avevano 0 punti. Danimarca-Svezia finì 2-2, l’Italia vinse 2-1 con la Bulgaria ma fu eliminata lo stesso. La cosa è piaciuta in particolare modo ai tifosi svedesi, tanto che decisero di fare quello striscione famoso e che, lunedì scorso, hanno cantato biscotto-biscotto ai giocatori italiani all’uscita dello stadio. Erano 13 anni che aspettavano il momento giusto. Questa, a casa mia, è stata decisamente la settimana del biscotto, in Italia per tutti è stata la settimana del remember-biscotto. A volte siamo tutti sulla stessa barca.

Su Google ci sono un sacco di biscotti. Ci sono anche abbastanza, non troppi, nomi di gruppi con biscotti. Basta cercare “nomi band biscotti” e/o “band names biscuits” e vengono fuori Gorilla Biscuits, Limp Bizkit, The Lonely Biscuits, The Disco Biscuits, Maryland Cookies, Half man half biscuit, Petit Biscuit, Oreo Speedwagon. A proposito, fino alla settimana scorsa c’era un tubo nuovo di Oreo in cucina. Questa settimana, martedì mattina, era a metà. Io non sono stato, non so come si facciano a mangiare gli Oreo se ci sono i biscotti fatti in casa sul tavolo.

Uno dei gruppi italiani che mi ha più gasato negli ultimi tre anni, e che non ha biscotti nel nome, è Cayman the Animal, animali romani che fanno l’hard core punk con un’inventiva che averne la metà per fare un disco basta. Il loro ultimo è Apple Linder. All’inizio di quest’anno è uscito Rabid Dogs, il terzo album di Monsieur Gustavo Biscotti (e qui torniamo al punto), che assomiglia a Apple Linder, oppure no. Nel senso che Rabid Dogs è più lineare e Apple Linder invece ogni tanto spezza le strofe con schegge in nuove direzioni, tanto improvvise quanto brevi. Apple Linder ha più trovate. Quello che Rabid Dogs ha in comune con lui sono due parole: Hot Snakes. Quindi, se hai voglia di ascoltare un disco tipo Swami Records, questo è il bandcamp, altrimenti gira al largo.
Tra le etichette che hanno fatto Rabid Dogs c’è anche Antena Krzyku, polacca di fama mondiale che sul sito vende Bulldozer 12″ dei Big Black. Bulldozer con Rabid Dogs non non ha niente in comune sul lato wave più dark. Di sicuro però i due dischi hanno in comune quel cazzo di abbastanza lungo periodo tra anni 80 e 90 in cui Touch And Go e Homestead hanno gettato le basi, poi ereditate in parte anche dalla Swami Records, di quel suono tesissimo in generale ma con un sacco di declinazioni, di cui i Big Black hanno dato l’interpretazione più cattiva e da cui Monsieur Gustavo Biscotti ha preso lo slego più hc punk.
Monsieur Gustavo Biscotti ha suonato a Fano ieri in una serata organizzata da Sonatine Produzioni e se mi fosse venuto in mente prima di ieri che questa è stata la settimana del biscotto sarebbe stato meglio, perché adesso l’unica cosa che posso dire è “ci siete andati?” e non “andateci”. Comunque, a Fano, una volta c’ho visto PJ Harvey e se non sbaglio in centro c’era un forno in cui ho comprato dei biscotti buonissimi. Erano lingue di gatto. Va bene lo stesso come collegamento, anche se nella copertina del disco di Monsieur Gustavo Biscotti ci sono due cani?

Giochi senza frontiere: split QUI e ULTRAKELVIN

QUI - ULTRAKELVIN - Split LP

I QUI sono di Los Angeles. Hanno fatto uno split con gli Ultrakelvin mettendoci una sola canzone, ma di 22 minuti. Si chiama Fuck Outer Space ed è ispirata alla Los Angeles lisergica, al lato allucinato di Venice Beach. È una suite di cinque (almeno io ne ho individuate cinque) porzioni diverse in una traccia unica. Le differenze tra una e l’altra sono notevoli, viaggiare è un modo per spaziare, e gli stacchi sono sempre bruschi. Partiamo in allegria, con rumori tra i Sonic Youth, Glenn Branca e i film horror alla Dario Argento. Continuiamo allegorici, con voci sussurrate che si sovrappongono a un pianoforte con la stessa cadenza della musica di Eyes Wide Shut. Il climax sonoro della prima parte si raggiunge con i piatti della batteria che sbattono contro il loop di sottofondo. Dopo, parte un vero e proprio pezzato prog-jazz, almeno così sembra all’inizio, perché poi diventa più sottile e meno Tim Buckley, si assottiglia si assottiglia, fino alla terza porzione, che ci porta nel deserto di Sergio Leone ma accompagnandoci con un flauto perso nei boschi di Twin Peaks. Più voci umane introducono la quarta parte, dominata senza rivali da una batteria elettronica. Bisogna fidarsi dei QUI e lasciare che Fuck Outer Space prosegua per scoprire tutte le sfumature della fantasia. Tra la quarta e la quinta c’è un bridge noise. La quinta è un pianoforte, che prende il via con una voce e un flauto e si conclude con la melodia dei Beach Boys sulla frase finale, che è appunto “fuck outer space. È un racconto a capitoli, un flusso di coscienza con alcuni switch ( -> parola del mese) prestabiliti. Non è sempre incubo, ha anche attimi di apertura solare. Il viaggio tra le cinque canzoni in una è lisergico, ma non solo: è senza preferenze per una sonorità o l’altra, non solo acido ma anche pieno di squarci di riflessione lucida, comunque sempre molto distante da un qualsiasi “qui”, anche dalla Los Angeles lisergica. Da cui i QUI si allontanano nel corso dei 22 minuti, portandoci completamente altrove. Anzi, in molti altrovi.

Poi ci sono gli Ultrakelvin, con sei canzoni che in tutto durano un po’ dei QUI. Prosegue la follia ma con un taglio più deciso: più chitarre e più botte da orbi. Il genere si sposta verso il noise con un po’ di blues, in ricordo di Putiferio e Kelvin da cui gli Ultrakelvin hanno origine, con simpatia verso METZ e Pissed Jeans. Gli Ultrakelvin suonano per non darti un attimo di respiro, sia quando si allontanano un po’ (III – Hellzabomber), usando il metodo “ti circondo da lontano e limito sempre più il tuo orizzonte visivo e uditivo soffocandoti lentamente”, sia quando si avvicinano tanto e invadono il tuo spazio vitale (IV – Boneless Teethless), adottando il metodo “ti dò sempre sui denti”. Tutto finisce con i 9 infernali minuti di I – Ham Slam, fatta di rumore, scariche elettriche, lamenti di animali nelle grotte e qualcosa di circolare che si è incantato. Non ho idea di che cosa abbiano usato per farli ma questi sono i rumori che sento. La ri-esplosione finale di I – Ham Slam! si distingue per lo stacchetto conclusivo alla Shift (inaspettato). Chiude il noise, lo stop and go, l’incastro chitarra e batteria e il post hard core di VI – Dwarf in Reverse. Alla fine non ci capisco più un cazzo, ma sono contento.

Il disco si chiude con un “boh”, sull’ultima nota degli Ultrakelvin, riassuntivo di tutti i 42 minuti, o forse è un “beeuh” (con “eu” pronunciato alla francese). Qualunque cosa sia, è una grande idea secondo me, non perché non so cosa pensare ma perché non c’è modo migliore di un boh per definire questo split, che non è definito, che non dà limiti, confini e frontiere al desiderio di cambiare, da un momento all’altro, senza preavviso, sempre. È il migliore anti-noia del 2017, ogni volta che riparto da capo ad ascoltarlo trovo robe nuove. Prodotto da MacinaDischi – un’etichetta che fa cose che spaccano, da seguire sempre – e Antena Krzyku, streaming a questo link.